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Zuchtriegel, direttore degli scavi di Paestum: «Vi racconto Napoli»

Intervista a Gabirel Zuchtriegel, direttore degli Scavi di Paestum, che racconta il suo lavoro e anche la sua vita con la famiglia a Napoli

Zuchtriegel, direttore degli scavi di Paestum: «Vi racconto Napoli»

È il più giovane dei venti direttori di musei italiani nominati nel 2015 dal ministro Franceschini. Trentacinque anni, nato a Weingarten, in Germania, Gabriel Zuchtriegel è laureato in Archeologia classica, preistoria e filologia greca all’Università di Berlino e ha un dottorato in Archeologia classica conseguito presso l’Università di Bonn. Nonostante la sua giovane età, ha condotto numerosi scavi archeologici in Italia e all’estero e collaborato con importanti istituzioni nazionali e straniere nel settore dell’archeologia. Professore a contratto di Archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università degli Studi della Basilicata, dirige oggi il Parco Archeologico di Paestum. Vive a Napoli con la famiglia e ogni giorno raggiunge il Museo che dirige in treno. Ritiene una fortuna poter lavorare nella nostra città e ha una forte simpatia per il Napoli perché la squadra rappresenta il tipico esempio della piccola realtà che riesce a trionfare anche contro i grandi.

Quanti visitatori arrivano a Paestum ogni anno in media? Si può conteggiare la presenza italiana e quella straniera?

«L’anno scorso i visitatori sono stati più di 300mila, ma il numero è in incremento, speriamo di arrivare  ad una cifra ancora più ampia quest’anno. Stiamo avviando delle indagini sulla provenienza geografica e sul godimento dei visitatori ma ancora non abbiamo dati precisi. Però, giudicando dal numero di audio-guide noleggiate, so per certo che sono molti gli italiani, più della metà».

Quanto tempo occorre per una visita accurata del sito archeologico?

«Molto tempo, almeno una settimana. Dipende molto dal tempo che si ha a disposizione. Noi cerchiamo di essere flessibili: chi vuole fare solo un breve giro vede solo le cose principali, gli highlights, e bastano solo tre quarti d’ora, ma chi vuole fermarsi per un’intera giornata può vedere anche le case private, il foro, la casa romana, le mura. A Paestum si può tranquillamente passare anche una giornata intera».

Prima di ricevere l’incarico di direttore del Museo aveva visitato Paestum da visitatore. Cosa pensava degli scavi?

«Forse non sono molto rappresentativo nel rispondere a questa domanda. Sono un archeologo e per me era molto affascinante visitare Paestum, un luogo mitico, che è unico al mondo. Però, dopo, molti visitatori mi hanno detto che anche loro hanno la stessa sensazione che ho avuto io, quella di entrare in un’isola ferma nel tempo e nello spazio, tagliata fuori dalla quotidianità del mondo. Qualcuno la definisce un’isola di pace: forse per il verde che circonda i templi. Si ha la sensazione di entrare nello in uno spazio molto speciale».

Ha spesso detto che la fruizione museale è stata fin qui limitata ad una élite mentre anche i bambini devono avvicinarsi ad essa. Come ha pensato di fare per coinvolgere bambini e famiglie?

«Con attività didattiche per scuole e famiglie. A giugno abbiamo fatto i “Giorni Romani”, una rievocazione del passato di Pompei, con botteghe sistemate com’erano in passato, gladiatori, sacerdoti e senatori che incontravano i bambini, anche con i sacrifici romani. Li abbiamo organizzati con le associazioni, che lo fanno per passione. È stato un grande successo, sono venute molte famiglie, tanto che ripeteremo l’evento il 23 e 24 luglio. È un modo per avvicinare anche i piccoli alla storia e all’archeologia».

Paestum è un patrimonio per tutto il Cilento. Che tipo di lavoro svolge il suo Museo per valorizzare tutta l’area che circonda gli scavi?

«Noi cerchiamo di lavorare molto con il territorio, di essere un nodo per l’ingresso nel Cilento, terra ricca di tradizione, e con un grande patrimonio storico, artistico ed archeologico. Paestum, ma anche Velia, Padula, ci sono tanti luoghi bellissimi che proponiamo tramite le nostre brochure ed il sito internet che stiamo rinnovando. Suggeriamo tanti altri percorsi per far scoprire ai nostri visitatori anche l’entroterra del Cilento».

Ha mai riscontrato difficoltà nella collaborazione con gli altri enti e soggetti turistici del territorio?

«No, nessuna difficoltà, anzi, molto entusiasmo. Lavoriamo con l’Ept, con il Comune di Paestum ma anche con vari comuni del territorio e con il Parco Nazionale del Cilento. Il tema del paesaggio e quello della natura, e degli elementi archeologici inseriti nella natura è molto importante per noi. Abbiamo tante collaborazioni e abbiamo sempre riscontrato una gran voglia da parte di tutti di fare un passo avanti tutti insieme».

Qual è la cosa che ama di più degli scavi?

«Tante cose. È difficile selezionarne una. Una cosa che forse posso dire è che trovo molto affascinante entrare nei templi di Paestum, cosa che adesso sarà nuovamente possibile per tutti i visitatori dopo vent’anni di chiusura, e vivere e percepire il paesaggio intorno al sito dall’interno del templi. È una cosa molto particolare, che non posso neanche descrivere, bisogna vivere questa esperienza di sentirsi tutt’uno con il paesaggio, i monumenti e la storia».

Lei abita a Napoli. Cosa pensa della città? C’è un luogo che preferisce?

«Penso che Napoli è una città bellissima, estremamente affascinante. Io vivo qui con la mia famiglia e i miei figli vanno a scuola a Montesanto. Attraversare Spaccanapoli e il vecchio decumano che ricalca una strada greca è una cosa molto affascinante: a Napoli oggi ancora si legge la stessa griglia urbana creata più di duemila anni fa dai greci e attraversare questa arteria è come entrare in un museo all’aperto. Percorrere piazza San Domenico Maggiore, poter guardare la Chiesa del Gesù, quella di Santa Chiara e arrivare fino al cippo di Forcella è un’esperienza unica. Faccio ogni giorno quella strada e vivo questa cosa come un grande privilegio».

Raggiunge il Museo ogni giorno in treno, da Napoli. È vero che durante il tragitto ha scritto un libro?

(ride, ndr) «Viaggiare in treno mi permette di prepararmi il lavoro, di leggere documenti e atti, ma anche di scrivere e di proseguire le mie ricerche. Diciamo che in treno ho finito il progetto di un libro iniziato tempo fa ma non ho scritto tutto sul treno. Però sì, il viaggio che faccio ogni giorno mi ha aiutato a concluderlo».

Ha più volte detto che a Napoli non si sente uno straniero. È davvero così?

«Sì, non è mai stato un problema il fatto di venire da un altro paese, nel mio lavoro quotidiano lo dimentico spesso. A volte me ne ricordo e mi rendo conto che è strano poter lavorare in questo posto fantastico, anche con i ragazzi dell’Università… non avrei mai pensato che potesse succedere. È un’esperienza straordinaria».

Lei è giovanissimo, in Italia non si punta molto sui giovani, rispetto a quanto accade all’estero. È anche una sua percezione?

«Forse adesso anche in Italia si comincia di nuovo a dare più spazio ai giovani. Se pensiamo al primo dopoguerra o più indietro nel tempo, c’erano sempre, accanto ai più grandi, dei giovani collocati in ruoli importanti, anche nella pubblica amministrazione. Questo invecchiamento che qualcuno ha osservato è uno sviluppo in realtà abbastanza recente che adesso si cerca di mediare un po’. Penso che sia importante il giusto mix tra giovane età ed esperienza. Non bisogna essere unilaterali, occorre dare spazio all’innovazione ma anche alla tradizione».

Quando ha deciso che sarebbe diventato un archeologo?

«Già da piccolo avevo una grande passione per la storia, ma anche per gli oggetti, gli spazi, i vecchi monumenti, e la possibilità di toccare con mano ciò che a volte non è consentito toccare, gli oggetti della vita quotidiana del passato. Mi interessava non solo leggere testi ma vedere da vicino gli aspetti materiali del passato. Poi, quando sono andato all’Università ho fatto questa scelta, ma avevo già dentro la passione».

Un’ultima curiosità: segue il calcio?  

«Sì, seguo il calcio, a Napoli è impossibile non farlo. Ho una forte simpatia per il Napoli, anche perché viene da una posizione meno forte e adesso ha un grande successo. È una storia che piace per questo: il piccolo che riesce a vincere anche contro i grandi, è una cosa che trovo molto simpatica. Non è una valutazione professionale ma solo emotiva».

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