L’uomo simbolo del Besiktas arriva al San Paolo due anni e mezzo dopo la sua unica partita in questo stadio. Un ritratto aneddotico di un calciatore dalle mille sfumature.
C’ero, quella sera. Era Napoli-Porto, all’andata era finita 1-0 ma li avevamo fatti neri per tutto il primo tempo. Una delle classiche notti del Napoli di Benitez che non puoi ricordare col sorriso perché è finita male. Un gol meraviglioso di Pandev, un tocco sotto su assist diagonale di Higuain sotto di noi, la Curva A. Ci credevamo, sapevamo che quel Napoli era una bestia più europea che italiana. L’aveva dimostrato in Champions (12 punti in mezzo ai giganti); l’avrebbe dimostrato l’anno dopo arrivando in (semi)finale di Europa League, io sono ancora dell’idea che Napoli-Dnipro sia finita 1-0 senza il gol irregolare e poi in Ucraina abbiamo fatto come a Wolfsburg. Bello, il mio universo parallelo.
Comunque, Napoli-Porto. In realtà è già finita, c’è ancora qualche speranza però. Ha segnato Ghilas alla prima azione della partita, sua e della sua squadra. La classica palla dentro che la difesa di Benitez non legge, corsa verso Reina e gol a tu per tu. Ci voleva ancora un po’ di tempo, un gol del Napoli avrebbe acceso il finale. Fu lui a decidere di no: Ricardo Quaresma. Uno dei dieci calciatori stranieri più dileggiati nella storia della Serie A, roba alla Luis Silvio Danuello o Darko Pancev (chicche anni Ottanta o Novanta), o alla Fernando Torres per gli anti-nostalgici. Arriva all’Inter insieme a Mourinho, che fa spendere uno sproposito a Moratti. Lui a sinistra, Mancini a destra, Ibra al centro. L’Inter spettacolo del portoghese della panchina con la miglior ala portoghese in campo, dicevano. Come no. Quaresma avrebbe partecipato alla vittoria del Triplete della stagione successiva, era l’unico superstite di quel tridente. Ebbe un ruolo importante: 13 presenze stagionali. Finì al Besiktas, subito dopo. Poi andò a Dubai, sembrava perso. Lo riprese il Porto, giocò titolare al San Paolo. Male, come tutto il Porto. Poi, all’improvviso, il risveglio. Suo e nostro. Solo che lui si svegliò dal torpore, noi da un sogno.
Un gran gol. Anche se Inler (ah, stasera c’è anche lui in campo), in realtà, andrebbe a contrastarlo un poco moscio. Anzi, in realtà non ci va proprio. Però, bel gioco di gambe e tiro fantastico. Uno di quei casi che non puoi incolpare Reina, insomma.
Se vai a controllare, è l’unica partita che ha giocato al San Paolo. Un peccato, perché Quaresma è il classico giocatore che il pubblico di Napoli applaude perché sente vicino alla sua indole. Ribelle in campo, scanzonato fuori. Il dribbling, le invenzioni, la trivela. Immaginatevi solo per un attimo la letteratura di sfottò, insulti e battute varie se Quaresma fosse mai venuto al Napoli e avesse mancato uno dei suoi proverbiali colpi d’esterno. Magari mancando la palla, magari colpendo l’erba. Sarebbe stato divertente.
Ora torna durante la sua seconda giovinezza, in cui è riuscito a recuperare un po’ del tempo perduto durante la prima. Che poi, da Quaresma, uno deve aspettarsi fin da subito che perda tempo. In un’intervista rilasciata mentre stava diventando un calciatore importante, ricorda così i suoi esordi:
«Tutti i genitori venivano a prendere i propri figli, gli chiedevano com’era stato l’allenamento, cosa avevano fatto, salivano sulla macchina e se ne andavano. Per me non veniva nessuno, mia madre doveva lavorare continuamente per mettere qualcosa in tavola. Io rimanevo lì, poi me ne andavo a casa coi mezzi, da solo, quando mio fratello era impegnato nelle categorie maggiori e non aveva i miei orari. Il groppo alla gola lo scioglievo solo quando se n’erano andati tutti. Lo trovavo profondamente ingiusto, mi chiudevo in me stesso ed ero arrabbiato col mondo».
Oggi, Quaresma è un calciatore affermato. Un campione d’Europa col Portogallo, ma da riserva. Da quello che entra a un certo punto della partita per «dare qualità». Lo ha fatto anche nella finale con la Francia, aveva una piuma bionda tinta sulla testa rasata. Fantastico. Sfoga così questa sua frustrazione sempiterna, questo suo sentirsi da sempre inadeguato. In campo, ha finito di essere discontinuo per trasformarsi in calciatore che vede la pensione, ma che è ancora troppo forte e decisivo (in Turchia, col Besiktas), seppure a sprazzi, per poterci andare: l’anno scorso, 26 presenze con 4 gol e 6 assist. Più nove ammonizioni e due espulsioni, ma quelle fanno volume. Fanno personaggio.
Torna al San Paolo, Ricardo Quaresma, da protagonista annunciato. Se fossimo Trapattoniani, diremmo anche “da spauracchio”. Non tanto per quel bel regalino fattoci due anni e mezzo fa, quanto per il fatto che sia ancora oggi una buona attrazione in campo, la massima attrazione della sua squadra. A naso, dovrebbe giocare esterno nel tridente. Sì, proprio come l’Inter portoghese col portoghese in panchina. Non gliene vogliamo, perché dovremmo, però speriamo che gli vada come allora anche stasera.
Cos’altro dire? Ah, sì: è passato anche per il Barcellona, stagione 2003/2004. Giovanissimo, fu uno dei colpi ad effetto del neopresidente Laporta: 22 presenze, un gol e un’estate a porre l’aut-aut con il tecnico Rijkaard. Finirà al Porto, ripartirà da lì ma come abbiamo visto sarà destinato a perdersi altre cento volte. Le ultime due curiosità: durante le sue partite negli ultimi anni delle giovanili, ha un giovane tifoso sugli spalti. Sono cresciuti entrambi nello Sporting Lisbona, questo ragazzino è più giovane di un paio d’anni. Cerca di copiargli lo stile e le giocate, vede Ricardo come un idolo assoluto. Si chiama Cristiano Ronaldo. Poi, ma questa è davvero l’ultima anche se ce ne sarebbero altre duemila, l’esordio in Serie A: Inter-Catania. Lo dovevi capire quel giorno, come sarebbe andata a finire. Quaresma segna con la sua trivela, ma brutta e deviata. È il suo unico gol con l’Inter. Siamo d’accordo, quindi. Quello al San Paolo l’ha già fatto, ha esaurito i bonus. Speriamo.