L’allenatore toscano ha dato prova di saper tornare sulle sue convinzioni e, al di là di qualche battibecco, lui e De Laurentiis sembrano fatti l’uno per l’altro.
Cominciò col “ridimensionamento”
Dopo una stagione e mezza sulla panchina del Napoli proviamo a tracciare un profilo di Maurizio Sarri.
De Laurentiis lo ingaggiò per il dopo Benitez, in un’ottica di “ridimensionamento”. Non era la prima scelta, anzi. Il presidente avrebbe preferito Montella o Mihajlovic, alla fine prese lui, l’allenatore dell’Empoli, con appena due stagioni di serie A alle spalle. Toscano fin nel midollo, anche se nato a Napoli, tuta, sigarette e dichiarazioni decisamente anticonformiste, sia nei toni che nei modi. Dopo le prime giornate, Maradona disse che somigliava a suo zio e che non era adatto ad allenare il Napoli. È finita con il secondo posto e l’accesso diretto alla Champions League.
Sotto il profilo caratteriale ci ha abituato alle parolacce in conferenza stampa, alla (finta) ritrosia ad interessarsi di mercato ed all’ottimo rapporto con i giocatori. Il suo lato più sanguigno è venuto fuori in più di qualche occasione, la più celebre delle quali in Coppa Italia contro l’Inter di Mancini. Finì con la sculacciata pubblica dei media e l’indignazione di Mancini. Ma dopo circa un anno Sarri è ancora sulla panchina del Napoli, mentre Mancini è a spasso.
I battibecchi con De Laurentiis
Altro tratto caratteristico è stata (ed è ancora) la guerriglia sottotraccia con il presidente. I due non si amano e a più riprese si sono rintuzzati pubblicamente. La prima volta accadde proprio di questi tempi un anno fa. Il mercato di gennaio degli azzurri fu particolarmente povero, arrivarono Grassi e Regini. Sarri chiarì che non li aveva scelti lui e che prendeva atto degli obiettivi della società. Fu solo il primo di una serie di strappi con De Laurentiis, che forse non sono mai stati del tutto ricuciti.
A dispetto di una certa intransigenza verbale, però, il dato che emerge dopo un campionato e mezzo è la duttilità di Sarri, la sua capacità di cambiare gradualmente, di non innamorarsi di idee, schemi e giocatori.
Goodbye Saponara
Ha cominciato con il trequartista e l’idea di continuare a Napoli quello che aveva fatto ad Empoli. Pian piano ha modificato gli schemi e, soprattutto, l’approccio. Il pupillo Valdifiori, che doveva essere il marchio di fabbrica del Napoli, è stato abbandonato senza troppi rimpianti. Con il susseguirsi delle presenze sulla panchina azzurra, Sarri è riuscito a girare lo sguardo. Non si parla più di Saponara e dei suoi trascorsi empolesi, non si parla più nemmeno della vedovanza di Higuain.
Benitez e Mazzarri
Per il Napoli è una novità. Gli ultimi allenatori, Benitez e Mazzarri, con le dovute differenze, hanno interpretato Napoli ed il Napoli come una realtà da plasmare a propria immagine e somiglianza. Mazzarri in particolare non è mai riuscito a liberarsi del proprio passato, continuando a rimanere legato al proprio credo tattico e persino ai propri giocatori feticcio. I protagonisti della storica salvezza ottenuta con la Reggina nel 2006/07 sono stati più volte richiesti dal livornese nella sua permanenza sulla panchina azzurra, anche a distanza di 6 anni. Su tutti Bianchi e Modesto. Non se ne fece niente, ma ho sempre considerato il solo fatto che se ne parlasse un limite evidente alla crescita del Napoli e dello stesso Mazzarri.
Sarri, invece, ha dimostrato di saper voltare pagina. De Laurentiis gli ha consegnato quest’anno una rosa ampia ma giovane, diversa da quella che avrebbe desiderato. Il cruccio è durato poco, giusto il tempo di qualche scaramuccia con la società. Poi si è messo al lavoro, ha fatto esordire pian piano tutti i nuovi acquisti, dimostrando di essere in grado di gestire e far ruotare 20 giocatori, cosa che non gli era mai accaduta.
Addio titolarissimi
Il Napoli di quest’anno ha i suoi punti fermi, ma non ha più i titolarissimi. Le necessità derivate dagli infortuni sono diventate per il tecnico l’opportunità di reinventare il modulo, senza stravolgerlo. Gli azzurri segnano come e più dell’anno scorso, senza un mostro come Higuain e senza una punta classica, almeno fino al rientro di Milik e all’inserimento di Pavoletti. Nel frattempo Zielinski e Diawarà sono diventate due realtà, Rog è più di una promessa, Maksimovic ruota con i titolari senza troppi problemi, Giaccherini dà il suo contributo e l’ultimo ad esordire, Tonelli, è risultato addirittura determinante in due partite su due.
Il Napoli è ancora in corsa in tutte e tre la competizioni, viaggia in zona Champions in campionato, ha superato il turno nelle coppe e, cosa che interessa moltissimo al presidente, lo ha fatto senza stravolgere i propri piani societari. I risultati stanno arrivando non dopo una campagna acquisti “sopra le righe” come fu quella che accompagnò l’arrivo di Benitez, ma dopo un mercato accorto e di prospettiva. Sarri si è adattato al Napoli, dunque. Potrebbe essere considerata una vittoria di De Laurentiis, invece a mio avviso rappresenta un enorme merito del tecnico. I due, al di là del rapporto burrascoso che ogni tanto emerge, sembrano essere fatti l’uno per l’altro.
Il valore della rosa è aumentato
Sul futuro incideranno senza dubbio i risultati che il Napoli avrà saputo raggiungere a fine stagione, ma il primo obiettivo, forse quello che sta più a cuore al presidente, può dirsi già messo in cassaforte: il valore della rosa è aumentato rispetto all’inizio del campionato. Per una società come il Napoli che non può pensare di crescere senza contare anche sulle cessioni, questo è un requisito imprescindibile. Le fortune degli azzurri negli ultimi anni si sono basate sugli “affari” Lavezzi, Cavani e Higuain. Sarri, ad occhio, sta seminando perché la storia si ripeta. De Laurentiis lo sa e ci penserà su molto bene prima di cambiare allenatore.
Fabio Avallone ilnapolista © riproduzione riservata