Qualcosa non è più come prima, ma è colpa dell’assenza del centravanti. Continua l’epopea di Giuseppe, tifoso del Napoli, di sua moglie Stella e dei quadri di Buso e Caffarelli.
Venerdì, 28 ottobre. La vigilia.
Non ricordo se nelle precedenti contorte disamine scritte del mio contorto pensiero ho già espresso che mia moglie non ama il calcio. O meglio, che per lei il calcio non esiste.
La mia psicologa continua a ripetermi di scrivere su argomenti e persone che quotidianamente mi generano stress. Che questo, secondo la teoria moderna di un guru nipponico, che mi sembra si chiami Irato Kongarbo, è il metodo più idoneo per scoprire le cause e i conseguenti rimedi al mio attuale stato depressivo ed ansiogeno. Oggi, come ieri, Stella continua ad essere il fulcro della mia esistenza e ad essa sono connesse una serie giornaliera di rotture epocali senza fine. E qui, tra questi fogli, mia moglie inevitabilmente diventa protagonista. Il Napoli invece continua ad essere la passione, la valvola di sfogo, l’investimento emotivo e il luogo ludico e sacro della mia vita fin da quando mia madre mi riempiva di borotalco. E qui, tra questi fogli, inevitabilmente diventa coprotagonista.
Diventa coprotagonista non perché il Napoli mi generi stress, ma perché si scontra inevitabilmente con quello che sarebbero invece i desideri della protagonista. Le due cose, banalmente, non si incrociano. Ma quando raramente e casualmente accade, la collisione mi fa sentire come De Boer e mi manda al manicomio.
Prima non era così. Col trascorrere degli anni la situazione si è lentamente stravolta. Quando l’ho conosciuta, Stella sembrava appassionarsi alle mie follie domenicali che poi duravano tutta la settimana. Dopo è cambiato tutto. È come se avesse avuto un rigetto alla sfera di cuoio che le ha indotto a posizionare il calcio nell’umido e il sottoscritto nell’indifferenziato. Non ho mai indagato a pieno sui motivi di tale mutamento. Non ho mai chiesto. La cosa è andata scemando naturalmente. Col matrimonio, la casa, la gravidanza, l’allattamento, i vestitini, la sua dieta e le scocciature correlate, il quadro azzurro è diventato sempre più sbiadito fino a giungere all’attuale definitiva scomparsa. Come il muro bianco in salotto su cui è vietato anche appendere una piccola cornice di Caffarelli o di Renato Buso. Niente.
In verità credo che il disamore per il calcio abbia radici più lontane. Ma è solo un’ipotesi. Il suo primo fidanzato era un ex giocatore della Gladiator. Una storia finita male a causa di corna e tradimenti vari con sanguinosi strascichi apocalittici. Una gonzalata delle serie inferiori. Questo non le ha impedito di compiacermi nel breve periodo. Poi penso che lo scontro quotidiano con ogni mio ragionamento o pensiero azzurro su qualsiasi tema e in qualsiasi momento della giornata abbia prodotto vecchie scorie stantie che hanno mostrato un definitivo stop alla palla e al ciuccio. E a me.
Non è stato uno strappo improvviso. Con il tempo, questa forbice si è allargata. Io sono rimasto sempre lo stesso, fermo alla mia maglia e ai miei ragionamenti da rettangolo verde, e Stella è andata mano mano allontanandosi, fino a far finta che per lei non esistesse il calcio e conseguentemente che per me non esistessero pensieri, bestemmie, emozioni e soprattutto tempo per qualcosa di così inutile. Semplicemente, il calcio non è più esistito. Semplicemente, io che invece vivo di calcio e che questo sport è un elemento irrinunciabile della mia esistenza, ai suoi occhi sono diventato solo una sorta di robot da utilizzare per i desideri e per i suoi bisogni.
Ma così facendo Peppe, suo marito, insieme al calcio si è dissolto.
Questo stato di irrealtà e inconciliabiltà, ci ha portato inevitabilmente ad una rassegnazione reciproca, al distacco e al mutismo. Parlare, dialogare, risolvere i problemi della nostra condizione è diventato un tabù. Come si fa a parlare di noi se non percepisci minimamente il mio stato d’animo e la mia rabbia dopo un gol di Salah che ha chiuso la partita? È impossibile. Ogni tanto, si prodiga con qualche accenno giusto per forma, ma mai prendendo di petto il problema.
Piano piano, il calcio è scomparso, cancellandolo insieme a me.
Ma questa è solo la triste conclusione di un lungo iter: il Napoli è stato oggetto di discussioni e furibonde liti per anni. Era come se lei non lo avesse voluto accettare. Non era comprensibile che il tempo sottratto a noi potesse essere impiegato per una stronzata del genere. Soprattutto nel weekend. Il classico e banale “tu sei egoista perché anteponi il Napoli a me” e di contro “tu sei egoista perché anteponi alla nostra felicità un aut aut. O me o il Napoli”. La viveva come un tradimento perpetuo e le dosi di rabbia nei miei confronti non erano più calcolabili. Poi le liti sono scomparse ed ha iniziato a rassegnarsi come se io andassi una o due volte a settimana con un’altra. Seppur l’altra non avesse le gambe depilate, una chioma lunga e bionda e una quarta di pettorale, ma semplicemente una maglia azzurra.
In sintesi, si è tenuta le corna. Un’altra volta. Dopo l’ex Gladiator.
Ogni tanto ancora spunta uno sporadico “potremmo andare al centro Campania sabato, che ne pensi?”. Il mio silenzio, a differenza degli altri giorni della settimana, non provoca alcuna reazione. Praticamente la mia non risposta è come se quella domanda non fosse stata mai posta e si continua a fare ciò che si stava facendo in quel momento. In silenzio.
Nulla cambia, insomma. Il finto rapporto e il finto sorriso sono sempre qui.
“Peppe, dobbiamo cambiare qualcosa. Così non va bene. È chiaro che così non va bene. Non è più come prima. Te ne sarai reso conto persino tu?”. Quando mia moglie se n’è uscita ieri con questa frase, d’istinto non ho potuto fare altro che darle ragione. Avrei voluto rispondere che in questa fase sarebbe necessario cambiare qualcosa, specie ora che c’è la Juve, perché senza un punta di ruolo gli esterni d’attacco sono troppo limitati e probabilmente il 4-3-3 non funziona più come in passato, e mentre ero lì lì per dirle che però Sarri è uno che prima di spostare un dito ci deve sbattere con la testa dentro, ho compreso che si stava riferendo a questioni molto meno serie.
“Dobbiamo cambiare qualcosa. Te ne sarei reso conto persino tu che tra di noi non funziona più come prima. Non parliamo più”. Ecco, ciclicamente, come dicevo, ogni tot mesi, Stella si sveglia dalla sua routine e si ricorda di avere un marito. Ma è il classico fuoco di paglia. In genere, questi tipi di discorsi hanno del solenne giusto il tempo della formulazione: massimo 10 minuti. Ci si incontra, ci si guarda negli occhi, ci si rassicura, si stemperano gli animi, scema la rabbia, ci si sorride senza finzione, con dolcezza e appena terminato, si torna esattamente nello stesso punto di prima come se quei 10 propositivi minuti non avessero mai avuto un quadrante. “Ho notato che non si chiude bene la porta, c’è un problema alla serratura, ci pensi tu?” e una fredda frase del genere detta da lei, presa ad esempio, mi stronca qualsiasi ulteriore prosecuzione sull’argomento.
È come quando ciclicamente si accorge che non le piace più la disposizione dei mobili in salotto e ti chiede di aiutarla a cambiare il volto della casa. L’armadio dalla parete all’angolo “però piano che ci sono le bomboniere di cristallo delle nozze d’argento dei miei, i bicchierini e le tazze da tè”; il tavolo grande dal centro al posto della libreria in fondo alla stanza “anzi no, portiamolo all’ingresso, lì starà meglio. Però bisogna smontarlo e rimontarlo”. La libreria vicino alla finestra e il tappeto…il tappeto? “Ad essere onesta questo tappeto non mi piace più, domani mi accompagni a comprarne uno nuovo? Così approfittiamo e cambiamo anche le lampade”. La poltrona al piano superiore e il divano da nord a sud. E dopo un paio d’ore di lavori forzati, sentire la frase: “ti devo dire la verità? Così non mi ci ritrovo, vogliamo rimettere l’armadio dall’angolo alla parete?” E cosi, fino a riassettare il tutto esattamente come prima. Nemmeno con la possibilità di appendere di nascosto una cornice di Gigi Caffarelli o Renato Buso al muro bianco. Niente.
I rarissimi discorsi tra me e Stella sulla nostra relazione sono esattamente così. Cambiamo tutto, con un finto sorriso, per non cambiare nulla, con un finto sorriso. Il modulo resta lo stesso. A differenza delle altre volte, stavolta il suo proporsi a me ha però avuto un seguito sorprendente. “Ho pensato che così non possiamo più andare avanti. Non passiamo più tempo insieme da soli. Che ne dici se trascorressimo qualche giorno nella casa in collina? Non ci andiamo da troppo tempo. La bambina potrebbe tenerla mia madre. Ne sarebbe felicissima. Ho già organizzato tutto”.
Le mie orecchie hanno stentato a credere a quelle parole. Mia moglie che mi ha chiesto di stare con lei. Mia moglie che mi ha parlato senza un ordine, un rimprovero o una domanda del cazzo. Una richiesta che sapeva tanto di “ci riproviamo?”. Dopo mesi, anni di oblio e rassegnazione, finalmente una luce. E il timbro a fuoco che ha dato la certezza al suo invito è stata l’idea di lasciare la bambina temporaneamente. Come se avesse detto: deposito il braccio da mia madre per un paio di giorni e poi torno a prenderlo. La mia psicologa mi ha appunto raccomandato di recepire tutti i segnali anomali e di trasformarli in realtà prima che le condizioni mutino. Secondo la teoria di un maestro gallese, che mi pare si chiamasse Staat Accort, “Nelle fasi depressive, ogni purtuso è puorto. E se il purtuso è un familiare stretto è ancora meglio”.
Senza indugi, senza pensare, senza che potessi darle la minima possibilità di modificare i piani, ho reagito felice di getto: “certamente. Non vedo l’ora. Quando?” “Ok. Perfetto. Partiamo sabato sera…”.
Scrivere questi fogli aiuta, ha ragione la mia psicologa. Ci si apre a se stessi e si comprendono cose che forse nel ménage quotidiano non riusciamo a recepire con il giusto distacco. Ho capito che la causa scatenate che ha portato alla deriva la nostra pessima relazione sono io. E da questi fogli può uscire il rimedio e tornare a una vita piena e serena con i miei cari e le persone che mi vogliono bene. E mettere definitivamente la parola fine agli stati d’ansia e a questa “malatia” che ancora non capisco bene da dove provenga.
È chiaro che io amo ancora mia moglie. E lei finalmente mi ha teso una mano…
Ma “partiamo sabato sera” non si può sentire e non si può minimamente pensare che si voglia fare qualcosa di diverso il giorno di Juve-Napoli. Ho stroncato il discorso con: ma in questa casa non c’era una serratura difettosa da riparare? Nulla cambia, insomma. Si prosegue con il 4-3-3, il falso sorriso e il solito tradimento del weekend.
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