L’analisi tattica di Napoli-Milan: difesa sfasata, ma è questione di condizione. Com’è cambiato l’attacco, Zielinski spacca la partita.
La Sampdoria. Sì, la Sampdoria. Napoli-Milan di ieri sera ha riportato alla mente Eder, la maglia gialla con la fascia blucerchiata, la doppietta di Higuain e la barba disegnata da Zenga in panchina. Un Napoli diverso, certo, ma uguale nella sostanza: partita dominata, tenuta in fresco e poi persa. La differenza, stavolta, l’ha fatta il risultato. Ovvero, una terza partita nella partita che ieri c’è stata e l’anno scorso, proprio alla seconda giornata, non aveva avuto modo di esserci. Quest’anno, qualcosa è cambiato. E non si tratta di Higuain, di un altro modo di giocare del tridente, di una difesa che manca di condizione e quindi di meccanismi (tutte cose che analizzeremo nel pezzo, comunque). No, si tratta di Piotr Zielinski. Che entra, e semplicemente ti spacca la partita.
Comunque, andiamo per gradi. Partita che inizia e Milan e Napoli sullo stesso livello. Anzi, i rossoneri vanno pure meglio in determinati frangenti. La scelta di Montella è speculare a quella di Mihajlovic l’anno scorso, ma rivisitata in chiave offensiva: 4-5-1 in fase di non possesso, come il Napoli ma asimmetrico. Ovvero. Suso che resta sulla sua fascia di competenza (la sinistra del Napoli, notoriamente la più pericolosa) e l’esterno di sinistra (Niang) a uomo su Jorginho, con Bacca a coprire sui due centrali e Bonaventura a sdoppiarsi come mezzala e come seconda punta di pressing. Lo schieramento medio dei rossoneri (lo vediamo sotto) non mente: la scelta, iniziale e vincente, è stata quella di bloccare le due fonti di gioco del Napoli: Jorginho e la fascia sinistra.
Dopo che il Napoli sblocca la partita, torna ad essere sé stesso: questione di testa, di sicurezza. Perché in realtà il Milan non muta il suo atteggiamento, sono gli azzurri che crescono: le 0 conclusioni verso la porta prima del gol di Milik diventano 10 al fischio finale della prima frazione di gara; si alza la qualità dei passaggi (accuracy che dall’82% arriva fino all’87%); migliora anche la tenuta difensiva, la capacità di lettura: le palle intercettate diventano 5 (erano 2 prima del gol), l’efficacia percentuale nei tackle aumenta dal 20% al 33%. Semplicemente, il Napoli torna a fare il Napoli: concentrato, pulito, registrato. Reparti stretti, linee rispettate, gioco fluido proprio perché le distanze sono quelle giuste. E poi un Mertens indiavolato, assente dal campo fino al momento del suo flash risolutivo (il tiro sul palo ribattuto in rete da Milik) e poi capace, fino al 45esimo, di mettere insieme 5 tiri verso la porta, un duello individuale vinto, un dribbling riuscito e pure un evento difensivo (una palla spazzata). Sotto, nel grafico, le conclusioni tentate dal belga nella prima frazione di gioco.
La difesa del Napoli non sta vivendo un buon momento di forma. Questa frase è ingenerosa, perché proprio il ricordo dello scorso campionato, dei match contro Sassuolo, Sampdoria ed Empoli, e della svolta immediatamente successiva, dovrebbero cercare di farci essere più indulgenti. Più che un brutto momento, sarebbe più giusto scrivere “il solito momento iniziale di sbandamento”. Perché se nei momenti migliori di questa squadra, a livello di smalto e condizione, la difesa restava in tensione e permetteva di gestire emotivamente la partita e pure eventuali difficoltà a segnare, oggi invece c’è bisogno che il Napoli segni tanto e quindi produca ancor di più per controbilanciare gli scompensi nella fase di non possesso. Non è una questione riferita ai gol, entrambi sono casuali e nascono da errori concettuali riparabili e comunque aggravati dopo da errate letture tecniche (Hysaj che si lascia scappare Niang) o da grandi giocate dell’avversario (la botta di Suso dai 30 metri). Il primo, sotto, si sviluppa dopo un contrasto tra Bonaventura e Jorginho a centrocampo e con Koulibaly che sale altissimo per seguire Suso, bravo a convergere e ad evitare che Ghoulam possa seguirlo fino dentro il campo. La difesa del francosenegalese è avventata, perché lascia scoperto un lato che è difficile da coprire con uno scivolamento veloce. Hysaj è indeciso e lento, e il supporto di Callejon è leggermente in ritardo. Il fatto che il francese del Milan sia mancino e che il suo tiro sorprenda Reina fanno il resto. Manca ed è tardiva anche la copertura del centrocampo: nel replay, si vede infatti come Hamsik sia pigro nell’andare a coprire il buco sullo scivolamento indotto dalla salita di Koulibaly e ci siano al centro Bacca e Abate. Tante concause, tante casualità. Ma anche un mancato supporto di squadra nella fase di non possesso (come detto da Sarri nel postpartita).
Il secondo gol nasce ancora, e nuovamente, da una lettura avventata di Koulibaly. Che starebbe pure nella giusta posizione, alta pure oltre il centrocampo. Solo che i suoi compagni scappano all’indietro, essendo esagerata la distanza dal centrocampo saltato. Lo sviluppo dell’azione è simile a quello del primo gol: scompenso difensivo, inferiorità numerica, rientro tardivo ma palla comunque rilanciata. Poi arriva Suso, che indovina il gol della giornata con un tiro bello e imprendibile. Ma è solo la conseguenza. Più che la Gif, in questo caso utilizziamo un frame. Per capire che si tratta di un problema di distanze e di automatismi, che poi diventa grave quando l’avversario indovina una giocata fortunata o quando un tuo difensore (Hysaj, nel caso del primo gol) non è esattamente reattivo.
La linea difensiva scappa all’indietro, anche perché Hysaj (nascosto dal banner del risultato, accanto a Callejon) è in avanti e Allan non offre copertura. Koulibaly resta alto, crea un buco da colmare e quindi ci sarà superiorità numerica sulla fascia sinistra del Milan.
La considerazione consequenziale è semplice: mancando le giuste distanze per assenza di condizione, il Napoli risulta poco sicuro dietro. Succede in alcuni momenti della partita, quindi ci si mette anche la testa. Ma il miglioramento rispetto a Pescara, partita in cui la fase passiva è stata fatta letteralmente a pezzi nel primo tempo, è soprattutto temporale: 45 minuti di assenza a Pescara (il primo tempo, intero) e una mezz’oretta con i rossoneri (i primi 20 minuti del primo tempo e i 10 di follia del secondo). Dopo, la sensazione è quella dei lavori in corso. E quindi dell’ansia e dell’insicurezza. Ma sono cose da verificare quando le gambe risponderanno alla testa e viceversa.
Gli altri due temi: il tridente offensivo e i cambi. Il primo microtema risente giocoforza dell’assenza di Higuain, Il Napoli non ha cambiato modo di giocare o di attaccare, né tantomeno lo schieramento in campo. È solo che le caratteristiche tecniche e psicologiche dei nuovi interpreti hanno costretto Sarri a cercare strade alternative. Già da Dimaro, e ve l’abbiamo detto in anteprima dal Trentino. Sotto, la heatmap di Mertens mixata a quella di Callejon. La differenza non sta solo nel differente sfruttamento delle due fasce, una caratteristica di questo Napoli (che attacca per il 40% da sinistra e per il 30% dal centro e dalla destra), ma anche nella diversa interpretazione della catena e degli scambi. Il belga, infatti, gioca molto più vicino alla punta centrale. La maggior tecnica di base rispetto a Callejon e il diverso background di Milik (imposto anche a Gabbiadini, che soffre proprio per questo quando viene schierato da prima punta) permettono di gestire in maniera diversa i dialoghi, e quindi di giocare la palla con rapide combinazioni basse che si alternano a inserimenti ad allargare la difesa. Il primo e il terzo gol del Napoli nascono proprio così. Mertens si stringe da sinistra e viene trovato oltre l’ultimo difensore.
Il resto è classico, è il solito Napoli quando attacca. Gli stessi principi, ma anche una sensazione nuova: possesso palla (481 passaggi a 322, 59% di possesso), azioni dagli esterni (21 cross da ambo le fasce) e la consapevolezza di voler cercare di gestire il dispendio fisico ed emozionale della partita. Una cosa su cui il Napoli deve lavorare, questa. L’approccio alla partita di ieri sera, così come quello di Pescara, forse volevano esser tentativi di controllo del gioco e del ritmo. Ovvero: slow play, decidiamo noi quando accelerare. Come fa la Juventus, ad esempio. Il Napoli non ha ancora questa maturità, ieri sera è quasi andato sotto (dormita di Ghoulam su Abate e gol sfiorato dal Milan) e a Pescara ne ha presi due; nella ripresa, ha subito le stesse due reti in dieci minuti. Poi si è ripreso, perché condizione e identità di gioco stanno crescendo di pari passo. E quindi finisci che a Pescara pareggi quasi vinci e in casa col Milan vinci e basta. Però, questa non è ancora la strada giusta per Sarri, che forse sta cercando un’evoluzione giusta ma ancora un po’ troppo prematura.
Chiudiamo con la panchina, con quello che è cambiato davvero rispetto allo scorso anno. La diciamo semplice semplice, in una frase: Zielinski è entrato e ha strappato la partita. Il termine non è scelto a caso, abbiamo utilizzato “strappare” perché è proprio grazie agli strappi del polacco se il Napoli è riuscito a portarla a casa. Tocco di prima di Jorginho e partenza palla al piede, di forza e classe contro un centrocampo ormai stremato dal possesso e dall’intensità richiesti da Montella. Scompenso creato centralmente, apertura su Mertens che converge e tiro. E gol, dopo un altro miracolo di Donnarumma. Facile, elementare, decisivo.
Un key pass secondo i big data, ovvero un appoggio chiave che crea un’occasione da gol. Direttamente dalla panchina, con autorità e classe e intelligenza. La stessa intelligenza che sta dietro un fallo tattico da giallo, al 90esimo minuto. L’ex Empoli ha rivoluzionato la partita del Napoli, dimostrando un’altra volta (dopo l’assaggio di Pescara) che il Napoli di Sarri aveva bisogno di calciatori di questo tipo e questo livello in panchina, per migliorarsi. E con un anno di lavoro in più, poi succede che una squadra sbavata e svagata perché ancora in difetto di ossigeno e condizione, sia già a +3 sulla sua edizione da record dell’anno precedente. Succede che pareggia con la Sampdoria di Eder e con il Milan di Niang, ma poi quest’ultima la porta a casa. Pur offrendo una prestazione altalenante. Da calcio d’agosto. L’abbiamo scritto ieri sera nell’analisi a caldissimo, ripetiamo la stessa identica frase. C’è da lavorare, con e su questo Napoli. Ma c’è anche da divertirsi.