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Tra lei e me si è rotto il legamento

La suocera con l’espressione di Gabbiadini, il ritmo alla Valdifiori, e la telefonata alla psicologa: la vita di Giuseppe, tifoso del Napoli.

Tra lei e me si è rotto il legamento
Lunedì, 10 ottobre. Una domenica senza Napoli e con la rottura del legamento tra me e lei.
 
Quando pensi di aver toccato il fondo, significa che non hai fatto i conti con una pessima domenica come questa. La sosta di campionato successiva ad una sconfitta del Napoli a Bergamo poteva rappresentare l’apoteosi, ma svegliarsi nel giorno del Signore sapendo che non ci sarà alcuna palla rotolante a salvarti, ricevere una telefonata di tua madre all’alba in cui dice, nonostante vi siate visti appena due gironi fa, “ma quando passi a trovarmi? Non vieni mai” e leggere un bel messaggio dell’amico Giannino, detto ‘a rogna (per la sua mania di dare sempre cattive notizie) con scritto “Milik si è rotto” significa davvero che il padreterno è bendato e non veste l’azzurro. Non c’è pietà.
In genere, la domenica senza calcio è il punto più alto dello scoglionamento. Nelle settimane normali, se c’è stato il Napoli al sabato, l’indomani si prosegue con le analisi, l’euforia o la voglia di riscatto. E magari un po’ di gufaggio altrui. Insomma, la partita non ha mai fine. Se invece si gioca di domenica, qualsiasi pesantezza o inculatura di giornata viene vissuta con relativa serenità perché alla sera si viene ripagati col giusto premio azzurro. Nei giorni come questi invece si attende solo di tornare a vivere il classico inizio settimana, l’atmosfera della normalità e la risalita verso l’evento del prossimo weekend.
Non potendone più dei discorsi sul turnover, il mancato impiego di Platini ed Emerson, gli errori del tecnico e la scarsezza dell’Atalanta e di Petagna, ho atteso la fine di questa nefasta settimana, giusto per rituffarmi in oceani più rosei e pieni di speranza: battere la Roma sarebbe la giusta iniezione di fiducia; battere la Roma vorrebbe dire fermare la deriva di questo disfattismo; battere la Roma è proprio ciò che ci vorrebbe.
Questi dovevano essere i discorsi da iniziare stamattina. Invece…
…Illuso, Peppe Topputo sei solo un illuso.
Un legamento scrociato, fantasiose diagnosi specialistiche di chi si è sempre occupato di pentole a pressione, gli svincolati come Reveillere, la fantomatica scugnizzeria, il giovane Negro, un mercato deficitario, il falso nueve, la lista degli attaccanti pronti per gennaio, il rimpianto Zapata, il gaio Gabbiadini e l’immancabile pessimismo che rende le giornate grigie in nere tempeste senza fine, saranno i temi della settimana.
Altro che limoncello, dov’è la cicuta?
Contro i miei principi, dopo il messaggio di Giannino ‘a rogna, dopo aver realizzato che mi toccherà vedere per mesi Gabbiadini che ha la stessa espressione pestilenziale di mia suocera, dopo essermi ricordato che c’era da sostenere un pranzo dalla suocera che ha la stessa espressione pestilenziale di Gabbiadini e dopo aver avuto la sensazione di essere l’epicentro di un nuovo non-sisma, non ho resistito. E ho telefonato la psicologa.
Mi ha detto che per far riemergere segmenti di me sperduti negli abissi dell’anima ed aiutarmi a ritrovare la strada verso la luce, devo trascorre più tempo con la famiglia. Perché, come diceva uno psicoterapeuta colombiano che mi pare si chiamasse Rulleta, se i panni sporchi non possono lavarsi in famiglia, per lo meno tra le mura domestiche si trovano le istruzioni per utilizzare la lavatrice.
Premesso che faccio una lavatrice al giorno e premesso che soprattutto la domenica trascorro più tempo in famiglia che insieme ai miei pensieri, cosa c’entrano mia moglie e mia figlia con un ginocchio spappolato?
Preferisco l’ufficio, il capo romanista o i viaggi aziendali, preferisco finanche la lista di svincolati dell’Inps che mi sta riempiendo il cellulare, perché lo dico sempre: al lavoro non vado per lo stipendio, ma per rilassarmi.
La domenica rappresenterebbe un giorno di sbraco, ma qui invece è del tutto ipotetico. Per me, è solo il giorno più impegnativo della settimana. Gira e rigira, non si riposa mai. È come un falso nueve. Proprio perché la famiglia mi prosciuga.
L’unica differenza sta nel ritmo. Il mio è solitamente quello di Inler in cabina di regia, ma durante la settimana, l’ufficio incombe e ho tutti gli alibi per non ascoltare, non rispondere, non fare, non dire, non lanciare in profondità con tempismo.
Che sia domenica, lunedì, Pasqua o Natale, che sia insonnia, notte bianca o notte piena, mi sveglio sempre alle 6.55. Nel silenzio totale, un lento caffè e una lenta sigaretta prima di rinchiudermi nel bagno. Una lentissima doccia, una blanda asciugatura, una stanca rasatura fino a quando una voce “rompe” il silenzio. Durante la settimana, mi spalmo un po’ di schiuma da barba sparsa sul collo e sulle guance, esco dal bagno velocemente, mi fingo in ritardo, faccio finta di vestirmi con rapidità e, dirigendomi alla porta, liquido tutto con “oh, guarda l’orologio, il capo mi ucciderà. Vabbè, ne parliamo quando rientro”. Appena chiuso l’uscio di casa, l’anima di Valdifiori ritorna in me e lentamente ritorno al mio lento movimento. 
La domenica mattina invece tutto ciò viene a mancare e, per ovviare allo tsunami che sta per abbattersi su di me, devo inventarmi escamotage che possano lasciarmi sopravvivere senza accelerazioni zemaniane e stressanti.
 
Con ancora i neuroni in fase di stiracchiamento, una voce già sveglia e pimpante risuona al di là della porta del bagno senza un buongiorno:
“Hai messo i panni in lavatrice?”.
Mia moglie Stella invece vive costantemente col ritmo di Mertens. Irrefrenabile in certe giornate.
Invece di sostenere queste campagne antifumo che servono solo ad arricchire chi le promuove, lo Stato dovrebbe pensare a cose più serie per la salute fisica e mentale dei propri cittadini. Per esempio, la domenica mattina io vieterei l’uso della parola fino alle 9.00/9.30 e proporrei la sedia elettrica per coloro che in questo orario si affannano a concludere una frase con un punto interrogativo o un punto esclamativo. Le richieste e gli ordini prima del secondo caffè sono come un rigore revocato da Rocchi o un rigore negato da Damato. Insostenibili.
Se la frase inizia senza soggetto o con un tranquillo “Peppe”, chiudo qualsiasi collegamento con l’esterno e mi parte un “sì, sì” automatico. Se invece la frase inizia con un “Giuseppe” inquisitore, la situazione è molto più preoccupante, e mi difendo invece di getto con un “no, no”. Il punto è che se non bevo almeno 2 caffè e fumato 3 sigarette, non connetto. Mi sento come Edu Vargas che ascolta le lezioni tattiche di Mazzarri.
“Peppe, hai buttato la spazzatura ieri sera?”.
“Sì, sì”.
“Ci sarebbe da cambiare le lenzuola al letto, lo fai tu?”.
“Sì, sì”.
“Peppe, hai lavato i bicchierini sporchi di limoncello?
“Sì, sì”.
“Hai pulito la macchinetta del caffè?”
“Sì, sì”.
“Giuseppe! Qui si sente una puzza allucinante di sigaretta! Non è che hai fumato in casa?!
“No, no”.
“Deve essere stata la signora del piano di sopra. Butta le cicche sul nostro terrazzino. Prima o poi salgo e…”
“Sì, sì”
“Ieri hai fatto benzina alla macchina?”
“Sì, sì”
 
Questo più o meno è un millesimo dell’usuale questionario di una tranquilla domenica mattina. L’ultima domanda, se è inerente all’auto, presuppone che ve ne sia un’altra.
“Perfetto. Alle 10.25 dobbiamo andare a prendere i dolci dal pasticciere per il pranzo dai miei. Te ne ricordi, vero?”
“Sì, sì”.
E qui, nonostante fossi fermo ancora al sì sì del “hai messo i panni in lavatrice?”, mi parte l’embolo ribelle e mi trasformo in Serse Cosmi.
E continua, per stoppare ogni polemica: “lo so che stai sbuffando. Ma mamma non vede Sara da troppo tempo…”
E in quei tre puntini sospensivi c’è una frase tranquilla e cadenzata che è sinonimo di un “fottiti!”.
Terminato la cascata di richieste ed ordini, si passa ad enunciare il programma di giornata. Il presunto tranquillo e cadenzato si tramuta in ansia. Come se non avessimo nemmeno il tempo di vestirci.
“Allora, ora si sveglia Sara. C’è da lavarla, cambiarla, vestirla, darle il latte, pettinarla. Alle 9.35 dobbiamo accompagnarla da Zia Gemma. Poi si va in banca perché devo prelevare. Alle 10.25 ci sono da prendere i dolci dal pasticciere. Alle 11.00
mi devi accompagnare da Anita che deve darmi la sua nuova dieta.
Se riusciamo, vorrei passare anche da Angela la fioraia e comparare delle rose per mia madre. Alle 12.15 torniamo a prendere Sara da Zia Gemma e poi ci dirigiamo dai miei. Non più tardi delle 12.30, che Sara deve pranzare.
Tutto chiaro? D’accordo? Sei pronto? Sei pronto? Sei pronto? Usciamo?…
…Ma mi stai ascoltando?”
“Sì, sì, ma sono ancora in mutande e Milik si è rotto, il fatto è nero. lo capisci?
“E chi è Milik? Un tuo amico? Com’è che non ha un soprannome?”.
Stella è abitudinaria e ha una forte attitudine al comando pretendendo di organizzare la mia vita in base alla sua. È aureliocentrica. Ha preso tutto dalla madre. In realtà è schiava di nostra figlia. E io sono lo schiavo della schiava di nostra figlia. I programmi sono programmi e non si possono modificare, salvo non sopraggiungano altre idee. Ma sempre in ottica Sara o Stella. Mai in ottica Peppe. Peppe è un mezzo. O un’auto.
E se quindi obietto perché ho da incontrare Gaetano ‘a gruccia perché sta male per Marta o più semplicemente perché devo comprare le sigarette o perché voglio andare a trovare mia madre, la risposta varia poco da questa: “vabbè, poi ci vai. Il tempo lo trovi. Oggi è domenica, è il tuo giorno di riposo, no?”
 
Con Stella, in questo periodo, ci parliamo poco. Cioè, i nostri colloqui si limitano a mia moglie che ordina, chiede, organizza e parliamo molto poco di noi stessi. L’ultimo “come stai?” che io ricordi, sarà stato quando il Napoli perse la finale playoff con l’Avellino, ma solo perché lo stesso giorno morì il pappagallo di famiglia. Non dico che voglio Stella come mia madre che, completamente disinteressata al calcio, pur di farmi contento, la prima domanda che mi pone è “che ha fatto il Napoli nell’ultima partita?”, ma almeno un accenno su chi prenderebbe tra Adebayor e Klose, se le piace uno come Di Natale o una pacca sulla spalla ora che la sfortuna ci perseguita e Milik si è rotto. Niente. 
Quando si esce da questo loop, o litighiamo o parla e racconta della bambina. L’unica eccezione è quando fa qualche riferimento alla sua dieta, di quanto si senta grassa e di quanto non si piaccia.
La sua attuale scala gerarchica di priorità pertanto è la seguente:
1) nostra figlia
2) la sua dieta
3) sua madre
4) le amiche
5) sua sorella
6) il cane morto 4 anni fa
7) il cane che ha intenzione di prendere
8) suo padre
9) qualcosa o qualcuno che ora non mi sovviene
10) suo marito
Invece, la sua attuale (e futura) scala gerarchica di “mezzi” per soddisfare i suoi bisogni o desideri:
1) suo marito
 
E dire che un tempo eravamo così in sintonia. Non avevamo bisogno della lavatrice o delle istruzioni. Era tutto pulito e funzionante. Eravamo le parti della stessa mela, eravamo come Graziani e Pulici o Vialli e Mancini. Oggi siamo come Maggio e Strinic che giocano in attacco. O come Dybala e Higuain che non si passano la palla.
Si è rotto qualcosa, il legamento tra me e lei. Magari tra 4 o 5 mesi passa e ci ritroviamo. Anche perché, un Osvaldo o un Adebayor, a casa mia, non li immagino proprio.
Intanto non c’è stato verso di rivoluzionare questa pessima domenica: senza Napoli, con mia moglie, mia suocera che assomiglia a Gabbiadini e con l’infortunio del centravanti. Stare in famiglia non mi ha risollevato e i messaggi di Giannino ‘a rogna non li leggo più. E domani, contro i miei principi, richiamo la psicologa.
Foglio 2 – continua
Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale
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