La sensazione è che il divario tra il basket giocato nella Nba a Est e a Ovest sia sempre più netto e profondo. È così già da qualche anno, sia in termini di livello medio delle varie squadre, sia per quanto riguarda le punte di eccellenza. Per questo motivo, molti osservatori consideravano le finali della Western Conference tra Oklahoma City Thunder e Golden State Warriors come le vere NBA Finals 2016, pur applaudendo il basket giocato dall’altra parte della nazione dai campioni dell’Est, i Cleveland Cavaliers di sua maestà LeBron James.
Però, onestamente, in pochi si sarebbero aspettati una differenza tanto evidente nei primi due match della serie per il titolo, con i Cavs completamente annichiliti nel loro viaggio in California per gara1 e gara2. E dopo la sconfitta inaugurale con 15 punti di differenza (104-89), stanotte il divario tra i campioni uscenti e i loro avversari s’è più che raddoppiato, addirittura 33 punti, col tabellone che all’ultima sirena indicava 110-77. Ancora più dell’umiliante punteggio conclusivo, però, a preoccupare coach Tyronn Lue e i suoi uomini dovrebbe essere il puzzle irrisolvibile che, per loro, si stanno dimostrando i Warriors allenati da Steve Kerr, troppo più intensi, tecnici, veloci, concentrati, feroci e duttili in difesa, inarrestabili e imprevedibili in attacco rispetto ai loro frastornati rivali.
In gara2, coach Lue ha riproposto l’idea tattica di concentrare gli sforzi difensivi dei suoi per escludere dal gioco le due stelle avversarie Stephen Curry e Klay Thompson, con la speranza che la performance del supporting cast del precedente match fosse irripetibile. Invece, purtroppo per Cleveland, il basket “di flusso” di coach Kerr e del suo staff, la qualità tecnica diffusa tra almeno 7-8 elementi del roster californiano e l’impressionante energia che i tifosi sugli spalti della Oracle Arena riversano ogni volta sul parquet in un legame quasi mistico con i propri beniamini hanno reso vano qualsiasi tentativo di arginare anche stavolta la marea gialla che li ha travolti fino a soffocarli.
Alla fine, i due “splash brothers” hanno totalizzato comunque 18 (Curry) e 17 punti (Thompson), ma le super-attenzioni dedicate a loro due hanno creato spazi decisivi per la terza punta di diamante dei Warriors, quel giocatore totale che risponde al nome di Draymond Green, stanotte autore di 28 punti, 7 rimbalzi, 5 assist, con 5 su 8 da tre punti. Accanto a lui, come in gara1, s’è distinto il solito immenso Andre Iguodala, finora mvp della serie, con una superiorità mentale schiacciante sugli altri 11 giocatori in campo, con l’usuale difesa asfissiante su qualsiasi cosa si muova e respiri (innanzitutto su LeBron, scoraggiato e nervoso nonostante i 19 punti, 8 rimbalzi e 9 assist finali) e, come lo stesso Green, con quella capacità rara di ricoprire con pari efficacia almeno 4 ruoli differenti.
Dopo un avvio equilibrato e un primo quarto concluso in vantaggio 21-19, i Cleveland Cavaliers si trovavano avanti nella seconda frazione per 28-22. A questo punto, però, i Golden State Warriors decidevano che era giunto il momento di iniziare a giocare e, in pochi minuti, schiacciavano gli avversari sotto un parziale terribile di 20-2, non alzando mai il piede dall’acceleratore e producendo due quarti (il secondo e il terzo) da 63 punti complessivi, col match che poteva considerarsi chiuso con una decina di minuti abbondanti di anticipo. Tra le fila dei padroni di casa il pallone scorreva fluido, a turno segnavano tutti e la panchina offriva il consueto contributo di punti, qualità e intensità. Dall’altra parte, invece, LeBron era lasciato troppo solo, con gli altri “big two” Kyrie Irving e Kevin Love totalmente fuori partita: il primo per colpe sue (10 punti e un solo assist a referto), il secondo anche perché costretto ad abbandonare il campo per un colpo alla testa che ne mette in dubbio la partecipazione a gara-3.
Adesso, sotto 2-0 nella serie, per il ritorno sul parquet amico coach Lue dovrà assolutamente inventarsi qualcosa, magari aumentando il minutaggio di un giocatore importante come Channing Frye (finora molto sacrificato nelle rotazioni) oppure provando ad alzare i quintetti con l’inserimento di Timofev Mozgov. Ma la sensazione sempre più forte è che, se non subentrano fattori al momento non preventivabili o se King James non diventa un essere soprannaturale, fermare la corsa di questi Golden State Warriors sia impresa al di fuori delle attuali possibilità di LeBron e compagni.