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Careca, il proiettile perfetto di Maradona. Diego prendeva la mira, Antonio sparava

Il mio Careca. È sempre arrivato prima di tutti. Non ho mai scritto per lui, perché l’ho amato di più.

Careca, il proiettile perfetto di Maradona. Diego prendeva la mira, Antonio sparava

Antonio Careca, lo prendevamo in giro perché sapeva dire una sola frase. E la ripetevamo ridendo “io so venuto du Brasil pe fa gol”, ridevamo come deficienti di questa frase mezza napoletana e mezza portoghese (un portoghese inventato da noi), che Careca aveva pronunciato un paio di volte, ma che per gli adolescenti era diventata “sempre”. Stupidaggine rimasta nell’immaginario mio e dei miei amici di sempre, ancora ce la ripetiamo quando qualcuno di noi non sa cosa dire. Careca è il giocatore di curva, l’attaccante fortissimo che ci ispirò cori mutuati (già allora) da orribili canzoni. Ma era Careca, l’uomo che faceva i cento metri palla al piede in “11 secondi”, no “12”, no “10 e 5”, a seconda di chi la raccontava. Certo era velocissimo, e noi ci vantavamo di quella velocità, ognuno di noi l’aveva cronometrato personalmente a Soccavo. Quante ce ne inventavamo. Quanto era veloce Careca, quanto era forte Careca. L’immagine perfetta, che sintetizza i ricordi di quegli anni, è quella in cui Careca entra in area velocissimo, sul lato destro, palla al piede. Careca che corre e batte il portiere, con un tiro di collo pieno, a mezza altezza. Careca era il proiettile perfetto di Maradona. Diego prendeva la mira, Antonio sparava.

Ho scritto poesie per Maradona, racconti con e per Maradona, ma non ho mai scritto per Careca, e me ne vergogno un po’, perché forse io Careca l’ho amato di più. E allora non ho mai scritto niente per troppo riserbo, perché Careca non se ne faceva nulla di un racconto o di una poesia, non avrebbe avuto tempo di fermarsi a leggere, correva troppo veloce. Il racconto lo scriveva lui, durava due secondi, il tempo che impiegava il pallone per fare il percorso dal suo piede all’incrocio dei pali. La verità è che ho sempre pensato che si possa amare un fuoriclasse, un campione, ma non si possa amare mai, davvero, il migliore. Ecco perché quando penso al Napoli di quegli anni mi commuovo se mi torna in mente Careca, mi esalto se mi torna in mente Maradona, e rido (ancora incredulo) per la forza inaspettata (pure a posteriori) di De Napoli.

Il mio Careca, quello che vola verso la porta nella partita contro il Bayern, quello che fa quel gol impossibile contro l’Inter a San Siro, quello della tripletta contro la Juventus, quello del controllo di sinistro e mezzo pallonetto di destro sul portiere in uscita, contro la Roma. Quest’ultimo, in particolare, è fantastico, perché tutto accade in un secondo, e la palla tocca terra soltanto dentro la porta. Il mio Careca, le braccia alzate, l’esultanza sempre contenuta, ma vera. Careca che, quando segnava, gli leggevi negli occhi la felicità. Careca inseguito invano da Costacurta. Careca che salta il portiere a velocità doppia. Careca del pallonetto al volo. Careca dei gol dalla linea di fondo. Careca che si inginocchia e quasi non ci crede, e poi arrivano De Napoli e Maradona, e si inginocchiano con lui; la partita la conoscete tutti.

Il mio Careca, dai miei sedici anni ai ventidue, siamo cresciuti insieme. Careca è la faccia felice dei miei ultimi anni a Napoli. Mentre Careca segnava io ho capito molte cose e ho fatto alcune stupidaggini, come tutti, intanto Careca segnava. Careca, il velocissimo. I portieri e i difensori sempre un attimo dopo, come la nostra esultanza. Careca che ha ragione quando dice che avrebbe meritato di vincere di più. Careca che si occupa di bambini, dopo essersi occupato di noi. Careca, che Zenga e Tacconi ancora lo sognano. Franco Baresi che, col braccio alzato, lo sta ancora cercando. Careca, che Sergio Brio pensava di averla fatta franca dopo il salvataggio sulla linea. Careca e i suoi 95 gol, che avrebbero meritato tutte le telecamere che ci sono adesso, molti più replay; anche se applicare il replay a uno così veloce è un ossimoro. Careca, diretto e preciso e pieno di bellezza come una poesia. Careca, sintetico e senza aggettivi, che per scrivere di lui bastano 4000 battute, senza sprecarne nemmeno una. Careca che è sempre arrivato un attimo prima di tutti e di me, perfino il giorno del suo compleanno che era ieri e a me è venuto in mente oggi.

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