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Dimenticare, a Napoli, è la vera avanguardia. Solo il Napoli non vive nel memoriale

Napoli-Real Madrid rappresenterà la possibilità di riscrivere la storia. Rivoluzionario per una città che è come il Funes di Borges. L’eccezione è la società di De Laurentiis.

Dimenticare, a Napoli, è la vera avanguardia. Solo il Napoli non vive nel memoriale
L'altarino di Maradona, al centro storico di Napoli

Napoli-Real Madrid

Il prossimo sette marzo rappresenterà uno snodo fondamentale della vita del Napoli dell’era De Laurentiis. Si cancella finalmente la storia, si risucchia il passato di chiacchiere e lo si condensa in 90 minuti di vita vissuta, di tackle fatti e subiti, di sudore di oggi. Otterremo il tanto atteso placet per dimenticare l’etereo trio Galeazzi-Falcao-Tognazzi seduto in uno studio a commentare l’intervallo di un pareggio mortifero. Dimenticheremo il goal di Francini che fu l’acme della nostra pubertà calcistica. Del mondo del pallone, allora, non sapevamo nulla. Oggi siamo cresciuti.

La città venera Troisi ma non produce comici di spessore

Dimenticare, a Napoli, è la vera avanguardia. L’atto rivoluzionario. Lasciare sfilare il passato e sovrascriverlo con una nuova idea, un’altra ipotesi, in una città che è un monumento al memoriale di qualunque cosa, un perenne inno al revival, un amarcord che si perde nella notte dei tempi. I napoletani nascono già nostalgici. Tanto per dirne una, è divenuto parte della storia folkloristica cittadina Massimo Troisi, il cui ultimo film è solo di una ventina d’anni fa. Da allora la città che lo venera quotidianamente, pur ritenendosi dissacratoria e divertente come lui per natura, non è riuscita a produrre un solo vero comico di spessore. È come se ai napoletani piacesse solo la storia, mentre la cronaca facesse schifo. L’oggi è sempre troppo volgare per meritare attenzione.

Solo il Napoli è fuori dal coro

La SSC Napoli è l’unica realtà cittadina fuori dal coro. Per dimensioni, scala, ambizioni, titoli, risultasti, è l’unica a puntellare l’oggi, a scuotere i nostri ricordi pallonari ed extracalcistici, costringendoci a valutare chi siamo e cosa vogliamo adesso, non mezzo secolo or sono, scagliando addirittura Cristiano Ronaldo sul prato di Fuorigrotta. Se non è una sveglia questa.

In città esistono i passatisti più incalliti e quelli meno ortodossi, ma tutti grosso modo sono d’accordo nel ritenere necessario che a Napoli ogni foglia che si muove nel presente debba rendere conto ad una foglia progenitrice mossasi da qualche parte nel passato. Di ogni realtà quotidiana devono esistere i legami necessari con i decenni e i secoli addietro. Per rispetto di una tradizione. Niente può nascere dal niente perché c’è la certezza che tutto sia stato già detto. Ogni cosa che nasce perde risorse e tempo preziosi a capire da quale pezzo del passato cittadino provenga – da quello greco, quello normanno, quello illuminista, quello giacobino o quello sanfedista.

Napoli è come il Funes di Borges

Tutto tempo perso. Napoli è come il Funes del racconto delle Finzioni di Borges – “el memorioso”, l’uomo che l’autore argentino immagina abbia la disgrazia di possedere una memoria ipertrofica, capace di risucchiare ogni dettaglio e incapsularlo nella propria mente, rendendogli impossibile generalizzare, astrarre, immaginare, inchiodato com’è ai dettagli del ricordo.

“Babilonia, Londra e New York hanno oppresso con uno splendore feroce l’immaginazione degli uomini; [Per Funes] era molto difficile dormire. Dormire, significa distrarsi dal mondo; Funes, supino sulla branda, nell’ombra, si immaginava ogni crepa e ogni sporgenza delle case precise che lo circondavano.”

Per ogni Koulibaly, c’è un Francini da superare

Funes è come Napoli, oppresso dalla eccessiva vastità di quanto è accaduto e confinato in un recinto in cui ogni elemento di vita presente è diretta emanazione di un equivalente smarritosi nel passato – ogni Koulibaly è prima di tutto un Francini, ogni Hamsik lotta contro un Maradona, ogni Insigne deve superare uno Juliano. Anche per questo in città raramente ci si gode alcunché, pur rimanendo tutti convinti di appartenere ad una razza fortemente godereccia.

Il terremoto dell’80

Ci sono eventi che ci vincolano. Anche nella loro natura drammatica. Come il terremoto dell’80, un lasso di tempo che ci affratella nei ricordi, ci individua tutti nello spazio e nel tempo e mostra le nostre somiglianze. Ma mentre il terremoto è per sempre cristallizzato irripetibile nella nostra memoria, lo sport del pallone può concedere ad un evento il privilegio della ripetizione, dell’essere rivissuto, riassaporato con nuove speranze e nuove paure. Sarà come ridestare un tormento con una differente via d’uscita. Questo, oggi, a Napoli, lo fa solo il Napoli di De Laurentiis.

Il 7 marzo

“Pensare significa dimenticare differenze, significa generalizzare, astrarre” chioserà Borges nel suo racconto. Pensiero, immaginazione e oblio. Generare forme, persino vivere è anzitutto dimenticare. Selezionare cosa si vuole abbandonare e scaricarlo lungo il proprio percorso. Nessuno di noi potrà liberarsi del peso del ricordo di quel lampadario che tintinna e volteggia sul soffitto. Ma il Calcio, e gli undici e più che scenderanno in campo il sette marzo in uno stadio senza cessi eppure vero, ci daranno l’opportunità di cancellare un ricordo collettivo e personale. E di ridefinirlo. Non è poco.

Viva il Napoli che ci porta altrove, quindi. Un Borges probabilmente apocrifo scrisse un giorno il sonetto Aquí. Hoy. – Qui. Oggi. -: “Noi siamo già l’oblio che saremo. […]Penso con speranza a quell’uomo/che non saprà che fui sulla terra./Sotto l’indifferente azzurro del cielo/questa meditazione è un sollievo”.

Magari quel cielo indifferente è quello sopra il San Paolo.

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