Stadi, maglie, font, gestione delle campagne marketing: tutto o quasi, tutti o quasi, in Serie A, si lasciano andare all’improvvisazione.
Premessa
Ieri e l’altro ieri abbiamo parlato del rebranding della Bundesliga, poi nel nostro newsfeed è comparso un articolo de Il Post. Un titolo semplice. Sei parole, pulite e precise. Efficaci. “Le squadre di Serie A sono brutte”, ed è una cosa vera. Il significato lo spiega il sottotitolo: “Proprio esteticamente, salvo alcune, tra loghi copiati, font illeggibili, stadi malmessi: e non sono dettagli superflui”. La frase finale, quella dei dettagli superflui, è fondamentale. Perché una cosa è discutere del valore puramente calcistico (tattico, tecnico, di incertezza) del nostro campionato, un’altra è individuare criteri estetici. Certo, entrambi sono roba soggettiva. Ognuno la pensa come vuole. Eppure, se guardiamo alla seconda sfera di significati, vediamo che la cosa è parecchio sbilanciata. E quindi è vero: le squadre di Serie A sono brutte.
Gli stadi
Il pezzo comincia con una definizione di bruttezza strutturale, parlando degli stadi.
L’età media degli stadi italiani è circa sessantadue anni e può sembrare logico pensare che se una società non riesce a ottenere uno stadio di proprietà, si attivi almeno per ristrutturare quello che ha già, anche con piccoli ma mirati interventi come la sostituzione dei seggiolini, l’eliminazione delle barriere, la sistemazione dei cartelloni pubblicitari e la cura degli spazi attorno al campo: cose che non riguardano la struttura dell’impianto ma la sua presentabilità, che poi si riflette su quella dei club.
Oltre a migliorare l’immagine dei club però, accorgimenti del genere – se fossero diffusi e magari regolamentati dalla Lega Serie A — aiuterebbero molto anche l’immagine del campionato in sé: le partite sono il “prodotto” più importante del calcio e può sembrare un controsenso che vengano presentate a migliaia di persone, anche all’estero, in un contesto improvvisato, sciatto, brutto.
Il Bologna ha rinnovato il Dall’Ara, la Fiorentina e l’Atalanta hanno iniziato a sistemare alcuni dettagli. Ma il resto, Juventus e Udinese a parte (stati di proprietà), è trascurato.
Oltre gli impianti
E lo capisci anche andando al di là degli stadi, che come abbiamo visto sono legati comunque a un concetto di proprietà istituzionale. Il sito internet della società, ad esempio. Oppure un team di professionisti del marketing che curi le campagne pubblicitarie.
In questo momento molti club di Serie A sono ancora sprovvisti di un numero adeguato di professionisti della comunicazione e del marketing, e questo si riflette nell’anonimato che certi club hanno in ambito internazionale: per fare un esempio, per un tifoso italiano è molto più facile comprare una maglietta della squadra tedesca del Darmstadt (promossa in Bundesliga due stagioni fa) dal sito internet della società che comprarne una del Crotone dal suo sito ufficiale, che non ha nessuna sezione dedicata alla vendita del merchandising, o una del Pescara, il cui store online è in fase di allestimento da mesi. Sia il Crotone che il Pescara giocano in Serie A da questa stagione.
In questa stagione, poi, solamente due squadre di Serie A sono sponsorizzate da Adidas e solo tre da Nike. Puma, New Balance, Umbro e Under Armour, gli altri marchi sportivi più conosciuti a livello mondiale, non hanno nessun contratto con squadre di Serie A, che invece si fanno sponsorizzare da Joma, Le Coq Sportif, Macron, Givova, HS, Zeus, Kappa e Lotto: marchi noti e alcuni anche di una certa importanza, ma molto meno rilevanti rispetto ai grandi marchi internazionali che garantiscono anche una maggior diffusione delle maglie e del merchandising nel resto del mondo.
Contraffazione e loghi
Analizzando questo aspetto, il pezzo sottolinea il peso della contraffazione. Una specie di deterrente per gli investimenti delle grandi società. Anche tutto il resto dell’articolo parte da questi concetti di base pur analizzando altri piccoli dettagli. Si pensi all’importanza delle maglie, del logo o al tipo di carattere utilizzato per stampare il nome sulla schiena dei calciatori. L’esempio portato per le maglie è quello dell’Udinese: il template è molto simile a quello del Newcastle, ma il punto è anche quello dei colori. Nella foto in apertura del nostro pezzo, abbiamo “celebrato” lo scotch sulle magliette dei bianconeri a Bergamo. Una pessima figura. Quasi come quella del derby di Milano, con un’assoluta indistinguibilità tra i colori in campo.
Per quanto riguarda i crest delle squadre, i vecchi scudetti, vengono riportati gli esempi del Sassuolo e dell’Empoli. Quello dei neroverdi è una copia di quello del Barcellona. Quello dei toscani, invece, è stato recentemente aggiornato (al 2013) e questo lavoro si è attirato molte critiche. «La dirigenza decise di rimuovere la facciata della Collegiata di Sant’Andrea e di reintrodurre un acronimo già presente sul primo stemma della squadra, ma riportandolo tale e quale senza farci un gran lavoro intorno. Per molti fu un errore, che rese lo stemma dell’Empoli meno caratteristico e riconoscibile».
I font
Per quanto riguarda invece il tipo di carattere (font), si fa riferimento al Chievo. Sotto, l’immagine utilizzata nell’articolo. Ma c’è anche una citazione al Carpi, che l’anno scorso aveva utilizzato lo stesso carattere che è obbligatorio in Premier League. In Italia non esiste questo tipo di regolamento, ma si potrebbe fare di più.
Ecco, appunto. Si potrebbe, ma non si fa perché evidentemente non la si considera una cosa importante. Poi, però, leggiamo come va a finire.
Nella classifica dei brand con più valore nel mondo del calcio, pubblicata quest’anno da Brand Finance, non c’è nessuna squadra italiana fra le prime dieci. Nelle prime trenta posizioni di italiane se ne trovano solamente quattro: la Juventus all’undicesimo posto, il Milan al ventesimo, l’Inter al 28mo e la Roma al 30mo. Solo la Roma ha migliorato la sua posizione (l’anno scorso era 35ma), Inter e Milan hanno perso rispettivamente venti e quattordici posizioni mentre la Juventus ha mantenuto il suo piazzamento. Altre squadre italiane di una certa importanza, come Napoli, Fiorentina e Lazio, sono molto lontane anche dalle prime trenta posizioni, nonostante abbiano una storia per molti versi più rilevante di molte altre squadre che occupano una posizione migliore della loro. Il Napoli è 37mo, Lazio e Fiorentina non rientrano nemmeno nelle prime cinquanta posizioni.
Come dire: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.