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Se Chianese, il presunto “mostro” della Resit, fosse stato brianzolo

Se Chianese, il presunto “mostro” della Resit, fosse stato brianzolo

Il processo Resit, processo “fondante” la teoria della cosiddetta “terra dei fuochi”, in corso presso la V corte d’Assise del tribunale di Napoli, volge al termine. Mancano, ormai, solo due udienze (15 e 24 giugno) per avere una prima risposta alle domande che da anni ci assillano: questa terra è stata “martirizzata”? e, se si, da chi e come?

Continuano le arringhe dei difensori, e l’ultima è stata un’udienza in cui si sono visti dei veri e propri fuochi d’artificio sparati dalla difesa contro le teorie dell’accusa. L’avvocato Gennaro Ciero che, per conto dello studio Stellato, ha seguito gli ultimi anni del procedimento (iniziato, ricordiamo, nel 2010) in qualità di difensore dell’avvocato Chianese, ha basato la sua arringa sulla ricostruzione della storia e delle vicende che hanno riguardato la discarica Resit ed il suo proprietario.

Un uomo, l’avvocato Chianese, dipinto dall’accusa (e, a traino, dagli organi di informazione) come un “soggetto criminale, il peggiore dei peggiori” ma che, in realtà, è stato il pioniere del trattamento rifiuti in Campania negli anni ’80, il primo a parlare e realizzare il “recupero”, obiettivo primario del trattamento rifiuti codificato dall’Unione Europea. Un imprenditore di successo che ha avuto il torto di nascere in una terra di camorra in cui qualsiasi attività imprenditoriale di successo è ricollegata, nell’immaginario comune, alla malavita. Ancor di più se oggetto dell’impresa è il trattamento di un qualcosa che è percepito di per sé come sporco: i rifiuti.

Peccato che i rifiuti, soprattutto in un’economia basata sui consumi, siano un qualcosa con cui bisogna fare i conti, un problema da affrontare e risolvere, qualcosa che ognuno di noi produce quotidianamente e di cui qualcuno deve farsi carico.

Fosse stato un imprenditore brianzolo, la sua sarebbe ancora oggi, più di ieri, un’attività di successo, invece la “cultura del sospetto”, da noi imperante, ha fatto sì che l’impresa chiudesse i battenti, privando la Campania di un impianto all’avanguardia (e sappiamo quanto siamo carenti in impiantistica per il trattamento rifiuti), che gli operai perdessero il lavoro, che lo stesso proprietario da “re del trattamento rifiuti” fosse bollato con l’epiteto infamante di “re delle ecomafie”.

L’impianto accusatorio è stato costruito con “certosina attenzione” dal pm Alessandro Milita, supportato dal suo consulente tecnico di parte, il geologo toscano Giovanni Balestri.

“Tutti possono affezionarsi ad un’idea”, ha chiosato l’avvocato Ciero, (non un pm, ha sottolineato, successivamente, l’avvocato Monaco: in Italia non abbiamo un processo “accusatorio”, il pm è tenuto a prendere in considerazione anche gli elementi a discolpa dell’accusato) ma dopo che “testimoni terzi (tra cui la direttrice dell’Istituto Superiore di Sanità Loredana Musmeci ed i responsabili della Sogesid, società in house del ministero dell’Ambiente incaricata della caratterizzazione del sito Resit n.d.r.) hanno messo un macigno sull’ipotesi di disastro ambientale, mi sarei aspettato un passo indietro dall’accusa”. Passo indietro che non c’è stato su nessuna delle ipotesi accusatorie, arrivando a “negare l’evidenza” in più casi tra cui, quello più eclatante, l’individuazione di quella che è a tutti gli effetti una strada rurale (così individuata non solo sulle cartine topografiche, ma persino dall’Unione Europea che ne ha finanziato con 193.000 euro la sistemazione nel 2004) come “corso d’acqua”.

Ancora, l’avvocato Ciero ha dovuto mettere in risalto come, con il processo in corso, la difesa abbia dovuto “sopportare” la messa in onda di una fiction (quella di Beppe Fiorello su Mancini) che, pur dichiarandosi opera di fantasia, ha preceduto trasmissioni giornalistiche che ne hanno fatto trasparire l’aderenza alla realtà. Infine, un accenno alla questione che ha visto coinvolgere nel processo Giulio Facchi, all’epoca subcommissario all’emergenza rifiuti della Campania, accusato di aver favorito Chianese con la scelta della Resit come sito di smaltimento dei rifiuti dell’emergenza.

In realtà, sostiene Ciero, è stato Chianese a favorire Facchi (e, per lui, lo Stato italiano) lavorando per mesi gratis, anticipando le spese. “Il criminale Chianese ha anticipato e chiede di essere pagato: è un reato?” Chianese è un imprenditore e, come tale, vuole essere pagato, “se fare l’imprenditore è essere criminale, tutti gli imprenditori sono criminali”. Per giunta, Chianese, per i servizi resi al commissariato, “molti soldi non li ha mai avuti”.

È toccato, poi, prendere la parola all’avvocato Marco Monaco come difensore di quattro tecnici collaboratori di Chianese. L’esordio dell’arringa dell’avvocato Monaco è stato di quelli che lasciano il segno: “balle spaziali”, riprendendo una precedente dichiarazione di Raffaele Cantone sulla terra dei fuochi. Quattro ore e mezza di arringa per confutare, con una fine analisi giuridica, la sussistenza di un qualsivoglia “disastro ambientale” o “avvelenamento delle acque”, evocati con apodittiche e suggestive affermazioni dal tecnico che supporta la pubblica accusa.

Nel danno ambientale, ha chiarito l’avvocato Monaco, c’è una gerarchia che va dall’”inquinamento” al “disastro”: l’inquinamento, con la conseguente “contaminazione” di un sito, comporta, come minimo, il superamento delle Concentrazioni Soglia di Rischio da parte dell’elemento contaminante, il “disastro ambientale” è una alterazione “irreversibile o particolarmente onerosa” dell’ecosistema (dunque nemmeno di una sola delle matrici che lo compongono singolarmente intese e su porzioni rilevanti di territorio), che produca un pericolo grave e concreto per la salute collettiva.

Per le acque, ha continuato l’avvocato, vale un concetto progressivo simile che va, in questo caso, dall‘ADULTERAZIONE delle acque, che presuppone una modifica delle sue qualità organolettiche, con alterazione della sua salubrità, all’AVVELENAMENTO quando si immette, in acque destinate al consumo umano, una sostanza di per sé considerata tossica, ma solo ove questa sia in QUANTITA’ tali da produrre l’effetto nocivo così come Paracelso insegna (è la dose che fa il veleno).

Insomma, l’avvelenamento non è, per scienza anche giuridica, determinato dalla mera presenza di sostanze inquinanti, essendo richiesto per legge ( vedasi ad esempio la 152/06) il superamento di determinati parametri di concentrazione tali da far insorgere un concreto rischio per i potenziali assuntori dell‘acqua.

Nel caso dell’area Resit, tutti gli accertamenti effettuati dimostrano inconfutabilmente che non si può parlare nemmeno di “inquinamento”, non essendovi stati riscontrati superamenti di Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR), tantomeno di “avvelenamento” delle acque di falda che hanno una qualità non differente dalle acque di falda di qualsiasi zona urbanizzata ed industrializzata d’Italia che la rende inadatta al consumo umano senza un preventivo trattamento, ma che non presenta alcuna controindicazione all’uso irriguo per il quale, vale la pena ricordarlo, la Unione europea sconsiglia vivamente l’uso di risorse acquifere pregiate (acqua potabile).

Dei due unici superamenti di Concentrazione Soglia di Contaminazione dichiarati dall’Arpac nell’interno del corpo di discarica, uno (il cobalto) deriva dall’applicazione di una soglia errata, dunque non sussiste, l’altro è relativo ad idrocarburi pesanti (ricordiamo, per inciso, che su una discarica operano mezzi pesanti a gasolio), che sono pericolosi “per gli organismi acquatici” ma, come ha argutamente notato l’avvocato, nessuno ha l’intenzione di mettere “pesciolini rossi nella discarica”.

Ieri era il 10 giugno, infausto italico anniversario, l’avvocato Monaco, con la verve che lo contraddistingue, non ha potuto fare a meno di paragonare i prodromi della “colossale bufala della terra dei fuochi” agli eventi militareschi.

Ecco, dunque, apparire nell’aula l’immagine di forestale ed Arpac come perniciosi commando di minions in giro per la Campania a compiere blitz in presunte discariche “più grandi d’Europa” oggetto di “smaltimento illecito di rifiuti tossici delle imprese del nord”, col supporto aereo dell’elicottero del “geoscienziato aerospaziale” (l’avvocato ha invitato a fare una ricerca su google di questo che ha definito un evidente ossimoro). Le suddette gesta eroiche vengono decantate dagli odierni “film luce” democratici, in onda sulle televisioni nazionali e locali, nonché da quella che il compianto Marco Pannella amava definire “stampa di regime”.

Il risultato è, questo si, un “disastro” di immagine per tutta la regione e, in particolare, per il suo comparto agroalimentare, nonché lo sperpero di ingenti risorse economiche in inutili scavi ed analisi in una regione con i problemi socio-economici ben noti.

Cosa della quale molti dovranno scusarsi.

Le arringhe dei due difensori, come previsto, si sono concluse con la richiesta di assoluzione per i loro assistiti con formula piena “perché il fatto non sussiste”.

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