Stevie G. ha annunciato il suo ritiro dopo 18 anni di calcio professionistico: partendo dalla tripletta al Napoli, un omaggio alla sua irripetibile carriera.
Noi l’abbiamo incontrato, Steve Gerrard. È andata male, ma è una di quelle volte che non puoi fare altro che toglierti il cappello e dire “se l’e meritata, è un campione”.
Napoli Liverpool 3-1
L’errore di Dossena, l’improvvisazione della difesa, quello che volete. Perché poi c’è il pallonetto del 3-1 che è una cosa deliziosa, un merito infinito che cancella l’opportunismo ed è solo bellezza, del gesto tecnico e della follia, del calcio. Lo Steve Gerrard che abbiamo incontrato noi è quello più bello, quello di Anfield Road. Non c’era nell’andata del San Paolo, uno 0-0 che in pochi ricordano perché c’è poco da ricordare. E perché non c’era neanche lui. Il campione assoluto che oggi ha annunciato il suo ritiro dopo 18 anni di calcio professionistico, con sole due maglie (Liverpool e Los Angeles Galaxy) e una militanza nei Reds che è iniziata nel 1987, a sette anni. E che è proseguita fino al 2014/2015, ultima stagione da 13 gol da centrocampista centrale 35enne.
Un calciatore speciale
Stevie G. è stato un calciatore speciale, per la Kop ma anche per tutto il calcio inglese. Insieme a Lampard e subito dopo Scholes (non a caso, tutti calciatori simbolo di appartenenza e fedeltà al proprio club), l’incarnazione moderna e rivisitata del centrocampista box-to-box, del calciatore in grado di accendere la luce della prestazione in difesa come in attacco. Lo leggi nelle cifre della carriera, che dicono 212 gol in 863 partite tra club e nazionale maggiore: una media da attaccante.
Diciotto anni di Liverpool
Diciotto anni di Liverpool significano 11 trofei, e curiosamente mai un campionato. Anzi, proprio a una Premier League sfumata si lega quello che è il ricordo più recentemente ingombrante nella sua carriera. La scivolata che consegna palla a Demba Ba e toglie ai Reds un titolo praticamente vinto, contro il Chelsea, ad Anfield. Fu un brutto momento per chi ama il calcio.
Diciotto anni di Liverpool sono tante cose. Le due finali di Champions con Benitez, la vittoria di Istanbul contro il Milan (Gerrard è l’uomo che apre la rimonta della squadra inglese con un colpo di testa) e la sconfitta di Atene, sempre contro i rossoneri, due anni dopo. Diciotto anni di Liverpool sono tanti altri allenatori, prima e dopo lo spagnolo: Houllier, Hodgson, Dalglish, Rodgers. Non troverete nessuno che vi parlerà male di Stevie, anche se Stevie si ritroverà a parlare male proprio del tecnico che più l’ha valorizzato e sfruttato al meglio, Benitez. Nella sua autobiografia, dirà che il manager spagnolo sbagliò nel cedere Xabi Alonso. «Benitez fu stupido», scrisse. Si dice che i due non abbiano mai avuto un buon rapporto, chissà. Intanto, uno ha dato all’altro il più grande successo della carriera, una Champions vinta da underdog assoluti contro il più forte Milan di Ancelotti.
Gerrard è il Liverpool
Gerrard è stato un grande campione, uno dei calciatori più forti della sua generazione. Ma ha rappresentato come nessuno il Liverpool, lo capisci da tante cose. Due su tutte. La definizione di cos’è per lui You’ll Never Walk Alone, l’inno che i tifosi dei Reds intonano prima di ogni partita casalinga («Non è un semplice canto. È molto di più. È un patto tra la gente»). E il perché avesse scelto di fare il calciatore («io gioco per Jon-Paul»), un omaggio al cugino rimasto vittima della strage di Hillsbourough nel 1989. Oggi il calcio perde uno dei suoi interpreti più importanti, dalla narrazione più grande e significativa. Per chi, come chi scrive, è passato dall’infanzia all’età adulta vedendolo giocare, è un addio importante. Che meritava questo saluto, nonostante la tripletta realizzata al Napoli. Non puoi fare altro che toglierti il cappello e dire “se l’e meritata, è un campione”.