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Come gioca la Juventus: crea tanto e subisce quasi niente, ma ha dei punti deboli

Analisi tattica approfondita dei bianconeri: un inizio con grandi risultati colti pur senza brillare troppo, l’equivoco Pjanic e la miglior posizione (ancora da trovare) per Higuain.

Come gioca la Juventus: crea tanto e subisce quasi niente, ma ha dei punti deboli

Le analisi fatte finora sulla Juventus convergono più o meno tutte in un’unica direzione: questa squadra non si esprime ancora come potrebbe e ha fatto intravedere solo parte del proprio potenziale. A voler prendere per buone queste affermazioni, ci danno la misura di quale questo possa essere, considerando che delle 13 partite in stagione ne hanno vinte 10, lasciando per strada soltanto un pari e due sconfitte. Un rendimento, per dire, che a parità di partite giocate su scala europea è inferiore solo a quello del Real Madrid ed è praticamente in linea con quello di Bayern Monaco, Barcellona e Manchester City.

Una corazzata

Parliamo, comunque la si voglia vedere, di un’autentica corazzata. Capace di non subire praticamente nulla dagli avversari (7,1 tiri a partita concessi agli avversari in campionato, dato sostanzialmente identico in Champions) ma anche, contrariamente a quanto si dice, di sfornare un’ottima produzione offensiva. I tiri a partita sono 18,2, di poco dietro a Napoli e Roma, se ne facciamo una questione di occasioni potenziali create tramite passaggi chiave i bianconeri restano dietro soltanto ai giallorossi (13,7 contro 14,6). Dati che alla fine non stupiscono nemmeno, se parliamo di una squadra capace di vincere 34 partite delle ultime 38 in serie A. E che per la solidità che ha dimostrato non ha nemmeno bisogno di tenere particolarmente a lungo il pallone (il 55,5% medio la piazza addirittura al quinto posto in questo fondamentale).

Nessuno è perfetto

Qualche punto debole c’è, comunque, e a dimostrarlo sono le sconfitte in entrambi i viaggi a San Siro. Non tanto quella con il Milan, dove i bianconeri si resero alla fine protagonisti di una buona partita da 58% di possesso palla e 22 conclusioni totali verso la porta. Il Milan, che davanti non riuscì a spingersi più di tanto (solo 8 tiri verso Buffon), fondamentalmente si limitò ad aspettare l’avversario piuttosto basso per non concedergli la profondità e costringendolo a un gioco perimetrale senza troppi sbocchi. Infatti, più della metà delle conclusioni furono scagliate da fuori area e solamente 3 in tutto raggiunsero lo specchio della porta. La Juve tenne anche bene il campo risultando piuttosto corta, ma non riuscendo a penetrare con efficacia tra le due linee rossonere.

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Il campetto posizionale medio dei bianconeri in Milan-Juve. Difesa ed esterni piuttosto alti, squadra compatta e con buone distanze tra i reparti ma con le punte decisamente troppo basse e incapaci di trovare la verticalità.

I problemi offensivi della squadra di Allegri, in quel caso, furono esemplificati in particolare da un dato. Dybala, uscito per infortunio alla mezz’ora, toccò 25 palloni. Higuain, rimasto in campo tutti i 90 minuti, concluse la gara toccandone altrettanti. Sul numero 9, e non potrebbe essere altrimenti, ci torneremo. Ora analizziamo l’altra partita giocata a San Siro dai bianconeri. Contro l’Inter lo sviluppo della gara fu ben diverso. I nerazzurri surclassarono la Juventus nel numero di conclusioni verso la porta (16 a 9), nel numero di occasioni reali o potenziali create (12 a 6) ma anche nella grande prerogativa bianconera, ossia dal punto di vista fisico: 22 duelli aerei vinti a 16 e 16 contrasti vinti a 10. Alla fine di quella gara, Allegri ammise che era stata la peggiore esibizione della Juventus da parecchio tempo a questa parte. Il che ci racconta una grande verità: i campioni d’Italia saranno anche maestri nel giocare sottoritmo e gestire a piacimento le partite, ma anche loro, quando esagerano e vanno al di sotto di una certa soglia di intensità e attenzione, rischiano. E soprattutto, possono essere aggrediti.

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Campetto posizionale medio degli uomini di Allegri in Inter-Juventus. Salta subito all’occhio la posizione a cui sono state costrette le mezzali, gli esterni e i difensori centrali, molto più bassa del solito.

Ripetersi, migliorarsi

È una Juventus che bene o male gioca in maniera sempre uguale a sé stessa. Difesa a tre per non concedere facilmente l’uno vs uno e le imbucate centrali, con uno dei tre deputato alla prima costruzione (quasi sempre Bonucci, più raramente Chiellini che si butta dentro il campo per attirare su di sé la pressione di un centrocampista e iniziare a muovere lo scacchiere avversario). Esterni a tutta fascia e centrocampo a tre dalla duplice funzione: raddoppi costanti sull’esterno in fase di non possesso, in quella attiva possibilità di giochi a due e sovrapposizioni esterne ed interne (soluzione, quest’ultima, praticata molto più spesso quest’anno specie con Dani Alves che tende a tagliare dentro il campo). Due punte preferibilmente dalla struttura fisica diversa per garantire l’alternanza corto/lungo e i movimenti a ricevere palla dai centrocampisti o ad attaccare la profondità. Da questo punto di vista, nonostante l’assenza di Dybala, difficile ipotizzare che Allegri riproponga il doble pivote (Higuain-Mandzukic) visto contro la Sampdoria. Sia per un discorso di gestione delle energie, sia perché in questo modo darebbe troppi punti di riferimento alla difesa napoletana, non potendo trarne un chiaro vantaggio fisico (anche senza Albiol, il Napoli è in grado di schierare una coppia centrale in grado di rispondere praticamente alla pari da quel punto di vista) e rinunciando oltretutto ad allungarla (i due non sono lenti ma nemmeno delle schegge, sviluppando velocità per lo più in progressione).

Decisamente più probabile che venga schierato Cuadrado da seconda punta per sfruttarne la capacità di muoversi tra le linee e lo spunto nell’uno contro uno per far saltare qualche meccanismo, nonché il possibile gioco a due con Dani Alves, un po’ come avviene con Dybala. Non è un caso che in assenza dell’argentino sia stato il colombiano ad aver determinato la vittoria bianconera a Lione e ad aver propiziato la rete che ha sbloccato il risultato contro la Sampdoria, anche se in entrambi i casi partiva dall’esterno e da seconda punta a Milano si è sì conquistato diversi falli (4, record di squadra) ma per il resto non ha inciso granché.

Un’assenza pesante

A proposito di Dybala, è lui in realtà il vero catalizzatore del gioco juventino. Lo dicono chiaramente i numeri. L’ex Palermo in partita è quello che conclude di più verso la porta in tutta la squadra (3,8 conclusioni), che tenta di più il dribbling e lo concretizza maggiormente e, dopo Pjanic e gli esterni, quello che maggiormente manda verso la porta i compagni (2 assist già realizzati e 2 key passes di media). E che, escludendo Milano dove ha giocato solo 30 minuti, nelle restanti 7 presenze in campionato ha toccato 64 palloni a partita, dato ragguardevole per una punta. Qui, ci ricolleghiamo a Gonzalo Higuain. Che finora ha avuto sicuramente un buon impatto complessivo in bianconero considerati i 7 gol finora realizzati in stagione, ma, altrettanto certamente, è meno determinante nel gioco di quanto avvenisse a Napoli. La Juventus, fin dai tempi di Conte, non vede nella prima punta il centro di gravità della squadra e con Allegri la situazione è rimasta la stessa. L’attaccante in quel contesto deve spendersi anche come specchietto per le allodole per favorire la seconda punta, i tagli degli esterni o gli inserimenti dei centrocampisti. Non è un caso che Higuain tiri verso la porta poco più della metà delle volte rispetto allo scorso anno (concluso con 5,2 tiri a partita, al momento siamo fermi a 2,9). E’ partecipe della squadra come lo era a Napoli, ma non è più il primo finalizzatore, o almeno non è l’unico.

Negli ambienti vicini ai bianconeri, si sostiene, a giusta ragione, che per sfruttarne al meglio le doti sottoporta bisognerebbe riposizionarlo al centro di un tridente. Ma è una soluzione che nella Juve di adesso difficilmente vedremo. Il passaggio a una difesa a 4 è lungi dall’essere metabolizzato. Anche se forse, qualcosa potrebbe cambiare con il ritorno di un vero e proprio regista davanti alla difesa. Parliamo ovviamente di Claudio Marchisio. Che contro la Sampdoria non ha toccato molti palloni (solo 58) ma ha messo la sua intelligenza tattica e il suo senso della posizione a servizio della squadra. Ciò si è avvertito nella copertura degli spazi e nei 5 eventi difensivi. In questo senso, la presenza del centrocampista della Nazionale potrebbe finalmente sgravare da compiti di regia vera e propria e di copertura Pjanic, che al momento è stato il vero equivoco tattico della Juventus. Non per le sue doti con la palla tra i piedi (finora 2 gol e 2 assist e una media di 3,1 passaggi chiave a partita, la più alta in squadra) ma per quelle, che oggettivamente non ha, di equilibratore. Troppo basse le medie per tackles (1) e palle recuperate (0,9). Sgravato da compiti di copertura, il bosniaco potrebbe iniziare a dare il meglio, e così l’intera mediana della Juventus.

Conclusioni (e consigli, per il Napoli)

Tirando le fila del discorso, è molto probabile che Allegri confermi il 3-5-2 (lo ha praticamente detto in conferenza stampa) e che lo faccia senza esperimenti come Dani Alves nel trio difensivo visto contro la Sampdoria. Il tecnico livornese schiererà una squadra di sicuro affidamento che cercherà di tenere sotto controllo la situazione in tutti i settori del campo, per evitare di lasciare spazio alla proprietà di palleggio azzurra e alla velocità degli interpreti. Al contrario, proprio su questo dovranno puntare Sarri e i suoi. A un recupero palla più alto possibile e al ritmo sostenuto per cercare di mettere in crisi il gioco posizionale dei bianconeri. Che non possono essere contrastati opponendo una gestione del pallone compassata, in cui sono sicuramente più bravi. Più alto sarà il ritmo impresso al match dal Napoli (anche se questa volta, rispetto a qualche mese fa, la Juventus difficilmente aspetterà a prescindere le nostre mosse), maggiori saranno le probabilità di fare risultato.

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