Il primo presidente del Napoli incontra l’ultimo, gli pone domande sulla sua gestione e poi i due si trovano concordi su uno dei problemi della città.
Giorgio Ascarelli è stato il primo presidente della Associazione Calcio Napoli nata il 1° agosto del 1926 dalle ceneri dell’Internaples per accontentare il regime fascista che aveva effettuato pressioni affinché la città, nel rispetto della ideologia autarchica, non fosse rappresentata da un nome straniero. Ricco industriale del settore tessile, la sua Manifattura di Villadosia ebbe carattere di interesse nazionale. Silenzioso e concreto, incapace di demagogia, Ascarelli aveva nel sangue il carattere dell’umanista: finanziava concerti, collezionava opere d’arte e partecipava alla fondazione della Canottieri Napoli. Ascarelli, forse anche per farsi “perdonare” la sua origine ebrea, costruì al rione Luzzatti il primo vero stadio della città (il Vesuvio con diecimila posti) a sue spese
Anche De Laurentiis è stato (ed è) il primo presidente del “nuovo” Napoli che nell’agosto del 2004 rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrisse la squadra, con la denominazione Napoli Soccer, al campionato di Serie C1. Appartenente ad una famiglia di imprenditori cinematografici, Dela è titolare della Filmauro, società leader nella produzione e distribuzione cinematografica italiana ed internazionale fondata con il padre Luigi nel 1975. Arrogante e rumoroso, è sempre molto concreto e pragmatico sebbene talvolta leggermente populista. Il suo grande obiettivo è costruire uno stadio di proprietà
Ad entrambi, anche se a distanza di circa 90 anni, è comunque legata la trasformazione organizzativa del calcio in chiave imprenditoriale.
Si potrebbe partire da queste similitudini per poter immaginare un incontro tra i due massimi esponenti della nostra amata squadra presso l’Unione Industriali a palazzo Partanna in piazza dei Martiri.
Ascarelli: «Ciao Aurelio, innanzitutto complimenti per la capacità di gestire una azienda del calcio con profitto visto che di ricchi scemi che, pur vincendo qualcosa, si sono dissanguati ce ne sono ancora tantissimi nel mondo del calcio».
Ancora Ascarelli: «E poi, pochi ne parlano, i miei più sinceri apprezzamenti per aver eliminato qualsiasi collegamento tra squadra-società e frange oltranziste del tifo: ai miei tempi e fino al tuo avvento tutti i presidenti sono stati ostaggio del tifo organizzato che aveva creato un vero e proprio business alle spalle dei veri appassionati».
De Laurentiis: «Ti ringrazio ma tutto questo è dovuto alla mia capacità di…»
Ascarelli: «Ti fermo immediatamente perché non devi parlarti addosso, lascia fare i complimenti agli altri e cerca di essere meno presuntuoso. Dimmi piuttosto, non lo riesco ancora a capire, perché non vuoi fare il salto di qualità allestendo la squadra per vincere uno scudetto?».
De Laurentiis: «Vedi, per vincere uno scudetto devi fare una campagna acquisti che comporta un esborso di danaro che noi fortunatamente abbiamo nelle nostre casse e quindi non è quello il problema. L’errore che non bisogna fare per rimanere sul mercato è invece quello di aumentare i costi fissi (ingaggi dei calciatori che devi pagare per almeno 3-5 anni) senza avere la certezza matematica di compensarli con ricavi altrettanto sicuri perché se sbagli anche una sola annata (ed è molto probabile) e non entri neppure in Champions (e quindi non prendi il relativo premio) ti ritrovi con un disavanzo di bilancio difficile da ripianare».
Ascarelli: «Vabbè dai ma tu lo tieni qualche soldino personale per poter capitalizzare eventualmente la società ?».
De Laurentiis: «E no caro Giorgio, io ho già rischiato una volta trenta milioni di euro acquistando il Napoli dal tribunale fallimentare e ripartendo dalla serie C. E non ricordo un solo imprenditore napoletano che avesse fatto una proposta concreta e seria. Quando ho ricordato a qualcuno che senza di me “eravate nella merda”, non volevo offendere la città e i napoletani ma mi riferivo a quella borghesia pseudo-benpensante che rappresenta il vero dramma della nostra città. Perché è una borghesia poco colta che non sa interpretare la posizione di privilegio datagli dalla sorte dedicando parte del suo tempo e delle sue sostanze ad iniziative finalizzate a dotare la città di un nuovo decoro e di progetti vincenti».
Ascarelli: «Ti capisco perfettamente perché anche ai miei tempi quella borghesia pensava solo ai suoi interessi personali con un atteggiamento a dir poco “gattopardesco”. Pensa che al mio funerale (12 marzo 1930, anno VIII dell’era fascista) una folla enorme di sportivi e tifosi accompagnò il feretro da via Posillipo al cimitero israelitico ma pochissimi dirigenti del Napoli e men che meno quelli federali, dopo quanto avevo fatto per la città, ebbero il coraggio di schierarsi pubblicamente con un ebreo».
De Laurentiis: «Ti ricordi la rubrica del giornale satirico Cuore: “Vergogniamoci per loro”, con sottotitolo: “Servizio di pubblica assistenza per chi non è in grado di vergognarsi da solo”? Beh, sarebbe il caso che qualcuno la riesumasse per descrivere l’atteggiamento critico e distaccato della borghesia napoletana».
Ascarelli: «Però, diciamoci la verità: a te Aurelio, diversamente da quanto si verificava con me, neanche il popolo ti ama tanto e questo mi preoccupa perché tu possa sempre cavartela».
De Laurentiis: «Il popolo non mi ama perché è manipolato da quella borghesia e dal tifo organizzato! Una volta di più, però, il problema non è come me la caverò io, perché io me la caverò sempre e comunque bene. Il problema è se e come possa cavarsela quel pezzo di borghesia che rimane attardata e confinata negli atteggiamenti che l’hanno già condannata a sconfitte e frustrazioni. Se insomma come possa salvare se stessa, visto che rimane comunque un pezzo importante e indispensabile della nostra città che si appassiona e partecipa».