Il Napoli di Sarri a Dimaro: Reina torna ad allenarsi, cross bassi (come se ci fosse Higuain), i calci piazzati.

Il cielo a Dimaro è un po’ strano, oggi pomeriggio. Sole e nuvole, insieme. Un ossimoro. Si comincia con un po’ di riscaldamento, stavolta direttamente col pallone. Non come stamattina, quando tutti si sono un po’ spaventati di un esercizio d’apertura senza palla. Tranquilli, non è cambiato nulla.
I paletti gialli e rossi separano gruppi di calciatori, il tocco di palla non è corto come al solito. È un po’ più lungo, in modo da correrci insieme e dietro. Poi, ecco spiegata la vera natura dei paletti in campo, tre più tre andando verso la porta. I piccoli capannelli di calciatori si scambiano rapidamente la palla, poi si calcia da fuori area o dalla linea che delimita i 16 metri. Ognuno in base al suo piede preferito: Ghoulam, ad esempio, inizia da destra e converge prima di cercare la conclusione. Poi si cambia, i gruppi si scambiano la posizione. I portieri sono sollecitati, la media è di un tiro ogni 10 secondi al massimo. Si alternano anche loro. Bei tiri di Luperto, Lopez, Gabbiadini. Qualcuno spara forte, Jorginho conclude sempre piano e piazzato. Qualcuno, in tribuna, si lamenta della poca cazzimma dell’italobrasiliano sottoporta. È come lamentarsi dell’egoismo di Higuain. Inutile.
Alla fine di questo momento, Sarri raduna tutti a centrocampo. Inizia il solito catechismo. È il momento della tattica, anche perché i piloti dei droni sono in fermento. C’è una simulazione di azione completa, due squadre schierate col solito 4-3-3. Divisione cromatica classica, chi legge i nostri report lo sa già: i neri e i fratini gialli. Si parte lentamente, la palla viene scambiata tra i due difensori centrali. Al grido “Ora!” di Sarri, passaggio verticale del centromediano e solito lavoro da cuneo del centravanti. Gli inserimenti sono misti, a seconda dell’ampiezza del passaggio: entra il mediano oppure l’esterno offensivo, più raramente il terzino. La costante è rappresentata dal numero di uomini che attaccano l’area. Tre più il calciatore che la mette al centro.
Posizioni strane e assenze: Dezi, in tutte le squadrette che si sono formate finora, è il terzino sinistro. L’alter ego di Strinic. Il croato non c’è, e Ghoulam è solo uno e non si può clonare. Anche De Guzman è assente giustificato, per la botta presa ieri. Tonelli e Albiol non si sono visti, Chiriches invece ha fatto una comparsata. Reina ha addirittura “assaggiato” la porta regolamentare. Lavoro sul doppio intervento, tanti applausi dalle tribune. Si fosse candidato alle primarie del Pd a Napoli, avrebbe conteso davvero a de Magistris la poltrona a Palazzo San Giacomo. Forse avrebbe pure vinto.
Perdonateci la digressione, l’esercizio di cui sopra continua: il ritmo è sempre più alto, cinque tocchi e si va in porta. Di prima, of course. Spesso, il regista lascia l’impostazione veloce al suo compagno di reparto, a destra o a sinistra. Alla mezzala. Quando c’è qualcosa che non va, Sarri fa ripetere daccapo l’azione. Il più bello da vedere in questo frangente è Callejon che non sbaglia un movimento quando c’è da tagliare da destra verso il centro. Qualcuno, in tribuna, dice che bisognerebbe redigere una tesi di laurea in ingegneria sulla perfezione dei suoi inserimenti. Lanciamo il consiglio ai laureandi, ma vogliamo la citazione nei ringraziamenti. O nella lettera per il suicidio.
I cross sono soprattutto bassi, e questa è una buona indicazione per chi vuole cogliere qualcosa, in questi allenamenti, che rimandi alla permanenza di Higuain. Che non ama i palloni alti, al centro, non essendo un saltatore. Che su queste palle tese, basse, dalle fasce, ci va a nozze. Per par condicio, diciamo pure che spesso il centravanti fa scorrere la palla per l’uomo che fa il secondo inserimento in area. E questa non è una giocata del repertorio di uno che fa 36 gol. Noi siamo per l’onestà tattica e intellettuale.
Dopo, partita a due tocchi. Il campo è delimitato dalla linea di metà campo e dai cinesini, messi poco dopo la linea dell’area. Il campo ruota, si gioca in verticale. Reina, dall’altra parte del campo, si allena ancora con Nista e Rafael. L’estate 2013 è lontana, eppure è ancora qui. Per chi guarda la partitella e non il portiere spagnolo: è bello riuscire a cogliere l’identità di gioco di una squadra anche in uno spazio ristretto per esigenze d’allenamento. Si vede il lavoro del regista, l’inserimento degli uomini di fascia. Il gioco del Napoli, insomma, pure in miniatura. Piccolo incidente per El Kaddouri, che torna subito in piedi. Niente paura. Venti minuti di 0-0 e segna Gabbiadini. Applaudono, gli dicono di rimanere qui che a Milano c’è la nebbia. Non è che a Dimaro si stia tanto meglio, però. Napoli è lontana.
La chiusura è poesia: il 14 luglio, alle 18.35, compaiono per la prima volta i calci piazzati sul campo di Dimaro. Punizioni difensive, cross al centro tagliato dalla sinistra, le due squadre da dieci tengono la linea. Il riferimento è l’esterno destro alto, Tutino o Callejon, che si posiziona come uomo in barriera. La squadra è radunata tutta sulla linea che delimita l’area, e retrocede in maniera perfettamente armonica al momento del traversone. Cambia qualcosa quando la palla inattiva viene battuta corta, a cercare di muovere la linea costruita da Sarri. Qualcuno esce a coprire, ma il “senso” resta lo stesso. Si difende alti, sempre. Si cerca di mettere in fuorigioco l’avversario, sempre. Di renderlo inoffensivo, ben prima che succeda qualcosa. La saggezza dei detti popolari: prevenire è meglio che curare.