Sette partite da qui alla prossima sosta, una ogni tre-quattro giorni. Sarri non ha mai amato le rotazioni, ma ora è diventata una necessità. E una possibilità reale.
Il mondo del calcio ha tempistiche tutte sue. A settembre, per esempio, cominciano gli esami. Soprattutto quando sei una squadra teoricamente in lizza per fare bene in tutte le competizioni e hai un nuovo progetto da mettere sulla bilancia dei risultati. La situazione diventa ancora più importante nel momento in cui il candidato, che ha superato brillantemente tutti gli step finora, si ritrova a dover gestire una nuova attrezzatura. Anzi, più che nuova diremmo più varia. In un contesto che ha semplicemente raddoppiato la necessità di applicazione perché è aumentata la difficoltà.
Sarri, il turnover e il tour de force che aspetta il Napoli. Un cognome che è un allenatore, un termine derivato dall’inglese e uno dal francese. Anche in questo siamo internazionali. Il Napoli si presenta a Palermo alla vigilia del primo grande ciclo della sua stagione. Anche l’anno scorso andò più o meno così quando si apprestava Empoli-Napoli, solo che c’era l’Europa League al posto della Champions League. Una differenza che sembra sottilissima, ma che invece ribalta il mondo. Perché aumenta il valore dell’avversario europeo, e quindi, di conseguenza, aumenta la quantità di difficoltà e di energia da spendere.
Ecco che, allora, Sarri si ritrova per la prima volta in carriera a dover organizzare un vero turnover. È un’imposizione delle e dalle contingenze, una cosa che non si può evitare. A meno che non si decida, scelleratamente, di abbandonare alle sole riserve uno dei due tornei. Una roba che, francamente, un club come il Napoli non può più permettersi. Per capirci, il senso di questa stagione è troppo diverso da quanto avveniva un anno fa, con l’Europa League che diventava un laboratorio e il campionato in cui giocavano sempre i migliori. No, stavolta la roba è diversa. Ma è diverso anche il serbatoio da cui attingere.
Sarri, a Castel Volturno oggi, si guarda attorno e vede quello che probabilmente è l’organico più completo dell’era De Laurentiis. Anzi, senza probabilmente. È proprio una questione numerica: due calciatori per ogni ruolo, più le alternative giovanissime e i possibili adattamenti. Un’infinità di combinazioni possibili. Una cosa su cui Sarri deve essere pronto a scommettere e a fare affidamento. Non come l’anno scorso, quando in campionato c’erano gli undici titolarissimi e poi Mertens, distante dall’undicesimo più utilizzato (Insigne) 1540 minuti giocati.
La sfida è duplice: permettere a tutti i calciatori di entrare davvero in questo Napoli e far sì che questo Napoli non subisca scompensi dalla mancanza obbligata e non di qualche calciatore dell’undici ideale. Una roba che è fattibile, ma che non ha ancora avuto una controprova. Non l’ha potuta avere, in questo senso siamo con Sarri: a Pescara e contro il Milan, gli unici nuovi a disposizione erano Milik e Zielinski. Entrambi, in un modo o nell’altro, sono stati utili. Anzi, decisivi. Il resto degli acquisti è praticamente arrivato tutto dopo, è stato integrato in questo momento strano delle nazionali e fin da Palermo-Napoli sarà davvero parte del progetto. Da qui, quindi, si comincerà a individuare la strada che Sarri vorrà percorrere. E sarà una scelta decisiva per il futuro del Napoli.
Noi siamo curiosi, perché già da lì si capiranno tante cose. Non dall’attacco, perché quello è destinato a variare sempre a meno che Milik non sia davvero sempre così e quindi possa chiudere a 38 gol, non a 36. Ma da quello che succederà a centrocampo, soprattutto, con lo stesso Zielinski che parte avanti per dare fiato ai tre dell’apocalisse e poi Rog e Diawara che stanno lavorando per essere al livello. Più Giaccherini.
Palermo sarà fondamentale perché sarà la prima gara di campionato pre-Champions, e si gioca a tre giorni da una partita in trasferta difficile dal punto di vista tecnico ed ambientale, ma anche logistico (Kiev non è proprio dietro l’angolo). Dopo, andrà sempre così: quattro giorni e ci sarà il Bologna, altri quattro e poi si andrà a casa del Genoa; ancora quattro e poi verrà Napoli-Chievo, poi Napoli-Benfica e infine Atalanta-Napoli. Un ritmo infernale, non ulteriormente aggravato da match difficilissimi. Anche se, sulla carta, siamo tutti bravi a dire che il Napoli è più forte di tutte le sue avversarie da qui a ottobre. Sono cose che vanno verificate in campo.
Anche questo, se vogliamo, è un ulteriore stimolo per Sarri. Che potrebbe farsi ingolosire dalla possibilità di provare i nuovi in match un attimo meno complicati. Anche perché dopo Bergamo c’è la sosta, ok. Ma poi si riparte con Napoli-Roma e Besiktas-Napoli, e a quel punto il turnover deve essere diventato una cosa normale per questa squadra e per questo allenatore. A cui non piace tanto, ma che adesso ha davvero la necessità di farselo piacere. Anche perché le possibilità, a differenza dello scorso anno, ci sono proprio tutte. Tocca a Sarri dimostrare di essersi piegato alle necessità e alle contingenze. Di aver adattato la sua idea a quanto di bellissimo ed eccitante gli sta accadendo intorno. Altrimenti, si finisce come l’anno scorso, inevitabilmente: a marzo, con la lingua corta e il gioco un po’ annacquato. Superasse anche quest’ultimo esame, potrebbe aspirare anche al bacio accademico. Del calcio, che certificherebbe di aver trovato un mago vero, totale e completo della panchina. Di Napoli, che l’ha adottato senza remore e riserve dopo la splendida cavalcata dell’ultima stagione, non aspetta altro. Anche “il” Napoli, che ha praticamente deciso di sostituire Higuain con la possibilità di fare turnover, si aspetta proprio quest’ultimo riconoscimento. Se lo meriterebbe pure lui, mister Maurizio. Che faccia, se non il meglio, almeno il possibile. Dipende tutto da lui, da scelte che può fare benissimo anche se non sono proprio le sue. Ha già cambiato le sue idee l’anno scorso, creando un Napoli fantastico. Tocca rifare più o meno la stessa cosa, ora. Fattibilissimo. Poi, solo poi, toccherà ai suoi uomini.