Le polemiche per le tante defezioni dei calciatori argentini all’Olimpiade, che hanno provocato le dimissioni del ct Tata Martino
Copa America finita da pochi giorni, Europei ancora in corso. Eppure, il mondo del calcio è già nel caos a causa di un altro torneo internazionale: quello dei Giochi Olimpici. Non è una novità: storia del rapporto tra il football e le Olimpiadi è lunga e controversa, un po’ come avvenuto per tutti gli sport professionistici. Nella fattispecie, il calcio “vero”, quello dei grandi giocatori dei grandi club, è entrato nel programma del Cio solo nel 1984, con un regolamento tutto particolare: dall’edizione losangelina di quell’anno, furono ammessi i calciatori con un contratto professionistico. Conditio sin equa non: avere 0 presenze nella nazionale maggiore del proprio paese. Con il tempo, questo regolamento è stato prima annacquato e poi cambiato, fino alla decisione finale: trasformare il torneo olimpico in un vero e proprio Mondiale Under 23, con la possibilità di inserire tre fuori quota in una rosa che è comunque assimilabile a quella della nazionale giovanile di riferimento.
Un sistema che, pure con qualche falla qui e lì, aveva fatto trovare un certo equilibrio al torneo olimpico. Tanto che, nel 2000, in occasione dei giochi di Sidney, il campionato italiano iniziò praticamente a ottobre in modo da non compromettere il regolare svolgimento della kermesse a cinque cerchi, anche di quella calcistica. Quest’anno, però, si è andati oltre. E la “colpa”, molto probabilmente, è della… Copa America Centenario. Perché se la corrispondenza annuale Europei-Giochi Olimpici è ormai una certezza storica, l’edizione speciale (e supplementare) del Sudamericano ha letteralmente messo in crisi le selezioni di quell’angolo del mondo. Basti pensare alla situazione-Neymar, contorta fin dal primo momento e risolta con un gentleman agreement che ha tolto alla stella del Barça la Copa America.
Già allora parlammo, scrivemmo e descrivemmo di quella che fu (ed è) la sconfitta del romanticismo. Oggi ne siamo ancora più convinti perché ancora più certi. L’Argentina è nel caos: i club si rifiutano di concedere i loro calciatori per la competizione, anche grazie a un regolamento che li inquadra come soggetti a cui spetta l’ultima decisione in merito. Si tratta di Dybala (Juventus), Musacchio (Villarreal), Icardi (Inter), Lanzini (West Ham), Correa (Atletico Madrid), Batalla, Maidana e Vega (River Plate) e Cervi (Rosario Central/Benfica). Insomma, i migliori calciatori della Seleccion Olimpica. Una situazione di caos assoluto che ha portato la Afa (la Federcalcio argentina, a sua volta compromessa da una serie incredibile di scandali) ad annullare il raduno previsto per lunedì e il ct Tata Martino, scottato anche dalla sconfitta contro il Cile nella finale del Sudamericano, a delle incredibili quanto inattese (e clamorose) dimissioni.
Non ci sentiamo di dare torto ai club. Anche quando scrivemmo del probabile rifiuto della Juventus per la “concessione” di Paulo Dybala (che Martino aveva escluso dalla Copa America scientemente, probabilmente proprio per “risparmiargli” il doppio torneo e comunque gestire con la giusta calma il ricambio generazionale) fummo consci di come “De Coubertin non c’entra niente col calcio”. E basta leggere il titolo, che è esattamente questo, per capirlo. Le troppe commistioni tra un torneo che è un po’ giovanile e un po’ no, il fatto che si giochi in un periodo incompatibile per tutti i club del mondo (l’inizio del 3 agosto cade durante l’importantissima preparazione estiva dei club europei e sei giorni dopo la finale della Libertadores per il Sudamerica), lo scarso appeal economico rispetto alle altre vetrine internazionali fanno in modo che i club, già in qualche modo “agevolati” dal regolamento (la competizione non è sotto la giurisdizione della Fifa, ma del Cio), siano ancora più reticenti a inviare i loro giovani campioni.
Inoltre, basta guardare l’albo d’oro per capire perché e da dove viene una confusione che in realtà è storica: le ultime medaglie d’oro sono state vinte, nell’ordine, da Nigeria, Camerun, Argentina (due volte) e Messico. Nessuna squadra europea, soprattutto a causa della differenza d’età ben marcata, con le selezioni Under-21 del vecchio Continente (si qualificano proprio le Under attraverso i tornei continentali) costrette a confrontarsi con squadre di Under-23 “veri” più i tre fuori quota. E se andiamo indietro, magari alle edizioni precedenti a quella del 1984, vediamo come invece le medaglie d’oro siano finite al collo di squadre provenienti dai paesi del blocco sovietico, che non avevano ancora abbracciato il professionismo: Cecoslovacchia, Germania Est, Polonia, Ungheria, la stessa Urss.
Non c’è mai stata pace per i Giochi Olimpici, ed è una roba che è insieme storica e genetica. I problemi di oggi mettono l’ennesimo timbro alla “fine del romanticismo”, ma è inevitabile che accada. Come nel calcio, così in altri sport: basti pensare ai forfait del tennis, oppure alla storia sempre nuova e rinnovata del Dream Team americano di basket, capace di “esistere” una volta sola per davvero (1992) e poi non più riproposto perché non riproponibile. La grande stella di oggi, LeBron James, ha detto no a Rio per «un periodo di assoluto riposo dopo la conquista del titolo Nba».
Problemi di sovrapposizione di date, problemi regolamentari, problemi anche economici e di priorità. Il calcio e i Giochi c’entrano poco, se non per il Brasile. Che non ha mai vinto l’oro, che quest’anno ospita il torneo e ovviamente tutta la kermesse e ha deciso di “prendersi” Neymar e sacrificarne la presenza in Copa America. Con quali risultati, la’bbiamo visto. Eppure, anche a casa di quella che probabilmente è l’unica nazionale a “credere” ancora in questo torneo, ci sono problemi causati dai club. Oggi è uscita una dichiarazione di Felipe Anderson, fantasista che la Lazio sta ceracndo di “bloccare” in italia: «Io ho una possibilità di partecipare alle Olimpiadi, per di più nel mio Paese, ed è questa. Non ho ancora parlato con la Lazio; ma quando lo farò, non vorrò ripetermi e lo ribadirò». La Lazio ha ragione, Felipe Anderson ha ragione. Non c’è via d’uscita, se non spostare o riformare il Torneo Olimpico. Roma 2024, nel caso, potrebbe essere un buon momento per proporre qualcosa di innovativo che metta d’accordo tutti. Quelli che credono nel romanticismo e quelli più realisti. Che però, anche se purtroppo, non hanno proprio tutti i torti.