Arrivò a Napoli dopo tre stagioni importanti a Genova. Giocò più a centrocampo che in difesa. In un calcio senza tatuaggi.
C’erano tre nomi che mi ossessionavano quando facevo le figurine Panini. Due erano del Cagliari, Ricciotti Greatti e Comunardo Niccolai, l’altro era Pellegrino Valente della Sampdoria. Quando smisi di volare in edicola per comprare le bustine perché al Liceo rischiavo di passare per quello che non correva dietro le gonnelle, se ne aggiunse un altro, Odoacre Chierico della Roma. Mi chiedevo se si poteva chiamare una persona così. Ricciotti era un nome che mi evocava uno spirito risorgimentale ( era il quarto figlio di Garibaldi ), Comunardo poteva essere qualcuno che aveva lottato con i Guelfi o i Ghibellini o aveva fatto la rivoluzione francese, mentre Pellegrino faceva al massimo pensare ad una gita fuori porta a San Giovanni Rotondo da Padre Pio.
Odoacre, invece, richiamava un’orda di barbari che calavano sulla penisola per depredare e conquistare il Sacro Romano Impero. Del resto, anche noi a Napoli abbiamo avuto il buon Attila Sallustro e nelle aree di rigore, dove passava lui, veramente non cresceva più l’erba. Ovviamente l’originalità della scelta va premiata, il comun denominatore di tutti questi insoliti nomi ci sembra un grosso richiamo alla Storia che i genitori fecero nell’atto di chiamare un figlio in tale modo. Nomi che ‘marchiavano’ in qualche modo l’atleta che continuavo a ricordare più per la stranezza dell’appellativo che per le qualità predatorie, visto il poco calcio che si trasmetteva in tv.
L’ANTEFATTO
Il 24 aprile del 1977 la Sampdoria viene a Napoli e pareggia per 1 a 1. Savoldi sblocca subito la partita al primo minuto di gioco, pareggia l’eterno Saltutti ad inizio ripresa, poi nulla muta fino alla fine. Nelle fila blucerchiate c’è un mediano tutto sostanza e corsa che fa a morsi con Vinazzani a centrocampo, si chiama Valente ed il Napoli lo ha già adocchiato e forse, visto che mancano solo quattro gare alla fine del torneo, opzionato in vista di quel ringiovanimento che doveva gradualmente portare alla costruzione della squadra scudetto. La realtà era, però, ben diversa perché gli azzurri avevano pochi punti fermi su cui contare ed il titolo non lo si vince se non hai almeno otto giocatori su undici di buonissimo livello.
Il duello con Vinazzani
Nel Napoli contro cui gioca Valente quella domenica ci sono solo tre giocatori che potrebbero fare la differenza, gli altri andavano cambiati tutti. Bruscolotti in difesa, Massa a fare da raccordo tra centrocampo ed attacco e Savoldi in avanti sono gli unici di una certa affidabilità anche in visione futura. Un po’ poco per pensare in grande. Savoldi segnava, faceva il suo dovere, ma aveva come spalla Chiarugi (ormai ‘bollito’) o l’incostante Speggiorin, Burgnich era a fine carriera, Orlandini ed Esposito, che erano state le colonne d’Ercole del Napoli di Vinicio, fecero poco più di 20 presenze, La Palma e Vavassori sembravano pagare la fedeltà al “Lione” di Belo Horizonte ed avevano poco feeling col ‘Petisso’ Pesaola. Infine Carmignani sentiva puzza di…Mattolini e sapeva che la sua carriera al Napoli era ormai al capolinea.
Da dove partire per costruire una “nuova” squadra, dunque? Ferlaino pensò ad un ringiovanimento anche dopo la cocente delusione dell’eliminazione in semifinale di Coppa delle Coppe con l’Anderlecht ed iniziò a guardare ai giovani più interessanti del campionato. Bene, due mesi dopo la gara del San Paolo, Pellegrino Valente era già un nuovo giocatore azzurro. E lui, con Pin, Ferrario, Restelli, Stanzione, Mattolini, Capone e Mocellin, rappresentò uno dei cardini del nuovo corso della squadra partenopea.
Valente cominciò a Foggia
Valente crebbe nel Foggia e lì trovò un allenatore che, credendo nei giovani, subito lo mandò nella mischia. Si chiamava Toneatto, lo fece esordire nel grande calcio e per tre anni Pellegrino fu il pilastro della linea difensiva dei satanelli. Bella personalità, spavalderia nell’andare avanti sulla fascia senza aver paura di affrontare l’avversario diretto, bravo nel contrasto e nella progressione. Sapeva sganciarsi con intelligenza rara ed è per questo che il Napoli puntò su di lui. Nel sali e scendi del Foggia tra serie A e B, Valente fu un protagonista assoluto, un predestinato per le grandi piazze.
Quando i pugliesi lo diedero alla Sampdoria la cifra non fu di quelle ‘normali’. Trecento milioni di lire si spendevano volentieri per un portiere o un attaccante ma raramente per un difensore. Invece i blucerchiati, proprio per la sua continuità di rendimento, investirono su di lui. Quando arrivò il Napoli, a sua volta, la Samp non seppe dire di no. Pare che i milioni diventarono 800 e ad una cifra così i liguri non vollero rinunciare.
I tatuaggi erano fantascienza
In una epoca in cui i tatuaggi erano fantascienza e per trovarne qualcuno dovevi andare a Poggioreale dove, su qualche avambraccio, spiccavano “mamma, cuore mio” o “ti voglio bene” rivolto non si sa a chi, il Nostro era un sempliciotto, uno che andava al campo come si svegliava la mattina, sia per gli allenamenti che per le partite ufficiali. Valente aveva i pochi capelli perennemente in disordine, con un ‘riporto’ spaventoso da tempia a tempia, aveva baffoni imponenti e sporgenti, la barba di almeno un paio di giorni ma non gli mancava mai il sorriso sulle figurine. Evidentemente gli stava bene così, del resto, avrà pensato, “io devo correre e lottare in mezzo al campo, mica devo fare il damerino?”.
IL PASSAGGIO AL NAPOLI
Puntualmente, a fine giugno del 1977, arrivò la notizia che era diventato il segreto di Pulcinella. Valente, foggiano purosangue, tre campionati super con la Sampdoria, era un nuovo giocatore del Napoli che cercava un uomo in quel ruolo come il pane, il classico jolly difensivo, con propensione a fare il terzino sinistro di fascia, impiegabile anche a centrocampo. Infatti fu utilizzato spesso da mediano e con l’Inter a San Siro addirittura con il “7”, a fare l’ala destra. Altro piede, altra corsa. Poi improvvisamente subì un infortunio che lo bloccò nel girone d’andata e nel ritorno non lo vedemmo più.
Il buon Pellegrino collezionò solo 9 presenze con un gol e poi ci rimandò all’anno successivo. Tra l’altro il gol, spettacolare, di collo sinistro al volo e da fuori area, lo siglò proprio contro il suo Foggia al San Paolo nell’entusiasmante 5 a 0 del Napoli con la quaterna di “Beppe-gol”. Savoldi come Mertens contro il Torino, corsi e ricorsi storici.
Raramente con la maglia numero tre
Molto meglio andò l’anno dopo, nel 1978-9, Napoli con le maglie della Puma, strisce bianche sulle maniche ad ‘europizzare’ la squadra. Fu l’anno del benservito a Juliano, arrivarono Caporale, Filippi, Majo, Caso, Tesser e Castellini e in avanti si formò la coppia Claudio Pellegrini-Savoldi. All’inizio, nelle prime due partite con Di Marzio allenatore, Valente fu impiegato da classico terzino di fascia, quando poi arrivò Vinicio, il tecnico ridisegnò la difesa mettendo dentro Catellani e Bruscolotti marcatori e lanciando Ferrario a terzino sinistro. Ritroveremo Valente con il numero 10 o il 6, raramente con il 3.
Anche quell’anno Pellegrino mise a segno un gol, anche questa volta contro una squadra che sarebbe finita nel suo destino. Nel 3 a 0 inflitto all’Avellino, con doppietta di Savoldi, Valente segnò alla sua futura destinazione con un sinistro preciso, angolato e potente alle spalle di Piotti.
IL DOPO CALCIO
Oggi Valente si avvicina ai 66 anni e vive nel suo “buen retiro” di Foggia, dove chiuse la carriera addirittura in Serie C1. Dopo il calcio giocato non ne ha più voluto sapere, niente allenatore, niente dirigente, niente procuratore. Niente presunto Eldorado. E’ rientrato in una dimensione più umana, quella degli ex calciatori che dicono basta e che se li richiami al telefono per una intervista sono capaci di schernirsi, sono schivi e riluttanti, dicono che non vogliono più parlare del passato, che non toccano un pallone da quando hanno appeso le scarpette al classico chiodo.
È vero, spesso è stato così, ma è capitato anche che, opportunamente stimolati con una domanda, hanno riaperto un mondo. Perchè il calcio, volente o nolente, è stato il loro mondo, il calcio è il racconto di una vita. E ciò che è stata la tua vita non la puoi chiudere in un presunto mutismo o mettendo una pietra sul passato. Noi, per far parlare Valente, lo avremmo provocato, chiedendogli : “Perché andò via da Napoli dopo un ottimo campionato?”