Si è parlato di un Napoli in crisi di identità, gioco, risultati. Solo l’ultima è parzialmente vera. Eppure, a parte la Juve, sono tutte lì, e (forse) siamo fuori dal periodo critico.
Oggi ho letto Gianni Montieri in questo pezzo qui, che è più o meno il resoconto di una chiacchierata che ci siamo fatti al bar giusto due settimane fa, davanti a un aperitivo che ci serviva per conoscerci e alla fine non serviva perché ci conoscevamo già. Dice tante cose di Sarri che condivido, soprattutto quelle di campo: mi sono letteralmente commosso quando ho visto dal vivo questa squadra e sono rimasto incantato ad ammirare i suoi allenamenti. Ma per questa volta voglio bypassare queste cose qui e concentrarmi su una frase:
Sarri sa di avere una squadra forte e sa di essere uscito vivo da un mese molto difficile. Sa anche che con un po’ di fortuna in più, adesso, ci troveremmo a tre o quattro punti dalla vetta della classifica. Sa che invece i punti dalla vetta sono nove, e non sono pochi. Sa pure che si possono recuperare.
Ecco, appunto. Ho riflettuto su questa cosa, e sono riuscito a ricordare che ho saputo dell’infortunio di Milik mentre ero in un pub, mezzo ubriaco a birra. I fumi dell’alcool non bastarono ad annebbiarmi la mente sul fatto che l’attaccante polacco sarebbe mancato tantissimo al Napoli, ma non mi rovinai la serata: mi divertii ugualmente, perché ero certo che – o rip o rap, come si dice da noi – Sarri avrebbe fatto il possibile per rendere il più indolore possibile quest’assenza, e scusatemi il gioco di ripetizioni. Mi piaceva assai.
Il fatto che Sarri sia «uscito vivo da un momento difficile» è stato certificato a Udine, e lo dicono i risultati: stante l’irraggiungibilità della Juventus (un assioma universalmente accettato, e quindi una roba inconfutabile e incontrovertibile), il Napoli è a due punti dal secondo posto. Sopravanzata dalla Roma (10 punti nelle ultime 5 partite, proprio come il Napoli), dal Milan (10 punti nelle ultime cinque partite, proprio come il Napoli) e da due squadre di livello medio o medio alto che vengono da un filotto di risultati importantissimi (Lazio e Atalanta, roba che l’ultima sconfitta di entrambe è a settembre). Ah, piccola postilla: nessuna di queste squadre gioca la Champions League. Il Napoli sì, ed è – ancora, per scaramanzia ma anche per disinnescare un eccesso di fiducia latente – primo in classifica nel suo gironcino.
Eppure, si parla e si è parlato di un Napoli in crisi di identità, di gioco e risultati. Tutto falso tranne la terza, che può essere considerata vera se consideriamo le quattro sconfitte nelle ultime nove partite. Che poi, ripercorriamole queste sconfitte: meritate (Roma e Atalanta), che ci possono stare pur se nella cornice di una buona prestazione (a Torino contro gli irraggiungibili) e assolutamente assurde, perché immeritate, se pensiamo al numero di palle gol costruite e concesse (Besiktas e Lazio, perché quel pareggio interno grida vendetta come e più di una partita persa). Il Napoli meriterebbe qualche punto in più, e di essere più sicuro in Champions: lo diciamo “a sensazione”, lo diciamo attraverso i calcoli algebrici di Fabio Fin (qui). Lo diciamo e lo dico perché, nel frattempo, la qualità del gioco non è mai venuta meno se non in alcuni momenti precisi (Atalanta, Roma, in parte Besiktas: giusto il primissimo impatto post-Milik) e il raffronto con i numeri dello scorso, fantastico campionato dice che siamo dietro di quattro punti e di un solo gol fatto. Uno solo. Nonostante Higuain sia della Juventus, Milik sia in infermeria ormai da un mese e mezzo, Gabbiadini non ne imbrocchi una e Mertens sia un adattato. Più una Champions League giocata e da giocare.
Ci sono molti più gol subiti, e questo è stato ed è un problema. L’assenza di Albiol, certo, ma anche una continua e irritante tendenza alla disattenzione marchiana, all’erroraccio gratuito, alla papera colossale. Però, come abbiamo visto l’altro ieri, poi le cose possono iniziare a girare: Widmer, il controllo del 2-0 di Insigne, ce l’ha regalato. Doveva succedere prima o poi, è successo e non dobbiamo vergognarci che stavolta gli avversari sbaglino a nostro favore. Non dobbiamo proprio.
Ecco, appunto: non dobbiamo. Non dobbiamo farci del male da soli, cercare un colpevole a tutti i costi, dire che va tutto allo scatafascio solo per il gusto di farlo, o perché ci piace dire “te l’avevo detto”. Il Napoli di Sarri, quello depotenziato dal mercato estivo, depauperato dal suo bomber principe e dal sostituto che avevamo indovinato, è a due passi dal suo obiettivo possibile, almeno secondo la narrazione comune. La Juve è lontana, è colpa nostra come di Roma, Inter, Milan, Lazio, Fiorentina che non riescono a tenere il loro passo pure se non giocano la Champions. Quindi magari il merito è pure loro, che non si fermano mai. Quindi sì, il giardino del vicino è quello più verde, ma solo quello della Juve. Se ci contestualizzassimo, riusciremmo a vedere che il Napoli non è niente male, e potrà dire la sua e divertirsi fino alla fine di questa stagione. Basti pensare che, nel mese (e mezzo) di crisi, gli unici a essere andati via sono quelli vestiti di bianconero. Gli altri sono tutti qui, e noi dobbiamo ancora recuperare Milik (e magari Albiol). Le cose non potranno che andare meglio, promesse e premesse dicono proprio questo. Dovessimo avere torto, siamo pronti a fasciarci la testa. Ma solo a cosa fatta, a ferita insanguinata. Prima, sinceramente, non c’è motivo di farlo.