Di ritorno dalla Cina, De Laurentiis è sembrato più vicino a quelle idee che tradì per farsi bello agli occhi della piazza.
È stato un De Laurentiis che ha mostrato una veste diversa, quello ascoltato venerdì. Non è mutato il suo incedere istrionico, il suo parlare spesso per iperboli contenute in milioni di parentesi che si aprono e non sempre si richiuderanno. Ma è anche apparso rafaelita nei contenuti affrontati e nel tono usato per discuterli, in modo un po’ curioso ed inaspettato visto che, da presidente che ebbe il merito di ingaggiare il tecnico spagnolo nel recente passato, fu anche colui che non esitò, al momento cruciale, a compiere il passo indietro tradendone il progetto e presentandosi da papà buono e responsabile agli occhi del tifo turbolento (come scrivemmo sul Napolista). Napoli al fascino del padre raramente sa sottrarsi, e il presidente lo sa bene.
Al di là del richiamo indirizzato ai giornalisti alla necessaria semina comune nel calcio, laddove imperversa il gusto spicciolo per la polemica che ammazza gli innamorati di questo sport (una riedizione dello spalla a spalla famoso) – è stata potente l’immagine che il presidente ha restituito del Napoli odierno e del suo rapporto distorto con la storia, la vera palla al piede di questa esaltante esperienza pallonara.
Mi fa tenerezza – ha confessato De Laurentiis – che non si capisca che noi non abbiamo ereditato il Napoli.
Non è poca cosa, direi. Per il presidente non c’è continuità col passato perché quel passato è morto sepolto e zincato sotto diversi chilometri di terreno. Il filo lo ha spezzato la storia. Una osservazione che ricorda il Benitez che augurava di vedere meno bandiere di antiche glorie sventolare allo stadio e più facce di Hamsik e compagni. Auspicio che, sinora, tale è rimasto.
Il motivo di questa cesura – continua il presidente – sta nel fatto che il pensiero che il Napoli potesse ricominciare la propria avventura dalla serie C gli faceva “da un lato schifo, dall’altro tenerezza”. Due sostantivi scabrosi ma soppesati. Come si poteva immaginare che anche solo la ragionevolezza consentisse un assassinio e una resurrezione di questo calibro? “Ho preso un bambino appena nato. Il giudice mi ha dato un pezzo di carta”. Decenni di racconti condensati su un foglio contabile. Pare di vederlo all’ufficio dell’anagrafe. Una cesura che è effettivamente avvenuta nelle aule di tribunale sotto il peso sia dei fallimenti societari che delle illusioni dei tifosi. Anche illudersi è creare un debito, sembrerebbe di poter dire.
Mi è parso un De Laurentiis rafaelita perché, ad oggi, mi sembra l’unico in questa società a saper tenere viva una qualche inquietudine sul presente e una volontà di liberarsi del passato oppressivo che continua ad incombere su squadra e città. L’unico ad accarezzare l’idea moderna del presente che non basta – “Pensate che non mi stia stretto il Napoli? Mi sta strettissimo” – dirà, riferendosi a un luogo, fisico e dell’anima, che è insufficiente, che non sa contenere tutto quanto ci sarebbe da vivere, e non solo quando si disquisisce di stadio e quartiere, ma ogni volta che si immagina un sistema, quello di cui siamo parte, che sa asfissiare molto più facilmente di quanto sappia lasciar nascere. Ed il passato, inestinguibile, mirabile iattura, che ha condotto da queste parti un miracolo evitando di raccontare che esso nasconde sempre una postilla con l’enorme richiesta di pagamento appena dilazionato in cambiali. Non so se sia una buona notizia che il più rafaelita della compagine sia rimasto il presidente. Ma tant’è.
“Siamo una copia sbiadita, ormai, di quello che saremmo potuti essere”. L’ha chiusa così. Forse era Rafael Maudes a parlare. Stavolta, però, l’alibi dello straniero borioso non tiene. Ci si può sempre giocare quello del romano pappone, ma ormai anche quello stenta. “Faccio pippa”. “Sto al mio posto”. Eppure non basta. Eppure non gli basta. Vedremo se basterà a noi. I viaggi in Cina non gli fanno troppo male, tutto sommato.