Primo in Premier dopo le imprese con Juventus e Nazionale. Oggi, nessuno riesce ad avere un rapporto così elevato tra aspettative e risultati.
Ricostruire il Chelsea
Nel raccontare il momento attuale di Antonio Conte, partiamo da una premessa fondamentale: il Chelsea è una grande quadra. L’anomalia è l’anno scorso, non quello in corso. Perché, anche se sembra passata una vita, l’ultimo titolo “normale” della Premier League è stato vinto dal Chelsea. Per “normale”, intendiamo l’era pre-Leicester. Era il 2015. Nell’annata precedente, 2013/2014, il Chelsea sfiorò la finale di Champions League (fu eliminato solo dall’Atlético in semifinale). Ergo, parliamo di un club e di un organico di primissimo livello.
Questo, però, non ridimensiona Antonio Conte. Perché la differenza tra vincere e far bene è comunque abissale. E il suo Chelsea, oggi, non è una squadra che fa bene e basta. No, è una squadra che vince. E che molto probabilmente, a meno di crolli clamorosi, vincerà anche in senso assoluto. Gli otto unti di vantaggio in Premier, tra l’altro su inseguitori che giocano a farsi male da soli, sono una mezza garanzia. Soprattutto senza il calendario ingombrante delle coppe europee. Il Chelsea, da qui a fine stagione, può concentrarsi sul solo campionato. Forse, il miglior contesto possibile per il lavoro preferito di Conte: ricostruire le identità delle grandi squadre.
Come alla Juve, più che alla Juve
Se ci pensi, cinque anni fa la Juventus era in una situazione simile. Anzi, molto peggiore di questa. Errori su errori nella gestione dell’organico, due stagioni di livello infimo (non una sola, come il Chelsea), un’appartenenza da ricostruire prima di un credo tattico. Conte seppe far leva sulla sua juventinità, sulla forza di un club che riuscì a pescare diversi jolly al mercato (Pirlo a parametro zero, Arturo Vidal, Vucinic) e su un lavoro psicologico martellante, continuo, assoluto. In poche partite, la Juventus seppe reinventarsi, riscriversi, ritrovarsi. La stessa società che fino all’anno precedente veniva criticata per una gestione sportiva fallimentare tornò d’incanto un modello da seguire. Ovviamente, i risultati (e le idee economico-strategiche, dallo stadio in giù) fecero la differenza.
Al Chelsea, Conte ha dovuto occuparsi soprattutto del lato tecnico. Che poi, è quello che sa fare meglio. E ha potuto/dovuto costruire la sua squadra sulle macerie tattiche e psicologiche dei predecessori Mourinho e Hiddink. Non Delneri, pur con tutto il rispetto del tecnico friulano. Una situazione più difficile, soprattutto quando hai a che fare con calciatori di primissima grandezza (si pensi ad Hazard o a Diego Costa), con temperamenti forti (John Terry, Cesc Fabregas), con una rosa che magari non si adatta perfettamente al tuo credo tattico.
Conte ha imposto le sue idee, dopo un inizio claudicante è riuscito ad importare il suo calcio anche in Inghilterra. Poche concessioni allo spettacolo, schieramento compatto e grande forza agonistica. La difesa a tre è un modo per coprirsi, e sta segnando una tendenza. Un articolo del Times riporta una quote di Nigel Winterburn, ex difensore dell’Arsenal. Che vi trascriviamo qui:
Una difesa a tre, legata quindi a un sistema difensivo a cinque, si addice perfettamente al calcio di oggi. I terzini moderni sono più propensi a giocare in attacco che in difesa, è uno schema che favorisce questo tipo di calciatori
Risultati
Alla fine, ha avuto ragione lui. Di nuovo. I risultati sono dalla sua, nonostante la mancanza di grossi picchi di gioco spettacolare. Tutt’altro discorso per il racconto emotivo, uno dei pezzi forti della casa. Basti pensare alla lite con Diego Costa, alla giubilazione di un talento purissimo come Oscar. Alle difficoltà iniziali di convivenza con Fabregas. Tutti, o quasi, si sono già scontrati con la personalità assoluta di Conte. Una battaglia che può avere due risultati: la sconfitta o la conversione, la presa di coscienza che Antonio Conte puoi solo amarlo alla follia, oppure odiarlo. Sempre alla follia.
La stessa cosa era successa con la critica e con i calciatori della Nazionale, in quell’Europeo che è stata la sua fortuna assoluta. La sua rivelazione agli occhi del mondo. Nessuno avrebbe pensato a un’Italia tanto positiva, a una Nazionale in grado di rappresentare un benchmark di organizzazione tattica nonostante la scarsa qualità dell’organico. Conte, invece, ha fatto un vero e proprio miracolo di preparazione tecnica e gestionale. Ha inventato la nazionale come un club, l’ha pensata così. E l’ha portata anche oltre le sue possibilità, a due vittorie belle e meritate contro Belgio e Spagna e a un successo sfiorato con la Germania. La Germania, sì. La squadra campione del mondo.
Non è un vuoto di potere
La terza occasione sfruttata non può essere un caso. Dopo la Juventus, dopo la Nazionale. Conte è bravo. È il miglior allenatore del mondo nella gestione del rapporto aspettative/risultati. Nessuno come lui, da questo punto di vista. I detrattori gli riconoscono la fortuna di aver “indovinato” un periodo di vuoto di potere, in Italia come in Inghilterra. Se questo è accettabile se riferito al suo triennio juventino, con le milanesi in caduta libera e Napoli e Roma ancora troppo inesperte, non è un concetto applicabile agli Europei e all’avventura al Chelsea. Agli Europei c’era obbligatoriamente il meglio del football continentale (anzi, all’Italia mancavano due dei calciatori più forti, Marchisio e Verratti). In Premier, invece, ci sono semplicemente i migliori allenatori del mondo. Da qui il titolo: Conte è semplicemente il miglior allenatore del mondo, oggi. Perché realizza l’impossibile, vince laddove nessuno si aspetta.
Al Chelsea avrà la possibilità/necessità di riconfermarsi nella prossima stagione. Allora, presumibilmente, se la vedrà col suo grande spauracchio: la gestione dell’impegno combinato campionato-Champions. L’unica mission fallita alla Juventus, più che altro per una distanza ampia con il lotto delle grandissime. Ma anche per colpe proprie, come la poca adattabilità dei principi “contiani” al calcio europeo e alla difficile sovrapposizione delle varie competizioni in relazione alla tenuta mentale. Il vero, forse unico difetto di Conte è la necessità dell’esasperazione. Nella gestione dei calciatori, soprattutto.
Una volta superato questo step, magari con una campagna continentale convincente con il Chesea 2017/2018, Conte avrà messo il timbro definitivo sulla sua patente di tecnico top assoluto. Intanto, sta vincendo la Premier League. Noi che scriviamo per il Napolista, molto spesso ci siamo chiesti chi potrebbe essere, da qui a dieci anni, il sostituto di Sarri. È sempre stato il primo nome che ci è venuto in mente, soprattutto ripensando alla mentalità del presidente De Laurentiis. Che, probabilmente, ci avrà pensato a sua volta.
Ora, però, è già troppo tardi: Conte è al top, e la sua strada è segnata. Dopo il Chelsea, una squadra ancora più grande. A sfiorare il cielo. Se l’è meritato, dopotutto.