Chi c’era o ha ascoltato la conferenza stampa di Sarri pre Napoli-Frosinone, ci scommettiamo, non ha potuto fare a meno di sorridere. Ma non di quei sorrisi sarcastici, che si fanno quando si assiste a una gaffe o a qualcosa di sballato o sbagliato. No, tutt’altro. Era il sorriso della verità e della presa di coscienza. Quello che dice, stretto tra i denti: «Guarda a questo, tiene raggione». Rigorosamente con due g.
Sarri, oggi, ha riportato tutti sulla terra. Ben piantati al suolo, e pure con le radici in profondità. Quello che serviva, alla vigilia di una partita che, non stiamo a dircelo per scaramanzia, è oggettivamente difficile. E, ripetiamo ancora una volta, non è scaramanzia o esorcizzazione della malasorte alla napoletana. È un presa di coscienza reale su tutto quello che è già stato e che sarà domani sera. Perché Napoli-Frosinone deve essere sì una passerella, ma solo nel momento in cui il risultato sarà stato acquisito. Deve celebrare un successo, sì. Ma un successo che va prima colto ufficialmente.
Secondo chi scrive, il termine più bello usato dal tecnico toscano in conferenza è “tangibile”.
Sì, è indubbiamente quello. Perché è desueto, e ha un significato che magari c’entra anche poco col calcio: secondo il vocabolario, identifica un oggetto che è possibile toccare. Una qualificazione Champions, pensandoci, non si può toccare. Però, se analizzi, è l’unica cosa che potrebbe rendere effettivamente importante la stagione del Napoli. Tutto il resto, altrimenti, non ha consistenza. Un eventuale fallimento domani sera porterebbe la squadra azzurra a non sapere cosa le succederà nel prossimo mercato, durante l’estate che verrà, all’abbrivio della nuova stagione. Insomma, Sarri dice “tangibile” e centra il punto: il Napoli più bello degli ultimi 25 anni, forse il secondo o terzo o massimo quarto più bello di sempre, non ha niente lì pronto a dimostrare quanto sia stato bello. E non avrà niente se non batte il Frosinone.
Sarri ha fatto questo, ha centrato perfettamente questo benedetto punto e fatto quadrato intorno alla squadra. Ha voluto togliere l’entusiasmo in eccesso, quelle proiezioni di mercati e mercato che non c’entrano ancora nulla con la cronaca. L’ha fatto anche in qualche modo smentendosi, prendendo il famoso fogliettino con i primati del Napoli nelle classifiche statistiche riferite al campionato (tutti primati azzurri: occasioni da gol, baricentro, possesso palla et simila) e buttandolo metaforicamente nel cestino della cartastraccia. Tutto questo ben di dio di cifre non servirà a nulla se domani sera il Napoli non avrà battuto il Frosinone. E l’unico modo per farlo è proprio dimenticarsi quanto sia stato bello, anzi bellissimo il percorso fatto finora. Chi scrive, i lettori del Napolista lo sanno, cerca di utilizzare gli stessi dati per spiegare il buono o il cattivo del Napoli partita per partita. Quindi crede che quei numeri siano importanti. Come lo crederà anche Sarri, che però ha voluto snaturarsi e dimenticare che nel calcio ci sono cose che vanno oltre il risultato e una palla che entra o no in una rete. Ha ridotto tutto a questo, per una volta. La più importante. Deve essergli costato tanto.
Quando ha parlato del «troppo entusiasmo» ha anch invertito la rotta rispetto a Torino, a quella maledetta partita di tre mesi (esatti) fa: allora parlò di scontro pure a nome della città e del popolo, adesso ha chiesto aiuto al pubblico. Ha fatto al contrario. Non si è messo a capo di una spedizione magari pure sociale, ma ha voluto con sé i tifosi per essere spinto nei novanta minuti di calcio che separano il Napoli da quello che era «l’unico scudetto che poteva vincere».
Abbiamo virgolettato questa frase anche se non è sua. Ma il messaggio è stato questo, e nel caso siamo pronto a rimuoverlo se ci fossimo sbagliati. Ma non crediamo, anche perché è vero. Che pensa questo e che questo sia il messaggio. Contro «una squadra che vince 26 partite su 27» si può fare effettivamente poco. Sotto questa frase, c’è soprattutto una lode al Napoli. E a quei calciatori che per un certo lasso di tempo hanno davvero lottato fianco a fianco con i marziani. Sarri ne è orgoglioso, e lo capisci quando dice di «aver dato una mano a questa squadra a superare certi suoi problemi» e di «essere riuscito a trasmettere alla squadra una identità tattica in grado di farla venire fuori dai momenti difficili». È il massimo del suo pavoneggiarsi, e nel 2016 può essere anche una debolezza rispetto ad altri tecnici. Ma lui è fatto così, soprattutto nella comunicazione. Qualcosa fa bene, qualcosa fa male.
Oggi, però, è stato perfetto. Letteralmente. Ha fatto sorridere tutti, di quei sorrisi che però danno raggione. Sempre con due g. Poi, a un certo punto, sono diventati sorrisi di gusto: quando ha detto di toccarsi sotto parlando di quella Champions che non ha mai giocato. Quella sì che è scaramanzia, quello si che è Sarri. Parliamo della famosa manovra, ovviamente. Dai, che forse oggi è l’ultima.