Un figlio che ti ha fatto incazzare devi salutarlo ferendolo dove è più vulnerabile, nell’orgoglio appunto.
In quale modo un padre deve salutare il figlio che l’ha fatto incazzare? L’uomo in tuta, mister Sarri, come se non bastassero le altre diavolerie, questa volta gioca a fare lo psicologo e tocca a tutti porsi il problema e magari dare una risposta. Ci prova anche il cronista pescando nei ricordi del liceale che fu e conclude che la mortificazione più cocente papà Mario gliela inflisse rispondendo ad un suo comportamento moralmente scorretto oltre che fraudolento (si fece prestare una piccola somma da Carmine il giornalaio-amico che aveva l’edicola sulla salita di Montecalvario, chiedendogli di aggiungerla al conto di casa. Che diventò extra large rispetto alla misura abituale). Papà, naturalmente, se ne avvide e gli fece trovare, in una busta lasciata accanto al letto, una somma uguale accompagnandola con un biglietto: «Papà non può darti di più, ma se sei in difficoltà avvertimi». Mi avesse bastonato per due giorni senza mai interrompere la cura, avrei subito meno dolore. E soprattutto un dolore diverso, fisico non morale, che viene da più dentro e ferisce l’orgoglio oltre che il corpo.
L’ho tirata un po’ troppo, ma l’episodio vale più di un consiglio, ammesso che Maurizio Sarri ne abbia bisogno. Un figlio che ti ha fatto incazzare devi salutarlo, questa è la morale facile facile, ferendolo dove è più vulnerabile – nell’orgoglio appunto – in modo che capisca l’entità dell’errore che ha commesso. Che non si riferisce alla trama sotterranea per il trasferimento alla Juventus – che è cosa del tutto lecita – ma alla scelta di essere andato via da Napoli, da Castelvolturno e dai compagni, anzi di non essere mai più tornato, senza salutare il “padre” che, per sua onesta ammissione, lo aveva rigenerato nel fisico e nel morale tirandolo fuori da una crisi di identità che ne aveva oscurato il rendimento fino a trasformarlo nell’attaccante più irresistibile e performante del campionato. E senza salutare la città alla quale due mesi prima – al termine del campionato – aveva dedicato tutti i suoi successi «perché lo merita per il calore e per il suo amore».
Il saluto a questo punto sarebbe “servito”, ma si farebbe torto al post scriptum di Maurizio Sarri e alla raffinata perspicacia del tecnico operaio che, parlando ai giornalisti nel dopopartita, ha ricordato che «anche lui, cioè il campione, ha fatto molto per me e per la squadra». Che può sembrare un gesto di riconoscenza, un ramoscello d’ulivo offerto molto prima della pasqua, ma è la stilettata che più farà male a Higuain che sicuramente non sta trascorrendo una vigilia serena.
Cavato il dente che rischiava di fare infezione e ribadito che tra Sarri e Higuain non vorrei trovarmi nei panni del secondo perché il primo ha dalla sua il vantaggio incolmabile di un comportamento irreprensibile, andiamo avanti e tentiamo di tirare dalla nostra parte, che è quello di un understatement forzato quanto si vuole ma al di sopra di ogni sospetto, anche i tifosi, cioè la variabile emotiva e molto spesso oltre le righe che potrebbe avvelenare il già difficile sabato sera che attende il popolo azzurro.
Teoricamente problemi non dovrebbero essercene in quanto i “napuli” – i torinesi chiamano così, in senso profondamente dispregiativo, tutti i meridionali accomunandoli in un unico giudizio di condanna – non sono ammessi allo Juventus Stadium, ma praticamente le cose andranno in tutt’altra maniera perché, vedrete, di riffa o di raffa, sugli spalti si parlerà molto napoletano anche se a prevalere saranno i cori razzisti dei supporter bianconeri che sanno di godere di una sorta di sconcertante immunità che li autorizza, salvo il pagamento di una multa che è pochissima cosa rispetto al faraonico bilancio della società, a gettare fango sugli avversari.
I “napuli” sabato sera dovranno affrontare un test molto impegnativo e la loro pazienza, che non è un modello di tenuta, sarà messa a durissima prova, ma, per carità, non devono perderla: la partita, mai come in questa occasione, la giocano anche loro e, tutto sommato, possono vincerla. Insieme alla squadra che attende dai tifosi la spinta indispensabile del dodicesimo uomo.