La magistratura ha sì dissequestrato i terreni ma non ha deciso nulla. I contadini, infatti, non sono contenti: senza archiviazione, non possono chiedere i danni.
Caivano. Volete sapere che cos’è la terra dei fuochi? È l’Italia. Né più né meno. Anche se parliamo di salute, di alimentazione, delle nostre vite. Non sapremo mai la verità, ovviamente: perché la verità non esiste. Anche se quella mediatica si è imposta. La terra dei fuochi è un susseguirsi di terreni tra Caivano e Marcianise. Dove un terreno sequestrato è attaccato a uno coltivato a spinaci o a un altro a cavolfiori. Uno fermato dalla legge, l’altro in regola. Uno di fianco all’altro, senza nulla in mezzo che li divida.
La terra dei fuochi è un decreto di dissequestro della magistratura che rende giustizia a chi da anni si batte contro quella definisce una clamorosa montatura mediatica. Ma che non rende felici i contadini, coloro i quali quelle terre le detengono o le gestiscono in affitto. Potrete imbattervi in fautori di entrambe le fazioni che “tirano per la giacchetta” il decreto. Un dissequestro è un dissequestro; ma anche
il provvedimento prevede però la creazione di un organo speciale che comprenda Asl ed enti locali per stabilire se quei terreni possono essere nuovamente coltivati.
Non sanno, fanno finta di non sapere, che nemmeno i contadini sono soddisfatti. Perché senza l’archiviazione, i contadini non potranno chiedere quel risarcimento danni che toglierebbe loro l’onta di aver avvelenato la propria terra che sarebbe come a dire aver avvelenato i propri figli.
E non sanno, fanno finta di non sapere, che – come spesso accade in Italia – è fallito solo chi ha seguito la legge. Chi si è fermato, ha perso tutto: il terreno, gli attrezzi, tutto. Chi non si è fermato, ha continuato a coltivare. Perché nessuno avrebbe avuto il coraggio di fermarli. Avrebbero dovuto sottoporre a esame il terreno prima di ogni raccolto, a spese proprie. Con la paura che avrebbero trovato qualcosa che non andasse e quindi tutto il lavoro sarebbe andato perduto.
Chi vive quella zona, chi conosce la storia, sa tutto. Magari si è fatto la propria idea. Colpevolista o innocentista che sia. È fantastico il racconto di quel cavolfiore con le foglie gialle che venne portato in dono alla ministra De Girolamo. Ma la vita, tutto sommato, è continuata a scorrere. Con un danno di immagine e una maggiore difficoltà a piazzare la propria merce. Magari è stato costretto a un ribasso. Ma i terreni di friarielli che abbiamo visto rigogliosi, c’erano anche lo scorso anno. Così come quelli di insalate.
Ciascuno racconta la sua storia. Con rispetto di chi ha vissuto esperienze di malattie. Ma chi coltiva questa terra oppone un’esistenza di sacrifici e di lavoro, sempre sempre lavoro.
Se avessimo gettato materiali inquinanti nel nostro terreno, saremmo rimasti qui a mangiare i nostri prodotti? Chi ci ha accusato per anni di omertà, oggi ci dice: “abbiamo sbagliato entrambi”. E no, è troppo comodo, non abbiamo sbagliato entrambi.
“L’Italia funziona così: marito e moglie stavano litigando, un uomo riesce a sedare la lite e a impossessarsi del fucile con cui lui avrebbe voluto uccidere lei. Se lo porta a casa e se lo dimentica. Non sa che la legge prescrive che non puoi tenere un’arma simile in casa senza denunciarla. E quando la polizia, col suo tempo, risale a lui dopo aver chiesto spiegazioni per la lite, lo denuncia per detenzione impropria. E lui si fa dieci giorni a Poggioreale, in cella, e rimedia una condanna con la condizionale a quattro mesi”. Su una storia simile, Inarritu ci ha imbastito un film. Non ambientato a Caivano, peraltro.
Che c’entra con la terra dei fuochi? C’entra, c’entra. “Ieri sono venuti i funzionari della Regione per un rogo appiccato quest’estate, quest’estate! Sono venuti a novembre. Perché i roghi qui li appiccano. Lo sappiamo, noi li abbiamo denunciati, noi. Da sempre lo facciamo. I rom appiccano roghi, lo fanno dietro pagamento. Lo appiccano a luglio e lo Stato arriva a novembre a chiedere spiegazioni”.
Noi abbiamo la nostra idea ma non vogliamo imporla (anche se è chiara). C’è rispetto per chi ha perso figli e parenti, ma c’è anche il forte desidero di far comprendere, di divulgare quante più informazioni possibili. E c’è anche tanta rabbia perché le istituzioni, alla fine, giocano allo scaricabarile e quindi non aiutano. E c’è anche il terrore per un ingranaggio che una volta messo in moto, non riesci più a fermare. E per chi questo fuoco, per varie ragioni (anche in buona fede), ha provato in tutti i modi a tenerlo vivo. Scriviamo, con la matematica certezza di non essere creduti, che l’epicentro della terra dei fuochi è in un’azienda agricola efficiente che confina con un’altra altrettanto perfetta. È surreale calpestare quel terreno e leggerne la descrizione che ne facevano i tecnici dell’Arpac (che almeno ha assunto un bel po’ di precari, funziona sempre così: da un lato togli; dall’altro metti) Poche centinaia di metri più in là, ci sono campi abbandonati, una carcassa di auto, altra immondizia (non tantissima, giurano che fino a pochi giorni fa ce n’era molta, molta di più).
Abbiamo ascoltato di tutto. Anche chi ci ha detto che, probabilmente, tutto questo è nato nel tentativo di minare il consenso sociale della camorra che nei paesi c’è sempre stato.
In fin dei conti, la magistratura non ha deciso nulla. Non si è assunta alcuna responsabilità. Ha sì dissequestrato pozzi e terreni, e ha restituito la palla. Ha invertito, questo sì, un trend mediatico. Trend mediatico che nulla sa della vita reale. Chi se n’è fregato del trend mediatico, oggi è sul mercato. Ed è persino incazzato con la magistratura. Aspetta un’archiviazione che mai arriverà. Si resterà nel limbo chissà per quanto ancora. E ciascuno resterà con le proprie convinzioni. Mentre noi guardiamo una distesa di friarielli e l’amico giornalista con cui siamo andati a Caivano grida: «Capisci, sei nell’epicentro del male d’Italia». Pochi metri più in là, lavoratori che mangiano. Fuori, sulla strada, una signorina con l’ombrello rosso che attende i clienti. I tecnici dell’Arpac nei loro uffici, i magistrati pure. La verità chissà dove.
p.s. Però, un giro a Caivano dovrebbe essere obbligatorio per legge. Magari con rappresentanti di entrambe le fazioni. Ma fatelo.