«Se devi sbagliare le note, fallo forte, fallo alla grande. Rendi giuste le note sbagliate. Rendi arte le tue rughe». Il Napoli ha vinto cinque a zero.
Posso seguire la partita col wi-fi
Domenica undici dicembre sono piantato su un volo intercontinentale. La disperazione del giorno prima ormai è piatta rassegnazione: del risultato finale di Cagliari Napoli saprò solo la sera, quando atterrerò cercando campo come un assetato che vagabonda nel deserto. Quando chiamerò per sapere se mio suocero – cagliaritano in esilio da quarant’anni – è felice e racconta del Poetto ai suoi nipoti napoletani o soffre in silenzio nella sua casa di Fuorigrotta.
Mi trovo invece a riconoscere di sottovalutare più spesso di quanto immaginassi i tempi fantastici di cui siamo testimoni. D’altra parte il lamento è sempre un letto caldo e comodo in cui dormire. In cabina c’è il wifi, in volo, al prezzo di un biglietto di curva per Napoli Sassuolo. Sarebbe criminale non sfruttare l’occasione e seguire cosa accade al Sant’Elia leggendo gli aggiornamenti in rete del solito gruppo di fratelli devastati come me dal Ciuccio e dal pallone.
Dimenticare è troppo faticoso
Nel mentre, in cabina danno Miles Ahead, il film scritto e interpretato da Don Cheadle su Miles Davis, il geniale musicista dell’Illinois. Colpevole di essere stato, in vita, costantemente e cocciutamente in anticipo rispetto al suo tempo mortale. Quando Mertens segna il primo goal, Miles è alla ricerca di qualche grammo di coca pura nel covo di uno spacciatore che lo riconosce e gli sbrodola qualche complimento banale sulla testa. Quale dei miei pezzi ti piace? – gli chiede il trombettista per metterlo alla prova. Allora la ragazza del pusher, distesa sul letto, fischietta il motivo di So what?, la magistrale registrazione del 1959, la bibbia del jazz, perfetta, coerente, completa, la vera maledizione del trombettista che cercherà il senso di ogni sua straordinaria metamorfosi successiva nello sforzo di far dimenticare quelle note. Ma la gente non vuole dimenticare. Dimenticare è troppo faticoso.
“Perché non suoni come facevi una volta?” gli chiede il mondo. Lo braccano. Lo incatenano. I critici, i discografici, i conduttori radiofonici. Perché non torni com’eri? “Ma come suonavo una volta?” – non fa che chiedersi Davis. Chi ero? Cosa è la mia memoria? Esiste? “Ci vuole molto tempo per suonare come sei”. Per dimenticarsi.
Intanto Zielinski ha triplicato
Intanto Zielinski ha triplicato. Siamo sull’Atlantico, vicini alla Groenlandia. Il cellulare vibra incandescente di messaggi come fosse posseduto. Il wifi satellitare porta le buone nuove dalla Sardegna. Miles rotola nei suoi meandri più bui. Dice che cambia perché ama ciò che lascia e lasciarlo è quasi l’unico modo possibile di amarlo. “Music that don’t move is just dead music”. A quel punto è una cascata di reti. Mi sento nel mondo surreale di una partita non vista di Gianni Montieri.
Al quinto goal credo di aver urlato, fortunatamente coperto da una turbolenza. Ma ricordo una frase importante nel film. Rivista, romanzata, riscritta rispetto al reale – che importa? A Miles non è mai interessato il reale. Dicevo, Davis è pronto a registrare. Catechizza i suoi musicisti. “Be wrong, strong, otherwise lay the fuck out”.
L’errore, con Davis, rientrerà come un sovrano nel processo creativo. Se devi sbagliare le note, fallo forte, fallo alla grande. Rendi giuste le note sbagliate. Rendi arte le tue rughe. Muoviti e muovi tutto il circostante. Perdi. Ma muoviti. E che il resto vada tutto al diavolo.