Intervista al 21enne di Ponticelli, bronzo a Rio. Elogio della pallanuoto, uno sport poco seguito persino a Napoli.
Il concetto di “Giochi Olimpici” non va molto d’accordo con il senso degli sport di squadra. Per un atleta di sport individuali – un discobolo o un nuotatore o un sollevatore di pesi -, tutto il lavoro converge su questo appuntamento quadriennale. Certo, anche il resto è importante: Mondiali, Europei, competizioni nazionali. Però poi c’è l’obiettivo finale, massimo, ben delineato: le Olimpiadi. Giochi e corri e lotti per quattro anni contro te stesso e i tuoi limiti pur di arrivarci. Pur di arrivarci al meglio.
Negli sport di squadra, la situazione è differente. Si lotta, tutti insieme, per cercare di arrivare ai Giochi. Ma, intanto, si combattono altre battaglie altrettanto importanti: i campionati con i club, le competizioni intermedie o anche importanti con le Nazionali. Ogni sport ha le sue priorità. Poi ci sono le selezioni: si viene scelti, in mezzo a tanti altri, per determinare un risultato sportivo. Per capire quale squadra è più forte. Ma non solo: anche per capire qual è lo stato dell’arte di un movimento sportivo. Il suo stato di salute, la sua penetrazione nel tessuto sociale. C’è una differenza sostanziale: l’Italia ha vinto un oro e un bronzo nel nuoto, con Paltrineri e Dotti, eppure non vive un grande momento nella velocità in piscina. Perché gli exploit sono singolari, individuali, circoscritti.
Forse ci siamo spiegati. Oppure, forse, serve un altro esempio. La pallanuoto. Un argento e un bronzo, due medaglie su due. Siamo l’unico paese, e l’ha detto al Napolista uno che questo miracolo che non è un miracolo l’ha vissuto da dentro. In acqua, a combattere e a lottare. Uno scelto in mezzo a tanti altri. Uno che è pure napoletano, un prodotto della nostra eccellenza in canottina. Di Alessandro Velotto abbiamo già scritto: un articolo di Carlo Franco, un mese fa. All’indomani del (mezzo) trionfo di Rio, e del bronzo colto dal Settebello contro il Montenegro, siamo riusciti a intercettarlo. A rubarlo alle feste di Ponticelli, il quartiere periferico napoletano di cui oramai è simbolo sportivo. Una chiacchierata al telefono, tranquilla e rilassata, sul significato di questo bronzo. Sulla pallanuoto, sulla Canottieri Napoli e sul futuro. Di Alessandro Velotto e del movimento. Due concetti che si confondono, perché vanno insieme. Uniti, a braccetto.
E allora, Alessandro. Un 21enne a Rio. Quali sono le tue sensazioni al rientro da questa avventura?
L’Olimpiade è un evento fuori dal comune: le emozioni che si provano ti restano nel cuore e non sono facili da spiegare. Tutto si amplifica, ogni esperienza diventa più grande e trasmette una carica incredibile. Quando giochi, quando ti alleni, quando ti riposi. Tutto è diverso rispetto ai Mondiali e agli Europei. Tutto è difficile da comprendere e da spiegare. Poi, ovviamente, c’è la fattispecie della pallanuoto. Il torneo olimpico del nostro sport è una storia a sé: concentrato, massacrante, ti prosciuga di ogni energia. Noi siamo stati super-concentrati per venti giorni, ma alla fine siamo riusciti a portare a casa un riconoscimento meritato.
Il bronzo, appunto. Parliamone.
Possiamo dire che partivamo da outsider. Ai Giochi eravamo una squadra che poteva puntare in alto, ma che oggettivamente non aveva collocazione di classifica prestabilita. Saremmo potuti arrivare in qualunque posizione, dalla seconda alla decima. Abbiamo fatto quasi il massimo, siamo soddisfatti perché ci eravamo presentati a Rio dopo aver cambiato molto. Sette debuttanti ai Giochi, quattro Under 23. Non abbiamo rimpianti. Siamo una squadra di prospettiva, che tra qualche anno, se dovesse riuscire a crescere e a mantenere quanto promette, permetterebbe alla pallanuoto italiana di togliersi ancora delle belle soddisfazioni.
Come sta il movimento?
Siamo una realtà storicamente importate, il Settebello è l’unica selezione italiana ad essersi sempre qualificata alle Olimpiadi. È un risultato importante, spero davvero che da questi Giochi possa arrivare la spinta giusta affinché il nostro sport possa rilanciarsi e venga seguito con sempre maggior partecipazione. Ora non è così, alle partite della Canottieri Napoli (il club in cui Aleesando è cresciuto e in cui gioca ancora, ndr), per esempio, vengono davvero in pochi tifosi.
Come ti spieghi questa mancanza di pubblico?
Guarda, io credo che l’ostacolo maggiore sia il regolamento. Non è difficile da comprendere, basta poco per capire cosa avviene in acqua. Eppure, le persone fanno fatica. Non riescono a sintonizzarsi su questa disciplina, ed è un peccato. Perché rispetto al calcio, ad esempio, noi siamo ancora uno sport.
Ci spieghi cosa intendi?
Credo che il calcio si sia molto allontanato dai valori fondamentali dello sport. Rispetto al volley e alla stessa pallanuoto, ad esempio, mancano quelle cose belle che caratterizzano una competizione sana: il gusto di giocare per vincere, magari sempre nella stessa squadra e sposando un progetto lungo. Se penso al calcio, mi viene in mente che oltre Totti c’è ben poco da salvare. Sono uno sportivo, e comprendo la rabbia dei tifosi del Napoli per l’addio di Higuain. Eppure, allo stesso tempo, mi chiedo e gli chiedo cosa ci sia di così scandaloso. In un ambiente tanto attaccato ai soldi, e gli stessi presidenti sono i primi ad avere questo atteggiamento, è una situazione normale. Siamo scemi noi tifosi, ad affezionarci ai calciatori.
Rimaniamo a Napoli per l’ultima domanda e parliamo del Circolo Canottieri. Che è un po’ come casa tua.
Assolutamente. Se da una parte la mia famiglia mi ha dato educazione e valori, dall’altra c’è questo circolo. Che mi ha fatto crescere in vasca, come atleta, ma soprattutto come persona. Mi hanno indirizzato veramente bene, operano in un contesto che accoglie le persone. E questo è importante, ti fa sentire apprezzato. Affronteremo la prossima stagione con una squadra nuova, e saremo pieni di impegni: il campionato e la LEN Eurocup, che per chi mastica solo di calcio è un po’ come l’Europa League della pallanuoto.
La stessa LEN Eurocup vinta l’anno scorso dal Brescia e due anni fa dal Posillipo contro l’Acquachiara, in un derby tutto napoletano in finale. La Canottieri mancava a questa competizione da 25 anni. È riuscita a ritornarci l’anno scorso, grazie a un’insperata semifinale scudetto. E grazie a questo ragazzo di Ponticelli, che a 21 anni chiede attenzione mediatica e di pubblico per uno sport bello e pure in salute. Dove l’Italia spadroneggia, e Napoli è addirittura il secondo centro nazionale (tre squadre in massima serie) dopo Recco e la Liguria. Sarebbe giusto dare quest’occasione alla pallanuoto, dopotutto.