Intervista a So Foot di Joe Tacopina, ex socio di Roma e Bologna e oggi proprietario del Venezia: «Non sono un filantropo, l’aspetto business è fondamentale».
L’intervista a So Foot
Non saranno tantissimi, a ricordarsi chi sia Joe Tacopina. Ex dirigente della Roma, poi socio del Bologna e oggi proprietario del Venezia, in Lega Pro. Un uomo d’affari americano che ha una grande passione per il calcio italiano. E per le possibilità di guadagno che offre. Tanto da impartirci una vera e propria lezione, attraverso un’intervista rilasciata al magazine francese So Foot. La frase cardine è quella del titolo: «Il calcio italiano è il prodotto sportivo più sottovalutato al mondo».
Lo spiega proprio mentre racconta la sua storia, dalla Roma fino alla Laguna: «Sono stato il primo straniero a voler davvero comprare un club italiano, ed è un vero e proprio orgoglio. Per quattro anni, ho cercato di acquistare la Roma. Prima con George Soros nel 2008, poi con Inner Circle Sports, una banca degli Stati Uniti. Poi ho convinto Thomas Di Benedetto e James Pallotta nel 2011, così l’accordo con la banca Unicredit e il mio amico Mauro Baldissoni è andato a buon fine. Sono stato vicepresidente della Roma per tre anni. Tutti pensavano che fossi pazzo a voler investire nel calcio italiano, ma per me è il mercato più sottovalutato nel mondo dello sport. Quindici anni fa, era il campionato più importante al mondo mentre la Premier sfiorava il fallimento. Tuttavia, in Inghilterra si sono fatti ispirare dagli sport americani: sviluppo commerciale, marketing, le entrate del matchday».
Diritti tv
I motivi del nostro ritardo sportivo-culturale: «Ho parlato con molti presidenti italiani, chiedendo loro perché non volevano creare un modello di business vero e proprio, piuttosto che incassare semplicemente dalla vendita dei diritti TV.Hanno cercato di giustificarsi senza darmi una risposta». Tanto che, subito dopo, fa una stima del suo lavoro alla Roma e del rapporto con gli sport americani. «Abbiamo comprato la Roma per 130 milioni di dollari, un’inezia. Oggi vale 400 milioni dopo tre anni vissuti con il nostro modello. Negli Usa, una squadra di basket che non ha mai vinto nulla (i Los Angeles Clippers) sono stati venduti per due miliardi di dollari».
Oggi, Venezia. Un progetto ambizioso, Inzaghi in panchina e la voglia di risalire la piramide calcistica. Ma, soprattutto, il marketing della città al centro di ogni cosa. Il nome della squadra, ad esempio. «È diventato Venezia Fc. La parola “Venezia” deve essere al centro di tutto!». E poi, lo stadio e la creazione di un polo di attrazione: «Ho parlato con il sindaco della città, è stato molto impressionato dal mio progetto. È d’accordo sul nuovo stadio. Abbiamo individuato una zona di Tessera, nei pressi dell’aeroporto, sarebbe perfetta. Il mio team responsabile del progetto è il migliore, è quello che si fece carico della Juventus Stadium. E non ci sarebbe non solo uno stadio, ma anche un centro commerciale, alberghi, altre strutture. Tutto è stato calcolato e creerebbe 10.000 posti di lavoro».
Il filantropo
La spiegazione del tutto in una frase: «Noi vogliamo coinvolgere partire da una solida base di tifosi locali. Io non sono un filantropo, però. Quindi l’aspetto business è fondamentale. Ci sono un sacco di turisti, che vengono qui in vacanza e quindi spendono molto. Abbiamo stretto una partnership con la Ava (l’associazione dei gestori di Venezia). Ci sono 400 hotel a Venezia che vendono biglietti delle nostre partite. Sono già venuti a parlare di noi il New York Times , il New York Post , la BBC. Sapete perché? Venezia». Ecco, basta la parola. Bastano queste parole.