La grande notizia del giorno: scelta politica, economica ma anche di globalizzazione calcistica. Quindi, un passaggio inevitabile, che è iniziato col passo giusto.
Doveva accadere
Premessa: il Mondiale extralarge non è una cosa bellissima. Parliamo, ovviamente, dal punto di vista sportivo. Già a 32 squadre, era forte la sensazione di una prima fase più che altro platonica prima del vero, grande appuntamento degli scontri a eliminazione diretta. Il fatto che ci siano state eliminazioni clamorose negli ultimi anni (Italia, Inghilterra e Spagna 2014, Italia e Francia 2010) non è dovuto alla presenza di tante squadre. Anche nel passato più remoto, non sono mancate le sorpresissime (Italia ’66 eliminata dalla Corea, Brasile ’66 eliminato dall’esordiente Portogallo e dall’Ungheria). Le eccezioni esistono da sempre, il Mondiale a 32 nazionali era un modo per eliminarle. O per provare a farlo. Che, però, teneva basso il coefficiente di competitività iniziale.
In tanti, per esempio, preferivano l’Europeo. Sedici squadre, il meglio del continente, e partite di fuoco fin dalla fase a gironi. Basti pensare a Euro 2012: Italia, Spagna e Croazia nello stesso gruppo. O a Euro 2000, con Inghilterra, Portogallo e Germania insieme alla Romania. Ovviamente, passarono portoghesi e rumeni. Poi, anche la manifestazione continentale è passata a 24 squadre. Tutti critici, all’inizio, per uno svilimento della competizione. E, invece, il risultato finale è stato più che apprezzabile. E pieno di sorprese: il Portogallo campione, ma soprattutto il Galles semifinalista e l’Islanda ai quarti. Narrazioni da tramandare, epica del calcio. Il Mondiale, benché già extralarge, non poteva che andare in quella direzione.
L’annuncio ufficiale (e non c’era modo migliore)
E allora, eccoci qua. Con la grande trasformazione, con la grande rivoluzione. 48 selezioni a partire dall’edizione 2026 (non ancora assegnata, ci sono in lizza Canada, Messico, Australia, Stati Uniti), e 16 gruppi da tre squadre come scrematura iniziale. Dopo queste prime due partite, spazio a una seconda fase. Che potrebbe essere a 16 o 32, in base al numero di qualificate. I dettagli saranno resi noti in una conferenza stampa di Infantino, ma la sostanza è quella. La prima fase servirà a eliminare sicuramente le peggiori 16. Anzi, le 16 “aggiunte”, che comunque si godranno due partite sotto gli occhi del mondo. E contro un grande avversario, presumibilmente.
Ecco, in un’ottica di crescita globalizzata non c’era modo migliore per inserire queste nuove nazionali. Che, proporzionalmente, saranno le peggiori del lotto. Invitarle comunque a partecipare, pur in una condizione di forte svantaggio (sole due partite, da dentro o fuori), vuol dire invitarle a misurarsi per migliorarsi. È sicuramente una questione di gestione politica, dei voti di queste piccole nazioni. È sicuramente una scelta economica (si calcola che un torneo a 48 squadre varrebbe 600 milioni di euro in più). Ma è anche il lancio di una speranza, per cui tutte (o quasi) devono avere una possibilità.
Come all’Europeo, che ha avuto grandi riscontri. Solo che qui siamo su scala planetaria, e allora bisogna accontentare tutti. Aprire alle 48 nazionali senza scontentare ancora di più le europee (13 sono veramente pochine, dati i rapporti di forza) o le sudamericane. Si attendono delucidazioni, in questo sento. Non si poteva fare altrimenti – per mantenere una parvenza di credibilità sportiva e competitiva alla cosa -, e i gruppi di 3 squadre sono la scelta migliore. L’ideale, dopo, sarebbe passare subito alla fase ad eliminazione diretta. 32esimi, o 16esimi, e poi giù fino alla finale. Otto o sette partite, almeno due per tutti. Facili o difficilissime, ma comunque ai Mondiali. Laddove, nel 2016 (e figuriamoci nel 2026), conta innanzitutto esserci. Per alcuni. Per altri, conta vincere. E a quel punto, non fa differenza in quanti si parte.