La new way del calcio italiano e internazionale, a tutti i livelli: puntare sui giovani. Non è più una scelta obbligata, ma una politica virtuosa.
Quando abbiamo cercato di descrivere il mercato del Napoli nel segno dell’hype, abbiamo scelto il Borussia Dortmund come club di riferimento. C’era anche una sorta di appartenenza genetica, di grossa vicinanza di principi teorici tra il Napolista e l’ambiente della squadra tedesca. In alcuni periodi di critica ai nostri pezzi, siamo stati definiti il Dortmundista. In qualche modo, siamo sempre stati gratificati da questa definizione forse un po’ cacofonica, ma sicuramente apprezzabile.
Eppure, questo tipo di politica di mercato, calcistico ma non solo, fa capo a molte altri club. Europei, soprattutto. E da un po’, anche l’Italia sembra essersi in qualche modo (e finalmente) allineata a questi concetti, a queste idee nuove e rivoluzionarie per un calcio tradizionale come il nostro. La cosa più interessante, in questo senso, riguarda l’assoluta democrazia di questa new age della gestione sportiva: tutte le latitudini di classifica hanno una squadra che esprime queste idee di mercato, rischiose e affascinanti. Ieri abbiamo descritto l’organico e le scelte di mercato del Bologna, un club che teoricamente punta a una salvezza tranquilla. Non è molto distante dalla narrazione rossoblù la politica della Sampdoria 2016/2017, che ha innestato un gruppo di giovani di belle speranze (Praet, Linetty, Bruno Fernandes, Shick, Sala) in un organico già ricco di prospetti interessanti (Torreira, Pereira, Carbonero). La costante è quella dell’alta qualità, nell’immediato e in prospettiva. Le dovute proporzioni, rispetto al Bologna, dicono che la Samp è un’outsider nella corsa all’Europa.
E così via: si potrebbero citare Sassuolo, Pescara, Palermo. L’Udinese, capostipite della “politica dello scouting”. Tutti club che hanno in qualche modo deciso di modificare la connotazione del “puntare sui giovani”: prima si trattava di una scelta di ripiego, una specie di obbligo per chi non possedeva i mezzi per competere ad alti livelli, o comunque con le migliori squadre della propria nazione. Oggi, invece, questa scelta di programmazione e scouting e riciclo continuo di calciatori e giovani prospetti è diventata una strategia valida a tutti i livelli. Basta guardare altri paesi, altri contesti: in Germania, accanto al Borussia Dortmund (che, per inciso, ha vinto 0-6 nel match d’esordio in Champions League) ci sono Schalke 04 e Bayer Leverkusen. Due club, anzi tre, che per storia, blasone e dimensione attuale possono essere in qualche modo avvicinati al Napoli: del Borussia ormai sappiamo tutto, delle altre due vi basti essere a conoscenza che l’età media non va oltre i 24,6 anni del Bayer Leverkusen o al massimo i 24,7 dello Schalke. Che i loro acquisti di punta di questa estate sono Embolo (19 anni, allo Schalke dal Basilea) e Volland (24 anni, dall’Hoffenheim al Bayer). Gente sconosciuta, probabilmente, al grande pubblico. Che però riempie i taccuini degli scout da anni.
Dalla Germania alla Spagna o all’Inghilterra, la musica non cambia granché: il Siviglia di Sampaoli, il Valencia (l’età media più bassa della Liga, 25,3 anni), o magari l’Arsenal, il Liverpool di Klopp o il Tottenham di Pochettino: i Reds, quest’anno, hanno speso 70 milioni per Mané e Wijnaldum; gli Spurs, a lungo in lotta per il titolo nella scorsa stagione, hanno fatto il gran colpo con Moussa Sissoko, ma hanno pure speso 47 milioni per Janssen, Wanyama e N’Kodou. Per la precisione, 68 anni in tre.
La Premier è un altro mondo, ma questa strada sta andando oltre. E sta scorticando la porta dei top club. Quelli veri, quelli con gli sceicchi. Perché il Manchester City compra Gundogan e Nolito e avrà una età media pure alta (28 anni), ma intanto acquista pure Gabriel Jesus, Sané e spende 55 milioni (!) per un difensore di 22 anni (Stones); il Psg, per esempio, fa il gran colpo dell’estate con Krichowiak, poi prende un 23enne dal grande nome (Jesé del Real Madrid), ma pure un argentino di 20 anni dal Rosario Central (Lo Celso) e un terzino destro del Bruges, di cui si parlava anche in orbita Napoli (Meunier). Come dire: la Juventus è un modello cui tendere per organizzazione e risultati. Certo, vero, innegabile. Ma c’è anche altro, che è altrettanto grande e bello. Cui questo Napoli ha deciso di avvicinarsi. Noi, prima dei risultati, applaudiamo il coraggio e una scelta che ci paiono lungimiranti e pienamente in linea con la dimensione del club partenopeo club. E con quella del migliore calcio europeo. Del resto, siamo o non siamo il Dortmundista? (o magari anche lo Schalkista, il Siviglista, il Liverpoolista…)