Mentre tanti maestrini improvvisano lezioni di imprenditoria, De Laurentiis dimostra ancora una volta di saper far crescere il Napoli.
È stata una sessione di mercato eccezionale, a metà strada tra un racconto dei fratelli Coen e un dramma di Shakespeare. Certo ci costerà qualche coronaria, avendoci fattoci oscillare tra la materializzazione di incubi e l’attesa messianica, ma ha anche evidenziato in modo cristallino la vera forza di questo Napoli il quale, in un’estate in cui ha ricevuto lezioni di imprenditoria da chiunque ne provasse lo sfizio, ha saputo reagire con freddezza e pazienza alla perdita del giocatore più insostituibile del campionato. Compito non da poco.
Il Napoli ha mostrato anzitutto di avere un piano. Sebbene parrà strano a molti. E di averlo imbastito partendo dalla correzione di errori passati. Dunque la fondamentale capacità di correggersi in corsa e migliorarsi nel tempo. Seppur preso in parziale contropiede sul caso Higuain, è riuscito a reinvestire praticamente tutto seguendo un filo logico chiaro, nuovo ed efficace: quello che lo conducesse a rafforzare il settore del campo che da più di un decennio è inadeguato – il centrocampo – e a puntellare quanto c’è ma è insufficiente – la difesa. Senza partire da un nome e puntare nuovamente tutto su di un singolo atleta come per un giro di roulette.
In secondo luogo ha colmato il vuoto lasciato da Higuain ridisegnando completamente la squadra, negli aspetti tattici, mentali, nei movimenti e nelle aspettative. La slavizzazione del Napoli, in questo contesto, è una rivoluzione caratteriale non banale. Si sono privilegiati atleti giovani ma moderni, di prospettiva e duttilità, persone funzionali ad un’idea di gioco. È un salto in avanti quasi ideologico di società e squadra che dimostrano, ancora una volta, di essere la vera avanguardia culturale della città; e indicano come il motore della mutazione e del cambiamento, come in ogni disciplina umana, sia sempre la competizione e la voglia di rimanerne protagonisti – la Signora Champions League.
Nel fare questo, il Napoli ha finalmente provato alle orecchie dure dei tanti che per spirito di polemica (nella migliore delle ipotesi) ne sottovalutano l’importanza, quanto sia fondamentale l’aver tenuto tenacemente le casse in ordine. Questo è oggi, infatti, il vero e unico vantaggio competitivo essenziale del Napoli, il quale non solo è tra i pochissimi club a tirar fuori i soldi sull’unghia, ma anche tra chi può sfruttare il generale dissesto del campionato italiano, ormai drogato, per mettere all’angolo i competitor operando con perizia e pazienza. Perché il Napoli, i soldi, li ha, e veri, a differenza di chi li millanta. E in una trattativa in cui si bluffa questo fa quasi tutta la differenza.
In sostanza, è un Napoli che ha mostrato il coraggio di cambiare e di farlo a valle di un ragionamento. Senza smarrire la bussola. E questo nella città che, forse più di tutte in Italia, è da sempre vittima di se stessa, in balia del perenne ricordo nostalgico di quanto forse non è mai avvenuto ma continua a giustificare qualunque immobilismo. Un popolo prigioniero del proprio passato e di ciò che esso pretende di rappresentare, dell’ingombro di mille idoli e miriadi di semidei che non lasciano spazio al nuovo. Impedendo una ricostruzione seria, dalle fondamenta.
A proposito di ricostruzione: personalmente, auspico il medesimo coraggio da parte della società anche sulla questione stadio, biglietti e abbonamenti. Se la politica societaria sarà quella di alzare i prezzi, che sia. Chieda di più ai propri tifosi, lavori per averne di più seriamente impegnati. Ma sia anche matura a sufficienza da essere pronta alle conseguenze: tifosi che tirino fuori quattrini veri e che siano impegnati nel sostenere i propri colori saranno poi pungolo legittimo e costante per la società e la squadra. Chi tira fuori il grano ha poi tutto il diritto di critica. Questo immagino, e spero, la SSC Napoli lo sappia.