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Romanzo napolista / L’autore di una tripletta, epifania della Trinità

Prosegue Hard Boilin’ football il romanzo dell’estate del Napolista, di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista / L’autore di una tripletta, epifania della Trinità

Alla fine di quella stagione il Dinamis chiuse al sesto posto, il miglior risultato negli ultimi vent’anni e il paese, pur non avendo vinto un bel niente, portò i calciatori in trionfo. Il sesto posto in campionato era l’ultimo disponibile per essere iscritti di diritto alla coppa intersociale senza passare attraverso le devastanti qualificazioni d’agosto. Dunque, dopo vent’anni il Dinamis andò veramente in ferie. Al presidente Egeiros Onassis non parve vero che la squadra fosse riuscita a scampare alla tagliola delle eliminatorie estive ed era in tripudio, perché così il Dinamis evitava di avventurarsi in trasferte troppo scomode e a volte piene di pericoli.

Le squadre che in agosto si giocavano l’accesso alla coppa erano semplicemente le peggiori di tutte, giocavano in contrade sperdute in cui molto di rado al Dinamis capitava di andare per il campionato e in passato non era finita un’estate senza che il presidente, sempre alla testa dei suoi, non avesse avuto rogne in qualche postaccio abbandonato da Dio ma non da qualcuno che a vario titolo aveva conti in sospeso con lui.

La cosa più bella è che dai pecorari ci abbiamo mandato quella gran canaglia di Niarkos! – disse il presidente la sera in cui il campionato finì, urlando ubriaco nel microfono dell’impianto che qualcuno aveva montato al centro del campo di gioco, mentre la gente del paese accorreva per festeggiare il sesto posto e i calciatori aprivano le danze con le mogli, le amanti e le fidanzate.

Agenores Niarkos era un farabutto dello stesso calibro di Onassis e con il presidente del Dinamis era legato da un odio antico, iniziato quando, poco più che ragazzi, i due presero a darsi battaglia per controllare le scommesse clandestine sulle corse dei cani, che loro organizzavano nella regione. Erano ancora lontani gli anni del football, che a quei tempi era considerato quasi un passatempo per i borghesi benestanti della città, ma per loro quella palestra giovanile fu essenziale per diventare un giorno i presidenti delle due squadre dai bilanci più contraffatti di tutta la Tessaglia.

Lo Sporting Megiston, la squadra di Niarkos, quell’anno chiuse al settimo posto, costretta dal Dinamis alle qualificazioni estive e, secondo l’astruso calendario d’agosto, avrebbe dovuto giocare cinque partite contro i profughi del Zyras, squadra di contadini e pastori di capre che veniva da una zona in cui neanche le carte geografiche più aggiornate attestavano la presenza di insediamenti umani.

Il Zyras da sedici anni giocava solo d’estate, perché il suo campo da gioco non rispondeva ai requisiti minimi per iscriversi al campionato di quarta divisione, irto com’era di massi affioranti dal terreno, che solo un bulldozer avrebbe potuto rimuovere o spianare. E mai una sola volta gli autarchici membri della squadra erano riusciti a qualificarsi per la coppa intersociale. Tecnicamente, giocare con il Zyras significava vincere a occhi chiusi, ma gli uomini della squadra, in cui per mancanza cronica di organico giocavano anche tre bambini e una donna tarchiata sulla cinquantina, avevano fama, quando giocavano in casa, di non considerare conclusa la partita al fischio finale.

Quando i giocatori del Zyras giocavano davanti alle loro capre, sapendo che la federazione avrebbe mandato laggiù qualche pivello d’arbitro interessato solo ai pochi spiccioli di servizio, verso la fine della partita facevano accerchiare il campo dai vecchi e dagli uomini inabili al gioco e al fischio che decretava la conclusione delle ostilità correvano a prendere dietro la loro porta i bastoni che usavano per tener raccolto il bestiame, scatenando una vera e propria caccia all’ospite. Normalmente i padroni di casa prendevano colossali batoste, nell’ordine degli oltre dieci gol di scarto, ma non protestavano mai ogni volta che l’arbitro indicava il centrocampo. A quelli del Zyras l’arbitro non interessava, a loro bastava sapere che non avrebbe mai inoltrato alla federazione un referto ufficiale. Volevano solo punire gli ospiti o forse addirittura la caccia scatenata nel dopopartita era solo espressione di un loro modo di concepire il football, magari come se l’erano immaginato i loro avi, quando in Tessaglia nessuno sapeva ancora che cosa fosse un pallone. Comunque stessero le cose, le vere ostilità, sulla pietraia di gioco del Zyras, iniziavano solo a risultato acquisito.

La tecnica dell’accerchiamento del campo, se a casa loro era normale, in trasferta fu provata una sola volta e quella volta bastò perché, tornati a casa, decidessero di comportarsi diversamente in futuro. La prima volta che il Zyras fu ammesso alle qualificazioni, esordì in trasferta sul campo del Sotèr Evangelion, squadra di novizi ortodossi che aveva un campo ben curato ai piedi di un monastero e quella partita, da sola, bastò perché tra le squadre della Tessaglia iniziasse a correre la leggenda della foga belluina del Zyras. I novizi ortodossi avevano una discreta esperienza e nel loro carniere vantavano l’approdo a due finali delle qualificazioni estive. In verità bisognava essere autentiche scartine del football per farsi battere da loro, anche perché le rigide regole monastiche prescrivevano ai novizi di giocare con il saio nero e questo penalizzava di molto il controllo di palla, già di per sé mediocre, e ancor di più le giocate aeree.

Le prime scaramucce si ebbero già fuori del campo, quando gli ospiti iniziarono a tirare con scherno le lunghe barbe dei novizi e a tirare calci nelle loro tonache. Ma a partita finita successe l’imprevedibile. Quando i vecchi del Zyras iniziarono l’accerchiamento del campo, che negli anni a venire sarebbe diventato il loro proverbiale atto di insultante insubordinazione, i novizi, vedendo che gli avversari si armavano di bastoni, impugnarono le loro croci e iniziarono a salmodiare le lodi della Trinità, del creato e della pace. Dalla sua cella, sorpreso dal fracasso, l’igumeno del monastero mandò a chiedere l’esito della partita e saputo che i suoi avevano vinto per tre a zero con tripletta del novizio Aleksej, sulla cui formazione spirituale aveva investito molto, diede ordine ai fratelli rimasti nel monastero di versare olio bollente sul campo da gioco, in modo da disperdere i facinorosi.

Verso sera, quando il campo del Sotèr Evangelion era ormai una palude limacciosa, e un novizio e nove del Zyras avevano riportato ustioni di media entità, l’igumeno si affacciò dalla sua cella per arringare i presenti. Se Aleksej – urlò con voce severa – l’ha mandata dentro tre volte, ciò è accaduto per volontà del Signore, che in Aleksej si è evidentemente compiaciuto più che in ogni altro partecipante all’odierna tenzone! Dunque, forestieri, non vi resta che sottomettervi all’imperscrutabile disegno della giustizia divina! Quelli del Zyras, che vivevano da generazioni allo stato di natura, in un isolamento nel quale la religiosità aveva attecchito nelle forme di un vago panteismo priapico, furono colti da fiero terrore, presero a discutere tra loro sui possibili legami fra la Trinità, di cui avevano sentito parlare nelle salmodie dei novizi, e la tripletta di Aleksej, e presto si ritirarono.

La sentenza dell’igumeno convinse gli undici del Zyras e i loro consanguinei che, al di fuori della loro valle, dovevano brulicare ovunque spiriti e divinità pronte a bruciare loro la pelle ogni volta che non si fossero sottomessi al verdetto del campo. Dopo quel memorabile giorno, mentre a casa propria, sentendosi preservati da ogni impalpabile presenza, continuarono a terrorizzare gli ospiti con l’operazione dell’accerchiamento del campo, nelle trasferte furono irreprensibili galantuomini e addirittura iniziarono a portare in trionfo chi riusciva, come Aleksej, ad infilarli per tre volte nella stessa partita, convinti che l’autore di una tripletta doveva essere un’epifania mistica della Trinità. (4-continua)

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