Quel comunicato fa un certo effetto. Anche se in fondo c’è scritto ben poco, nemmeno il nome degli investitori. Ma c’è scritto che Silvio Berlusconi sta provando a vendere il Milan. Qualche anno dopo la cessione dell’Inter all’indonesiano Thohir. E quella della Roma all’americano Pallotta (anche se la proprietà della società giallorossa non è chiarissima). Non per portare acqua al nostro mulino, ma restano la Juventus della Fiat, il Napoli di De Laurentiis, la Fiorentina di Della Valle, la Lazio di Lotito e il Sassuolo di Squinzi. È la globalizzazione, bellezza. E la stiamo vedendo davanti ai nostri occhi.
“Fininvest ha raggiunto un accordo per un periodo di esclusiva con un gruppo di investitori cinesi relativo alla cessione di una quota dell’AC Milan. È stato contemporaneamente sottoscritto un promemoria di intesa, partendo dal quale si darà il via ad un approfondimento della trattativa. Il periodo di esclusiva è stato definito in modo da risultare compatibile con la complessità delle tematiche da discutere, le esigenze della società e gli appuntamenti previsti dal calendario delle attività calcistiche”. La cordata vede alla testa l’impero immobiliare Evergrande e uno degli uomini più ricchi di Pechino: Jack Ma.
Il Milan è la miglior cartina di tornasole per comprendere lo stato della parabola Berlusconi. Ne ha anticipato sia i successi politici sia il declino. Ne ha evidenziato le capacità visionarie (anche se i suoi detrattori non lo ammetteranno mai) come i suoi limiti di rinnovarsi. In fondo, Berlusconi è stato un politico della prima repubblica che è sopravvissuto al suo crollo. Aveva compreso tutto del mondo precedente, soprattutto l’importanza della tv, ma le sue antenne non hanno colto l’evolversi della realtà e lui che la sera guardava le aste dei quadri alle emittenti private non ha capito che Internet avrebbe cambiato il mondo.
E si è ostinato. L’ultima Champions l’ha vinta nel 2007, qusi dieci anni fa. E l’ultimo scudetto nel 2011, con Allegri e Ibrahimovic. Ha gettato allenatori su allenatori. Da Leonardo allo stesso Allegri. Aveva fatto perdere la pazienza allo stesso Ancelotti. Vagheggiava una grandeur che è finita con Ancelotti e che calcisticamente è terminata con la partenza di Pirlo. Non è più stato al passo. Aveva sbalordito il mondo ingaggiando Arrigo Sacchi l’omino di Fusignano e poi si è fatto prendere a sberle come un pugile suonato dal Barcellona di Guardiola. Per il terzo anno consecutivo, il suo Milan non sarà in Champions e forse nemmeno nelle coppe europee. Negli ultimi cinque anni ha vinto meno del Napoli: solo una Supercoppa italiana. E i fatti hanno dimostrato che il materiale per vincere lo aveva, a partire proprio da Allegri. Ha preferito Mihajlovic a Sarri. Insomma, si è fatto vecchio.
Poi bisogna vedere se questa trattativa farà la fine delle precedenti. Fatto sta che anche il calcio italiano sta cambiando rapidamente. Ancora una volta Milano è capofila del mutamento. Il declino dei Moratti (anche se Massimo sogna di ritornare) e dei Berlusconi è il declino di una pagina dell’imprenditoria nazionale. Trent’anni di presidenza del Milan per l’uomo di Arcore. Dal 5-0 al Real alla figuraccia di Marsiglia; per noi napoletani il primo maggio che poi fu l’inizio di tutto. Il post-Sacchi, Capello, il crespuscolo delle bandiere, e quindi il primo e ultimo rinnovamento con due Champions e una finale perduta incredibilmente. Indimenticabile il suo Milan di tutti i tempi da cui, per ragioni politiche, escluse Gianni Rivera.