Due settimane dopo il primo pezzo, continuiamo l’analisi dei cambiamenti tattici vissuti dal Napoli nel passaggio, ormai vecchio di un anno, da Rafa Benitez a Maurizio Sarri. Il 21 maggio pubblicammo una serie di confronti riguardanti dati e statistiche, soprattutto in riferimento a un concetto di intensità, molto più marcato nell’edizione 2015/2016 della squadra azzurra.
In questa seconda parte dell’analisi, abbiamo voluto sottolineare quelle che invece sono le differenze sostanziali, puramente tattiche, tra il Napoli schierato in campo nel biennio 2013-2015 e quello che quest’anno ha centrato il secondo posto e la qualificazione diretta ai gironi di Champions League. Per questioni di brevità, divideremo ulteriormente l’analisi in due parti, occupandoci oggi della fase offensiva. Quindici giorni fa chiudemmo il pezzo con una frase che, in qualche modo, sottolineava come esistesse comunque un continuum tra il lavoro tattico dell’attuale allenatore del Newcastle e quello del tecnico del Napoli. Un’insospettabile linea di congiunzione che non è ben visibile a una prima, superficiale analisi, ma che è riscontrabile nei fatti, ovvero le statistiche, e nelle immagini.
La prima analogia riguarda lo sviluppo della parte conclusiva dell’azione. Che, nel biennio di Benitez come nella prima stagione di Sarri, aveva come luogo privilegiato la fascia sinistra del campo. Leggendo e incrociando i dati sulle azioni offensive create, si scopre che il primo Napoli di Benitez ha fatto scaturire dalla fascia destra il 19,1% delle azioni chiave, mentre il secondo è arrivato a 19,3%. Il Napoli di Sarri si ferma al 16%, ma accoppia a questa cifra anche una statistica generale di sviluppo del gioco, al di là delle sole azioni offensive. Secondo quest’altro dato, il gioco del Napoli si è originato al 39% nella zona di competenza di Ghoulam, Hamsik e Insigne. Motivazioni ed esplicazione di questi numeri sono più o meno similari: intanto, la maggiore qualità assoluta e storica dell’asse di sinistra, poi la presenza di Callejon, maestro degli inserimenti, dall’altra parte del campo. E quindi, anche e per forza movimenti e azioni simili.
Due frame praticamente identici, eppure hanno esattamente un anno e mezzo di differenza temporale. Il primo, in alto, si riferisce a Napoli-Roma del primo novembre 2014. È l’azione del (bellissimo) gol di Higuain, con Insigne che converge da sinistra e tenterà il tiro verso la porta di De Sanctis. Più che la soluzione scelta dal talento di Frattamaggiore, osserviamo ovviamente i movimenti dei calciatori, con Hamsik in appoggio e Higuain e Callejon pronti ad entrare sul lato debole. Idem sotto, dove riscontriamo una differenza Hamsik-Insigne dovuta ovviamente al cambio di schema di Sarri: Hamsik mezzala, Insigne esterno offensivo di un tridente “puro” e quindi la possibilità esclusiva, in questo caso, di verticalizzare alla ricerca dei calciatori in area. Che sono sempre Higuain e Callejon, e sono sempre pronti ad entrare sul lato debole.
Come detto, l’unica reale differenza tra questi due frame è la posizione di Hamsik, che è l’ago della bilancia del cambiamento tattico vissuto dagli azzurri e quindi merita un’analisi ampia e approfondita. Tutto nasce, come detto anche nell’articolo precedente, dal concetto di intensità. Il Napoli di Sarri, attraverso il possesso palla e l’occupazione degli spazi, è una squadra che sale in maniera armonica per cercare di trovare gioco e combinazioni sugli esterni oppure tra gli uomini offensivi. In un contesto come questo, un Hamsik “trequartista alla Benitez” serve a poco. Perché non è nel punto in cui l’azione è viva e va sviluppandosi. Con il tecnico spagnolo, invece, il Napoli aggrediva lo spazio attraverso un possesso più lento e ragionato, alternando la ricerca della profondità (Higuain) alle sovrapposizioni interne-esterne di terzini, ali e trequartista centrale. Hamsik, appunto: lo slovacco diventava fondamentale per cercare l’ultimo passaggio o l’inserimento sulle sponde di Higuain più che nella cucitura dell’azione. Ecco che allora scende il numero dei gol, aumenta quello dei passaggi chiave e cambia ovviamente la posizione in campo. Sotto, due partite posizionali di Hamsik in partite campione: Napoli-Genoa della stagione 2014/2015 e Napoli-Chievo dell’annata appena terminata.
La differenza è chiara e chiaramente abissale. Il Marek Hamsik dello scorso campionato è un calciatore che si muove molto e partecipa poco al gioco, in zone diverse del campo a seconda dello sviluppo dell’azione. Il capitano azzurro, oggi, è invece al centro della costruzione della manovra, agisce nella sua zona di competenza e fa in modo che questa diventi il campo base della squadra di Sarri. Che ha modificato l’impostazione tattica dello slovacco, gli ha fatto ritrovare sorriso e rendimento. Un piccolissimo, ma significativo spostamento rispetto alle due annate di Benitez, comunque soddisfacenti dal punto di vista dei numeri (l’abbiamo scritto due settimane fa) per lo slovacco.
Il cambio di posizionamento di Hamsik fa scaturire anche una diversa dinamica nella costruzione dei famosi triangoli di gioco, vero e proprio mantra del gioco di Sarri ma presenti anche nel Napoli di Benitez. Nell’ultima stagione, il Napoli si basava maggiormente su uno schema rigido, fisso, con due batterie continue sulle due fasce: Hysaj-Allan-Callejon a destra, meno tecnica e quindi pure meno ricercata dalla manovra, e Ghoulam-Hamsik-Insigne a sinistra, con scambi più difficili e belli da vedere grazie alla maggiore classe degli interpreti. Con Benitez, invece, la variabile impazzita era proprio Hamsik: il doble pivote davanti alla difesa forniva l’appoggio per il passaggio arretrato, mentre Hamsik si spostava a destra per appoggiare la catena Maggio-Callejon oppure a sinistra i naiuto a Ghoulam-Insigne. I nomi, ovviamente, sono un puro riferimento. La stessa dinamica di gioco riprodotta con movimenti e posizionamenti diversi. Sì, tra queste squadre c’è qualcosa in comune.
Sopra, i due “triangoli fissi” del Napoli di Sarri: in alto quello di sinistra, in basso quello di destra. Sotto, invece, Hamsik versione Benitez: nel primo frame appoggia la catena di sinistra, nel secondo, invece, supporta Callejon e Maggio sulla fascia destra. Le partite sono Napoli-Atalanta (i due screen della stagione appena terminata) e Napoli-Juventus 2013/2014 e Napoli-Milan 2014/2015 per il Napoli di Benitez.
Attraverso queste immagini, è possibile quindi notare somiglianze e differenze di due squadre che, pur attraverso modalità diverse di occupazione degli spazi in campo, hanno sempre cercato di imporre la maggior qualità degli interpreti offensivi. Il Napoli di Benitez, ma qui entrano in gioco sensazioni e gusti personali, era in grado di vincere le partite pure solo attraverso un paio di manovre offensive ben concertate, soprattutto nei momenti in cui la squadra avversaria accusava scompensi difensivi. Questo, ovviamente, avrebbe dovuto essere sostenuto da una fase difensiva in grado di rimanere concentrata per tutto il tempo di gioco.
Il Napoli di Sarri, più scolastico in fase offensiva ma più spettacolare nell’uscita palla al piede, ribalta questo concetto: per vincere, gli azzurri hanno avuto bisogno sempre della miglior versione di sé stessi e della miglior condizione fisica. Il gioco del tecnico empolese è infatti più intenso e quindi più dispendioso fisicamente rispetto a quello del suo predecessore, anche a causa di una fase difensiva molto più aggregativa, sia a causa di una disposizione in campo diversa (il 4-3-3 che si trasforma a tutti gli effetti in un 4-5-1 in fase di non possesso) che di un atteggiamento più aggressivo. Ma della fase difensiva parleremo nella prossima puntata.
L’ultimo punto che vogliamo approfondire oggi riguarda la posizione di Higuain, anche questa modificata dalla nuova impostazione tattica di Sarri. Il Pipita versione Benitez era un calciatore leggermente diverso rispetto a quello visto con Sarri in panchina. Centravanti in senso totale, puro con entrambi gli allenatori. Sono però le sfumature a fare la differenza, soprattutto nel momento (prediletto dal giocatore, secondo solo alla conclusione in porta) in cui Higuain “scende” a giocare il pallone e per fungere da regista offensivo. La variazione, in questo caso, riguarda lo spazio occupato in campo. Con Benitez, i movimenti di Higuain abbracciavano l’intero fronte d’attacco, da destra a sinistra. Sotto, un esempio: il momento del bellissimo assist a Callejon in Fiorentina-Napoli 2013/2014.
Il nuovo Higuain riveduto e corretto da Sarri è invece un calciatore dal movimento verticale in campo, sempre circoscritto alla zona centrale. Un continuo saliscendi per muovere i centrali avversari, affrontati sempre in inferiorità numerica dall’attaccante unico previsto dal 4-3-3. Da questa posizione, l’argentino ha fornito l’unico assist del suo campionato. Un gol non banale, segnato da Insigne nel match casalingo contro la Juventus.
Abbiamo scelto altre due partite in riferimento alle due stagioni di Benitez e a quella di Sarri, e le heatmap del Pipita mostrano la differenza di cui abbiamo scritto e parlato finora. In alto, le zone d’azione di Higuain in Napoli-Genoa 2013/2014. In basso, proprio Napoli-Juventus di quest’anno.
Due modi, diversi, di interpretare le caratteristiche di uno stesso giocatore. In qualche modo esemplari di due filosofie diverse ma vicine. Da una parte il tentaivo di sfruttare la sensibilità di tocco di Higuain, e di portare alla conclusione il maggior numero di calciatori possibili, in un tourbillon offensivo più estemporaneo; dall’altra, l’inserimento di un calciatore di gran classe in un meccanismo martellante, continuo, ticchettante, che prevede un numero più limitato di soluzioni ma funziona come apriscatole nei confronti delle difese avversarie, i cui spazi vengono forzati di continuo. Il primo è Benitez, il secondo è Sarri. E questa frase può adattarsi a Higuain come a tutta la squadra. C’è similitudine, ma al tempo stesso diversità. Però, con e per Higuain, funziona meglio il secondo tipo di soluzione. Lo dicono i numeri.
Qui il primo pezzo, pubblicato il 21 maggio.
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