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Quella volta che Maradona andò a casa di Muhamnmad Ali

Quella volta che Maradona andò a casa di Muhamnmad Ali

Mi ricordo le caramelle che c’erano nell’ufficio di Don King, non era una scrivania quella, era un negozio per bambini, e dietro c’era questo gigante in pigiama, con il sigaro e i capelli ritti. Diego quel giorno era davvero felice, io gli facevo da interprete, siamo andati dal più grande di tutti, come ci ha detto, prima di mettersi a raccontare la sua vita dalla prima riffa fino all’ultimo incontro, non omettendo nulla: fame, prigione e cadute, un vortice di merda nera che ci ha inchiodati alle sedie, saranno state le caramelle, sarà stato il profumo zuccheroso di liquore o l’aria condizionata profumata, mentre fuori si soffocava, e tutto era fermo come e più di una fotografia: palme, spiagge e auto, sarà stato il suo corpaccione enorme, le sue mani da gigante che volteggiavano e mimavano i colpi, ma Diego mi è apparso un bambino al quale King raccontava la favola prima di fargli incontrare il principe della favola, Alì.

E non chiedetemi perché dopo aver preso una borsa dalla sua Rolls-Royce Phantom blu e acciaio, ha alzato il braccio per fermare un taxi, e poi ha chiamato Maradona come se fosse suo figlio, ed ha passato il tempo a interrogare il tassista sulle scommesse e sul suo cazzo di quartiere haitiano. Lo so, è da non credere, e non mi importa che ci crediate o no, guardatevi King, il miracolo di quei suoi cazzo di capelli che si reggono da soli, l’aureola di Dio, dice lui, ecco, allora capirete che è strano che Diego e questo negro per il quale è passato tutto quello che contasse qualcosa di boxe e musica in questi anni, è strano che si vedano solo ora, uno scherzo del tempo e dei confini, e sapete cosa gli ha chiesto Don appena è entrato? Come sta Hugo Chávez? E poi è partito col racconto di quando l’ha conosciuto, «L’ho incontrato per la prima volta nel 1971, quando era un luogotenente dell’esercito venezuelano. Faceva parte della mia scorta quando abbiamo aperto il Poliedro de Caracas».

La sua performance da vecchio rapper è finita appena abbiamo varcato la porta della casa di Ali, è stato come passare un confine, da un paese dove è permesso scherzare a un altro dove invece devi stare dritto e a posto, Don sembra un altro, e dopo ci ha anche spiegato, che fosse per lui, ogni volta che è qui, finirebbe come in quella canzone del suo amico Ray Charles, Drowning in my tears, perché di tutti i merdosi rotti in culo di tutto il mondo con i quali ha avuto a che fare, quell’uomo era il migliore, perché aveva luce, sì ha detto così e io per la prima volta non ho pensato che fosse una di quelle frasi enfatiche da Bronx,perché è innegabile, Diego, poi era più emozionato di quando ha incontrato Fidel la prima volta, perché Alì non poteva parlare e metterlo a suo agio, e prima ha avuto uno sguardo severo con Diego, dopo si è lasciato abbracciare e lo ha cinto per quanto possibile.

È stato un incontro stranissimo. Sembrava di stare a casa di un papa, un re, un profeta, mettetela come vi pare, tanto che Diego da detto quella cosa, che ha sconvolto tutti, ha fatto sorridere Ali ed ha cambiato la storia dell’Argentina. Quando siamo usciti, non mi ha spiegato perché l’ha fatto ma sembrava rinato, liberato, e io non ho avuto il coraggio di chiedere niente, perché avevo assistito a una confessione. Don King c’ha raccontato una serie di reati, volendo, inutilmente compensare la dichiarazione maradoniana. In quella stanza ci siamo sentiti tutti vicini e solidali, mentre Diego ammetteva di aver sbagliato a segnare con la mano: «Avrei dovuto chiedere scusa, andare dall’arbitro e dire che non era la mano de Dios ma la mia, quella di un argentino furbo. Ho sbagliato».

Ali l’ha guardato credo come nella bibbia il padre guardò il figlio che tornava a casa, e Don King sembrava un cardinale, eccentrico, ma comunque un cardinale, mentre stringeva la spalla di Diego. Una scena che avrei dovuto fotografare, piena di luce, una redenzione muta. Non so dire quanto sia durata, siamo stati sospesi per pochi secondi o per molti minuti, non ha importanza perché era una scena fuori dal normale. Ali, tremando come un budino, ha scritto su un foglio che teneva sua moglie Yolanda qualcosa di incomprensibile a tutti tranne che a lei, e sua moglie dopo averlo guardato e avergli parlato in un orecchio, ha detto a Diego: fallo sapere alla gente. Diego ha annuito e subito mi ha chiesto di cercare il mio amico americano al “New York Times”, ed è successo quello che sapete tutti.

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Brano di “Maradona presidente”, tratto da https://mexicanjournalist.wordpress.com/

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