«È più facile espellere me che quelli in doppio petto». Il sociologo dello sport spiega al Napolista cosa c’è dietro questa accusa di Sarri.
Parlando di Napoli-Milan e delle parole postpartita di Sarri, in una conversazione redazionale, non c’è stato un punto di incontro. Nel senso: non si riusciva a capire e interpretare bene una frase particolare, tra quelle pronunciate dal tecnico azzurro. La storia della tuta, delle espulsioni, degli allenatori in doppiopetto. Questa la frase: «È più facile espellere me che sono in tuta che un allenatore in doppio petto». C’è tanto in questa frase. Il richiamo alla lotta di classe, termine tanto obsoleto quanto calzante per l’immagine che Sarri si è in qualche modo ritagliato.
Luca Bifulco è un sociologo dello sport, lavora alle università di Napoli e a Salerno. Ha scritto libri sul calcio, su Maradona, su una prospettiva sociologica dello sport più seguito al mondo. Ci dice subito: «La premessa da fare è generale, e riguarda la sociologia: una forma di scienza che utilizza metodi empirici per studiare i fatti sociali. Quindi, da sociologo, devo prima dire che non credo ci siano studi di correlazione tra l’abito di un allenatore e le espulsioni. Anche perché, poi, si dovrebbe intrecciare il discorso con altre variabili situazionali: l’appartenenza al club (più o meno importante), la reputazione del mondo calcio, della Lega. Dell’allenatore stesso».
Insomma, ci spiega: un’analisi così non può prescindere dal fatto che Sarri è l’allenatore del Napoli. E non della Pro Vercelli, né tantomeno della Juventus o dell’Inter o del Milan. Il che, a pensarci, sarebbe fondamentalmente ingiusto per il mondo dello sport. Ma che, in realtà, è una cosa acclarata e assodata. Normalissima, da accettare. Anche se è difficile.
«Sarri – continua Bifulco – è una persona molto più intelligente della media e ha una sensibilità sociale e politica molto particolare. Per questo, la sua frase assume un significato importante che va al di là della fattispecie di Napoli-Milan o riferita alla sua esperienza e spiega una situazione precisa e determinata: quella dell’interazione tra arbitro e allenatore. Ovvero, tra due soggetti depositari di un potere diverso: l’arbitro, che ha una dimensione di potere decisionale assoluto (non a caso è etimologicamente associato al termine “arbitrio”) e può determinare una certa soglia di tolleranza; e l’allenatore, costretto a “subire”, in qualche modo, questa superiorità. Per questo, la sua frase racchiude un mondo in poche parole: il calcio fa parte della vita sociale, e in quanto fenomeno sociale vive di disuguaglianze. Potrebbe sembrare uno scandalo ma in realtà non è così: nella concezione tipica di sport moderno, l’unica disuguaglianza è data dalle prestazioni degli atleti in campo. È una bella cosa, ma non può essere così aderente con la vita reale, quella sociale: intervengono, perché devono intervenire, altre dinamiche. In sociologia sono tre i parametri fondamentali per spiegare le disuguaglianze: prestigio, potere e risorse economiche. E lo sport non fa differenza. Ci sono quindi differenze legate a fattori logistici e patrimoniali ma anche all’immagine e alla reputazione che ti porti dietro. Nel senso: l’allenatore di una squadra più “sfigata” riceverà molta meno deferenza, da parte di chi detiene il potere, rispetto a quello di una squadra blasonata».
Questione di appartenenza, quindi. E anche di immagine. La classica “sudditanza psicologica”, locuzione cui tutti fanno riferimento quando si parla di favori arbitrali. Un concetto fondamentalmente sbagliato eppure ineludibile: «Il rapporto tra arbitro e allenatore – spiega Bifulco – non è scevro da tutti i riferimenti che l’allenatore porta con sé. E la “tuta” di Sarri, in questo caso, identifica il posizionamento di Sarri in una particolare categoria di persone. Ovvero quelli che, nei modi e nel modo di presentarsi, possono apparire rozzi. Pure se non lo sono, esattamente come il tecnico del Napoli. Un gruppo sociale che, vuoi o non vuoi, comprende un numero maggiore di tecnici minori, quindi di squadre meno importanti, rispetto a quelli che allenano club più blasonati. Quelli del doppiopetto, per intenderci. Quindi, credo che la tuta sia un simbolo che identifichi queste disparità di posizionamento sociale. E, di conseguenza, questa differenza trattamento. Che, però, da un punto di vista sociologico e quindi empirico, è una caratteristica di tutti i fatti sociali. Il calcio è una situazione sociale, quindi va accettato che ci siano differenziazioni nei rapporti tra i soggetti. Anche se è una cosa che non ci piace, perché lo sport dovrebbe essere il regno dell’uguaglianza».
Chiaro, chiarissimo. Non si tratta di essere vittime del potere, ma di far parte di questo mondo. E di accettarne le caratteristiche, così come si fa con la vita di tutti i giorni. Anche se poi ti viene l’amaro in bocca. Come nella vita di tutti i giorni.
Luca Bifulco ci ha spiegato cosa volessero dire, più o meno (o meglio: secondo lui e secondo una prima analisi sociologica, pur senza dati), le parole di Sarri. Potremmo andare via soddisfatti, e invece gli chiediamo anche di Cavani e del mercato. Non perché potrebbe sapere qualcosa che noi non sappiamo, ma per farci dare una possibile interpretazione scientifica, sociologica, del comunicato di De Laurentiis. Soprattutto in relazione alla tifoseria. Anche qui, una logica premessa: «Il discorso sul calciomercato, sulla comunicazione, sul Napoli e sulla tifoseria azzurra è talmente ampio che potremmo stare qui per settimane. Detto ciò, io ho una mia opinione personale: che De Laurentiis abbia preso posizione sul caso Cavani è molto interessante. Secondo me, a lui non dispiacerebbe fare questo colpo: è un uomo di cinema, l’aspetto spettacolare del calciomercato, l’acquisto pirotecnico, fanno parte della sua cultura. Al di là di questo, il comunicato può assumere diversi significati: potrebbe dire semplicemente la verità, ad esempio, sull’impossibilità di acquistare Cavani. Il fatto che il presidente confermi la sua politica imprenditoriale e sportiva, in qualche modo, potrebbe avallare l’ipotesi che un tentativo è stato compiuto ma che serve comunque spiegare perché non è andato a buon fine». Semplice, pulito, lineare. Con Sarri e De Laurentiis, attraverso il calcio, Luca Bifulco ci ha spiegato pure un po’ come funziona la vita. Da un punto di vista scientifico, ovviamente. Il calcio è tutta un’altra cosa. O forse no?