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Bud Spencer, i Dennerlein e Gildo Arena: quando Napoli si divideva tra Rari Nantes e Canottieri

Bud Spencer, i Dennerlein e Gildo Arena: quando Napoli si divideva tra Rari Nantes e Canottieri

L’ultima volta che l’ho visto fu giusto un anno fa sulla terrazza della Canottieri Napoli, lui, Bud, era venuto a rendere omaggio ad un altro “grande vecchio” esiliato a Roma, Costantino Buby Dennerlein. Come dire, il nuoto e la pallanuoto di Napoli all time; per scrivere tutta la storia basta aggiungere le imprese e i record di Fritz Dennerlein e Fofò Buonocore e inchinarsi alla magia del settebello della Rari e alla classe immensa di Gildo Arena. Il resto è il gioco alterno delle parti e della vita, oggi ridi, domani piangi, ma qualche volta piangi anche oggi. Come accade per la morte di Bud Spencer. Un monumento di carne ed ossa, ma anche di bontà, di umanità e di voglia di far del bene a chi, come diceva lui, «non ha avuto la mia fortuna».

Quella mattina d’estate Bud mi regalò una promessa che, purtroppo, non potrà onorare ma il cronista la terrà stretta dentro di sé come un ricordo indelebile dell’amicizia che “piedone” gli ha riservato quando era semplicemente Carletto Pedersoli, un adone che sfiorava i due metri impastato di simpatia e di muscoli, amatissimo e cercato dalle donne: «Verrò di nuovo qui, questa è casa mia, ma per carità di’ a tutti di chiamarmi Carlo Pedersoli, io sono sempre lo stesso ragazzo nato su questi scogli, in questo mare». Lo spirito era quello del guaglione che “lanzava” le turiste facendo a gara con Maurizio Morelli, con Mimmo Ferrazzani e con Franco Cannavale, zucculella. L’eroe delle pellicole con Terence Hill idolatrato in Germania più che in Italia non era neanche in mente dei, a Santa Lucia i vecchi gli volevano bene per i suoi record in gare nazionali e alle Olimpiadi (Helsinki e Melbourne) e per i gol con la calottina biancoceleste della Rari allora in cima a tutti i valori. Come nuotatore entrò nel Gotha dei primatisti storici perché fu il primo a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero. Il secondo fu Fofò Buonocore, l’inseparabile amico, sciupafemmene come lui, che da quando ha appreso della morte di Carlo è sprofondato in una tristezza esistenziale: «Lui ed io eravamo la stessa cosa. Come io e Buby o io e Fritz. Siamo stati dei pionieri, nuotavamo nella piscina di legno del Molosiglio nello specchio d’acqua ora ingombro di motoscafi e di yacht e i circoli erano due, la Canottieri e la Rari». Cioè Pedersoli contro Buonocore.

Un anno fa lo accompagnammo in terrazza, camminava a piccolissimi passi. Pretese che la poltrona guardasse il Vesuvio su un lato e Capri di fronte. Era malandato, parlava strascicando, ma la sua attenzione era straordinariamente vigile. «Non ci vedo quasi ma il mio dito indica la Rari Nantes, il mio Circolo, quante partite abbiamo giocato contro, ma c’era poca storia, allora eravamo molto più forti di voi giallorossi». Aveva ragione e glielo diremo venerdì notte quando lo saluteremo pubblicamente in occasione del 102mo anniversario del Circolo giallorosso. L’antico guerriero non si è mai arreso: «Vorrei fare qualcosa per i bambini del Pallonetto, ritornerò a Napoli per questo».

Non ce l’ha fatta. La sconfitta di Bud Spencer, in fondo, era prevista, lui viveva come un pugile che non si è mai riavuto dall’ultimo k.o. tecnico e gli amici sapevano che per mandarlo definitivamente al tappeto della vita, sarebbe bastato un semplice uppercut, non quei micidiali uno-due che piedone scagliava sugli avversari di turno, e meno che mai le bordate che piazzava nella “quadrella” della porta e che nessun portiere riusciva a parare. Nonostante il pallone a quei tempi fosse poco controllabile. Non era quello leggero e multicolore di adesso, si chiamava «’a vavosa» perché assorbiva acqua e diventava molto più pesante, quasi un pallone medicinale che gli atleti si lanciano per rinforzare gli addominali. Tirare con forza era quasi impossibile, solo Bud sparava le “cagliose” e mandava in sollucchero i tifosi come poi avrebbe fatto ridere e commuovere i bambini di tutto il mondo.

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