Uomo copertina come calciatore, arma tattica, trascinatore. Ha sfruttato la sua nuova dimensione di titolare per prendersi il posto di Falso Nueve. Andiamo a Torino senza Gabbiadini, ma pure senza paura.
Raffaele Bracale, nel meraviglioso lavoro che poi è lo scritto del nostro parlato, ha definito Dries Mertens ‘o rre mMida p’’o Napule. Il nostro Re Mida, per chi non riuscisse a capire subito l’idioma. Secondo il nostro linguista, tutto quello che il belga tocca diventa oro, come la palla del primo gol recuperata altissima e poi messa al centro per Callejon. Un’esagerazione, e ci perdoni il maestro Bracale: fosse stato davvero Re Mida, il pallone che nel secondo tempo poteva valere il 3-0, a Cordaz già superato, sarebbe diventato il suo gol numero sei in stagione. Invece, niente. Un Re Mida a metà.
Scherzi a parte, con Bracale e con Dries, c’è da dire tanto sul ragazzo di Louvain, 100mila abitanti nel Brabante fiammingo, a 30 km dalla capitale Bruxelles. Difficile immaginarsi un luogo più diverso da Napoli, forse giusto la Slesia di Milik e Zielinski. Eppure, Mertens è uno di noi. È elettrico, arrangione, casinista, strafottente. È uno che, questo non abbiamo paura di dirlo (anzi, lo scriviamo in grande e in bold), SI È GIOVATO DELL’ADDIO DI GONZALO HIGUAIN. Non sappiamo quanto e se i due calciatori, Dries e Gonzalo, fossero amici. Col tempo, nel tempo, abbiamo colto molti abbracci, tanti sorrisi, ma anche qualche piccolissimo momento di screzio tecnico, di insofferenza del passaggio. Il Pipita, lode a lui, era uno che voleva e deteneva l’esclusiva dell’assist. A lui o a nessuno, anzi a lui o niente. Mertens, che è un po’ come ogni napoletano e quindi anche un po’ argentino (Sudaca, come si dice in Spagna per disprezzare i sudamericani), non poteva non soffrire di questa cosa.
Non lo confesserà mai, ma anche lui voleva il pallone. Si voleva divertire, voleva dribblare, tirare, sbagliare. Non sempre gli era concesso, perché Gonzalo andava servito. È capitato, come nella rovesciata del record. Altre volte meno, però.
La nostra frase scolpita nel bold di cui sopra non si nutre di sole sensazioni, però: è anche una questione di cifre, di statistiche. Dries Mertens, quest’anno, ha già segnato le metà delle reti realizzate nelle due ultime stagioni, più di un terzo di quelle messe insieme nella prima annata napoletana, quella con Benitez. E siamo solo a fine ottobre, con altri sette mesi di calcio davanti. Oltre al semplice numero dei gol, parla quello dei tiri tentati verso la porta: uno ogni 16 minuti giocati di Champions League, uno ogni 19 in campionato, con un’accuracy del 76%. Alta, altissima precisione balistica. L’anno scorso, in Serie A, Mertens ha tirato una volta ogni 56 minuti di gioco.
Quando Sarri dice che “il Napoli ha cambiato qualcosa”, si riferisce soprattutto a questo: allo spostamento in avanti e verso il centro dell’esterno di sinistra, una manna per un calciatore in grado di svariare ma anche di tirare con buona coordinazione come Dries Mertens. Allo stesso modo, questo cambiamento tattico ha in qualche modo penalizzato Lorenzo Insigne, calciatore più strutturato e che necessita di uno spazio ampio, aperto davanti a sé per indovinare la giocata col destro, al di là dello spunto personale. Mertens si è giovato di questa novità, nata per assecondare Milik (e Gabbiadini) e si è ricostruito un’immagine da titolare che gli mancava da un po’: l’anno scorso, Dries era il dodicesimo uomo e tale è rimasto se non per alcuni sporadici momenti. Nel turnover scientifico di Benitez, il belga occupava più o meno la stessa posizione gerarchica, leggermente dietro a Insigne ma con qualche possibilità in più di giocare rispetto al Sarri 1.
Il Sarri 2.0, invece, è una squadra che ha bisogno di Mertens. Ne ha bisogno dal punto di vista tattico, tecnico, emotivo. Come calciatore, come atleta, come uomo simbolo.
Scriviamo mentre apprendiamo la notizia della sentenza di Gabbiadini. Due giornate. Non dovremmo, ma dobbiamo dirlo: non abbiamo ansia. Certo, andare a Torino con zero attaccanti è un’altra cosa rispetto che andarci con due, o almeno con uno. La mancanza di Gabbiadini, però, non si è sentita mai finora: in Champions, nella partita che il Napoli ha giocato meglio del trittico di sconfitte consecutive, c’era proprio Mertens al centro dell’attacco. L’ingresso di Manolo ha portato a un rigore segnato, non a un reale cambiamento in zona offensiva: una prima dimostrazione di coraggio e di non passività che poi ha conosciuto la sua appendice negativa ieri, nello sconsiderato gesto di Crotone.
Quasi una settimana dopo, possiamo dire che Dries ha sfruttato la sua nuova dimensione da calciatore titolare per impadronirsi della posizione di nueve. Ha anche segnato, quindi vuol dire che ha interpretato bene questo ruolo per lui inedito. Ha sbagliato un altro paio di buone occasioni, ma nessuno nasce imparato, per continuare ad utilizzare uno stile che il nostro Bracale apprezzerà. Insomma, accogliamo la sentenza con un po’ di rammarico, ma sappiamo che c’è Dries, napoletano mancato di Louvain. Come attaccante, come uomo squadra, come volete voi. Come trascinatore, soprattutto. Più che le mancanze tattiche, le assenze combo Higuain+Milik hanno tolto proprio questa figura qui, al Napoli. Sta toccando a Mertens ereditare quest’onere. Lo sta facendo la sua miglior versione possibile, nel modo migliore possibile.