L’estetica non può essere una condanna
I tre punti di Udine potrebbero rappresentare la svolta nella stagione del Napoli. Qualcuno dirà che stiamo esagerando, in fondo abbiamo battuto una squadra che è al quindicesimo posto in classifica. Però l’abbiamo battuta in un modo originale per il Napoli. Quasi chirurgico. Non un’infinità di tiri in porta. Anzi, siamo andati in vantaggio – di fatto – col primo tiro indirizzato verso la porta di Karnezis. E francamente si tratta di una novità da cerchiare in rosso e per cui brindare fino a notte fonda. Perché non sta scritto da nessuna parte che il Napoli debba ogni volta dimostrare la propria caratura di gioco. Il Napoli deve giocare con l’obiettivo di portare a casa il risultato. Poi se riesce a farlo grazie al bel gioco, tanto meglio. Ma l’estetica non può essere una condanna.
La seconda vita sarriana
Quella di Udine è stata una vittoria importante perché la squadra di Sarri ha dato l’idea di voler vincere senza badare troppo ad altro. Il Napoli ha quasi sempre giocato come se fosse sottoposto a un esame, come se ci fossero osservatori esterni da persuadere in vista di un giudizio finale, come se fossero esaminatori. Come se dovessimo sempre vincere il premio della critica. Ieri no. Poi il Napoli ha sfoderato ottime azioni, i soliti fraseggi da scuola calcio. Anche il primo gol è nato da un’azione da scuola calcio. Ma – forse è stata un’impressione – c’era una voglia di vittoria, di concretezza che non abbiamo notato in altre partite. Ed è questa la svolta che potrebbe condurre il Napoli a una seconda vita sarriana.
Un gol vale uno
Non a caso, ieri i due gol sono stati segnati forse dal giocatore meno concreto del Napoli. Lorenzo Insigne ha smentito tutti e in dieci minuti ha calciato quattro volte verso la porta avversaria: un tiro alto, una traversa e due gol. Due gol che magari Lorenzo dovrebbe studiare, rivedere fino alla noia. In settimana, Delneri ha rilasciato un’intervista molto interessante. E a proposito di Cassano, ha detto:
Avrebbe dovuto giocare di più in area, non ho mai visto uno decisivo come lui negli ultimi metri.
E una lampadina si è accesa. In effetti è vero, ricordiamo circostanze in cui Fantantonio ha trovato spiragli nemmeno immaginabili e ha segnato. È avvenuto molto di rado, perché solitamente Cassano girava al largo, cercava l’assist. L’osservazione di Delneri è tornata in mente dopo i due gol di Insigne: segnare non è reato, e non è reato segnare gol “brutti”, in questo sì che “uno vale uno”. Un gol è un gol, che sia a giro dal limite dell’area, oppure sporco da quattro metri magari dopo uno svarione dell’avversario. È la concretezza. Perché sì l’estetica è importante ma il salto di qualità lo fai con la concretezza, con la volontà di raggiungere un obiettivo. E l’obiettivo non può essere il bel gioco. Il bel gioco può essere un mezzo, non il fine.
Le parole di Sarri
E nella serata di Udine è avvenuto anche qualcos’altro. Maurizio Sarri ha rilasciato dichiarazioni che fin qui non aveva rilasciato. Ha detto:
Ho la sensazione che stiamo costruendo qualcosa di importante, è una sensazione che non avevo nemmeno lo scorso anno.
Troppo bella sia per lasciarsela sfuggire sia per lasciarsela rovinare dalla successiva dichiarazione: «Il primo posto è una cazzata». Ciascuno fa quel che può. E fuori dal campo, più di questo da Sarri non possiamo ottenere. Quando si rende conto di aver detto qualcosa che lo esporrebbe a eccessive tensioni, tira mediaticamente i remi in barca. È più forte di lui. Non cambierà mai. È anche superstizioso. Non dimentichiamo che è andato alle partite vestito di nero per tanto tempo, per scaramanzia. Ma, dette da Maurizio Sarri, quelle parole hanno un significato importante. Molto importante.
Il demone del papponismo
Sarri si nasconde. Troppo. E nasconde il Napoli. Troppo (almeno secondo noi, si intende). Ha il demone del papponismo. Gli scatta in automatico, come il braccio del dottor Stranamore. Non a caso, in conferenza stampa ha aggiunto alla frase che ha così colpito il Napolista: «Se restano tutti». È più forte di lui e a parere di chi scrive è anche il limite che dovrebbe provare a combattere. Non per il Napoli, ma per sé. Perché magari la sua vita professionale può conoscere luoghi più vincenti di Napoli. Però deve anche dimostrare di essere all’altezza mentalmente. Sul campo, francamente, lo ha ampiamente dimostrato. Noi, però, che un po’ abbiamo imparato a conoscerlo, non possiamo non cogliere in quella frase una svolta mediatica. Che nasconde anche altro, ne siamo certi. Sarri è il primo, ovviamente, a essere consapevole della forza di questo Napoli che peraltro ha pagato anche gli infortuni di Albiol e Milik. Ci piacerebbe che lo dicesse più spesso che è orgoglioso di allenare questa squadra. Ci piacerebbe che parlasse, come tutti gli allenatori, anche alla vigilia delle partite. Ci piacerebbe che fosse sempre il condottiero mediatico. Magari ci si può arrivare. Gradualmente.
Ma la metamorfosi sta avvenendo, basta guardare Diawara
Perché gradualmente i cambiamenti sono avvenuti. Diawara oggi è titolare praticamente inamovibile del centrocampo del Napoli. Un calciatore che sbalordisce per la sua presenza in campo. Non sbaglia un passaggio e recupera un’infinità di palloni. Zielinski è ormai un titolare aggiunto. In difesa, di fatto, abbiamo quattro centrali rodati e che possono giocare senza provocare patemi. Sì, manca Rog ok (anche a noi scappa qualche battuta su questo croato, ci sarebbe da sbizzarrirsi). Arriverà. E anche Giaccherini si è visto poco. Però il Napoli sta lentamente cambiando pelle. Così come probabilmente la sta cambiando Sarri. In altre occasioni, conoscendolo, avrebbe criticato la prestazione della squadra. E invece ieri non l’ha fatto. Per tutti è complesso abbandonare un abito che ci siamo cuciti e ci siamo lasciati cucire addosso per anni. Non è semplice, e alle prime contrarietà viene naturale rifugiarsi nell’abito della consuetudine. Ma è innegabile la metamorfosi del Napoli e di Sarri. Che, non dimentichiamolo, è primo nel girone di Champions e pienamente in corsa per il secondo posto in campionato.
Cerchiamo la data sul calendario
Cerchiamo la data del 19 novembre sul calendario. Così come la parola Udine. Ce n’eravamo dimenticati, eppure proprio a Udine, nel lontano 2007, capimmo che avremmo potuto giocare tranquillamente in Serie A. magari nel 2016 abbiamo capito che possiamo vincere anche senza dimostrare di essere i più belli. Perché di essere i più belli non ce ne frega più dal momento che stiamo capendo che possiamo essere anche i più forti. Speriamo di non essere smentiti alla prossima caduta.