Higuain non c’è più e ora nemmeno Milik. Guardare continuamente indietro non porterà nulla di buono. Questo Napoli mi ricorda la Roma di Garcia.
Il mio Napoli – Sassuolo 1-1
– Uscendo dal San Paolo, oltre la marea di imprecazioni, la maggior parte dei commenti dei tifosi che ho ascoltato contenevano almeno una volta queste 3 parole: l’anno scorso.
– “la colpa è di Sarri perché dovrebbe cambiare. L’anno scorso lo fece e, anche nei momenti più difficili, giocavamo meglio”;
“In difesa non siamo più concentrati. L’anno scorso subivamo un tiro ogni 3/4 partite”;
“Allan non è lo stesso dell’anno scorso”;
“Insigne, l’anno scorso a quest’ora, già aveva segnato 6/7 gol e fatto 6/7 assist”;
“Hysaj sta a pezzi. L’anno scorso era un altro giocatore”;
“Se confrontiamo le statistiche dell’attuale Jorginho con quello dell’anno scorso…”
“Oggi, avanti manca tutto. L’anno scorso avevamo un centravanti che faceva gol, assist, era un leader e risolveva le partite complicate”;
“Lo scorso anno c’era più cattiveria…”;
“Il presidente e l’allenatore sono ai ferri corti. L’anno scorso c’era sintonia e unità d’intenti” ecc ecc.
Il perenne paragone con l’anno scorso
– Mentre ascoltavo, mi sono reso conto che questo loop è già presente da molto tempo. Parlando con gli amici, non c’è discussione che non presenti il paragone. Scrutando nei gruppi dei tifosi e nei forum sul web, ogni tre post, ce n’è almeno uno che si pone in contrasto con la passata stagione. Io stesso, rileggendo articoli recenti, avrò utilizzato le tre parole senza sosta e senza rendermene conto.
I giornalisti hanno spesso posto quesiti su Higuain e sulle mirabilie dello scorso anno e Sarri, ancora più spesso, l’ha tirato fuori anche senza che gli venisse chiesto.
Sta diventando una paranoia ossessiva
– Il richiamo al passato è normale, specie quando le cose nel presente non vanno bene. Ma quando si entra nella paranoia ossessiva, quella in cui si utilizza meccanicamente e quasi inconsciamente diventa un limite. Invalicabile.
– Il passato va glorificato per ciò che è stato ed osservato per evitare che si commettano gli stessi errori. Se invece diventa un obiettivo o un modo per guardarsi indietro per il terrore che provoca il futuro, allora non ce ne usciamo più.
– Durante l’estate, ho sentito una dichiarazione del mister che invece condivido: ognuno dovrà dare un 10% in più rispetto all’anno scorso.
– La verità è che, a parte qualche piccola eccezione, tutti stanno rendendo al di sotto delle aspettative. Enormi, se si pensa, appunto, all’anno scorso.
– O meglio, in tanti riescono ad esprimersi ad intervalli, ma mai per l’intera gara. In tanti, e mai tutti insieme, non riescono ad esprimersi per più di un paio di partite consecutive.
Più che Benitez, il secondo anno di Sarri mi ricorda la Roma di Garcia
– In molti stanno paragonando questo inizio non positivo alla seconda stagione di Benitez. Non vorrei allarmare ma questa sfilza di pensieri, che siano giusti o esagerati, mi ricorda invece la Roma di Rudi Garcia.
– La Roma del tecnico francese disputò un campionato eccezionale, finendo dietro solo alla Juve dei record, un’altra stagione positiva esclusivamente per la classifica (sempre seconda, ma con 15 punti in meno) con ben altre aspettative e un lento stillicidio, tra incomprensioni con gli stessi giocatori e con la società, fino al ritorno di Spalletti.
– Quella Roma incantò per più di un anno e mezzo. L’allenatore, oltre al gioco, riuscì in un aspetto che a Roma mancava da anni: la continuità. Poi, di punto in bianco, travolto dalle aspettative, crollò come un castello di carte al vento. Per mesi, ai microfoni nei dopo partita, tra le tante domande, due erano fisse: cosa pensa della Juventus capoclassifica e cosa sta accadendo alla squadra che non riesce a essere la stessa del passato?
– Rudi mise la chiesa al centro del villaggio, ma col tempo la chiesa scomparve ed andò a cercarla errando per tutto il territorio. Fino a perdere anche la strada per il villaggio.
– Gli stessi tifosi, ammaliati da una Roma quasi perfetta, non riuscivano a capacitarsi di una involuzione del genere ed improvvisa. E le tre parole “l’anno scorso” si sono ripetute senza sosta.
L’errore di guardarsi continuamente dietro
– L’idea era di ritornare quanto prima al gioco perduto del passato. E il fine non fu quello di rinnovarsi, ma di inseguire qualcosa che in quel momento non poteva esserci più. Nonostante la squadra non avesse avuto stravolgimenti, né defezioni importanti.
– La squadra entrò a metà della seconda stagione in uno stato depressivo che solo la prima eccezionale parte salvò da una debacle totale. Centrando per un punto il secondo posto e la qualificazione alla Champions.
– Guardarsi continuamente dietro è il più grande danno che possiamo auto infliggerci. Cercare a a tutti i costi di tornare ciò che eravamo, pensando che basti un clic per disinnescare lo strano sortilegio, è autolesionismo.
“Ieri” non può essere il primo obiettivo. Perché probabilmente ieri eravamo diversi. C’erano altre condizioni, altri stimoli, altre certezze, altre situazioni, altri tasselli, altri tempi. C’era soprattutto un’altra fiducia che oggi latita.
Ogni partita è quella della svolta
– Allan non è lo stesso, Insigne non è lo stesso, Hysaj non è lo stesso, Sarri non è lo stesso e Gabbiadini non è Higuain. Tutto oggettivo. Allora perché perseguire un obiettivo che oggi è solo un cane che si morde la coda?
– Ogni partita sembra sempre che debba essere quella della svolta. È bastata una vittoria con l’Udinese che già ho immaginato, memore della continuità dello scorso anno, un filotto mostruoso di vittorie. Con l’Udinese mi sono illuso soprattutto perché il Napoli non ha giocato la solita partita dai ritmi infernali. Ha vinto invece con poche azioni, pochi tiri e una prestazione “normale”. Ha vinto in maniera diversa.
Il gol non è più una logica conseguenza del gioco
– Poi, tralasciando la Dinamo che è un discorso a parte, è spuntato il Sassuolo. Una squadra ultra rimaneggiata e proveniente da una sfilza di risultati negativi. L’ideale per dare continuità e provare a svoltare.
Il Napoli alla fine ha disputato una buona partita. Forse una delle migliori degli ultimi tempi al San Paolo. Ma abbiamo assistito più o meno allo stesso canovaccio: bel gioco, infinito palleggio, buone trame, bei fraseggi dal mento in giù e poca sostanza e poca concretezza in prima linea. Senza farsi mai mancare la boiata difensiva.
– L’assenza di un bomber, dell’uomo che la butta dentro è chiara, crea sicuramente delle difficoltà. E in alcune partite toste o con squadre forti diventa ancora più complicato, ma ieri, con o senza centravanti, anche in 10 uomini, contro una squadra ai minimi termini, la partita andava portata a casa.
– Il gol non è più una logica conseguenza del gioco. Ma sembra qualcosa di trovato, di quasi non meritato. La squadra dopo la rete perde la fame e il gol sembra la svolta quando è solo una tappa della partita. E invece di “ammazzare” come dice Sarri un Sassuolo finito, inizia invece un processo narcisistico come per dire “siamo tornati ad essere gli stessi dello scorso anno” e via con tocchi, tackle approssimativi e scelte frenetiche, fingendo una sicurezza che oggi invece non c’è.
– E la dimostrazione sta nel fatto che poi bastano due soffi, il solito errore difensivo, e così via si concretizza un pareggio incredibile.
Interroghiamoci sui finali di gara
– Interroghiamoci invece sui finali di gara. Anche quando c’era Milik ricordo un finale a Genova che solo grazie a Reina non si trasformò in sconfitta. Con la Roma non fummo capaci di reagire, così come con la Juve in cui finimmo di giocare dopo l’1-1 a 30 minuti dalla fine o come stava per accadere persino col Crotone, benché giustificati dall’uomo in meno. O il finale con la Lazio in cui avevamo già speso tutto in precedenza. Ed anche nelle vittorie casalinghe con Chievo ed Empoli, non ricordo finali tranquilli nonostante i 2-0.
Ieri, se il tiro di Calle fosse finito dentro, sicuramente avremmo fatto altri discorsi, ma la sostanza non sarebbe cambiata perché l’impressione che il Napoli volesse la vittoria a tutti i costi io non l’ho percepita.
– Il Napoli, a differenza dell’anno scorso, e di quando aveva Milik, per realizzare una rete impiega tutti gli uomini e chili e chili di energie. Energie mentali e fisiche che poi non riesce a reggere per l’intera partita. Basta una piccola o grande disattenzione che si va a compromettere tutto il benfatto. La metafora del nuotatore che non riesce ad arrivare alla spiaggia mi sembra calzante. Sembra un alunno che si sforza e riesce dopo innumerevoli tentativi a recitare la poesia a memoria. Ma quando il maestro chiede l’ultimo rigo, che proprio non riesce ad entrargli nella testa, il ragazzo dimentica anche il suo nome.
Non siamo il Bari di Protti o il Livorno di Lucarelli
– Higuain non c’è più e oggi non c’e Milik, ed è stato dimostrato che non si può giocare come se ci fossero. L’intera squadra ne risente e perde fiducia non appena prende uno schiaffone, perché pensa di non essere più capace come un tempo. Siccome il Napoli a mio avviso è forte, non riesco a capacitarmi che sia bastata l’assenza di un uomo, seppur importante, per condizionare un ambiente intero. Siamo una squadra con tanti nazionali e grandi valori e non può dipendere tutto da un uomo. Non siamo il Bari di Protti o il Livorno di Lucarelli. Specie se di fronte c’è una specie di Sassuolo.
Si può giocare e vincere anche in altri modi. Con un altro modulo o un diverso atteggiamento, un’altra strategia o uomini diversi. Come la Juve dopo la sconfitta col Sassuolo del campionato passato. Come il Napoli a Udine per esempio. Anche senza infiniti palleggi e ritmi alla Rosberg. Magari si riesce così a dare quel 10% in più in attenzione e concentrazione.
Una grande squadra riesce sempre a rinnovarsi e a trovare la fiducia e la soluzione. Senza dover necessariamente aspettare gennaio e, soprattutto, senza cercarla ossessivamente nel gioco dello scorso anno.
Rudi docet.
Forza Napoli Sempre
La 10 non si tocca.