A dispetto dei numeri e dello storytelling, la Juve non sembra imbattibile e si regge su equilibri non granitici. Ma il Napoli non deve mollare, proprio come fecero i rossoneri.
Ha battuto l’Inter senza tanto scandalo
Oggi parliamo di Juventus. In realtà, non proprio. La Juve ha battuto l’Inter 1-0 in una partita come al solito con l’arbitraggio contestato. Ma una partita che la Juve ha vinto con merito. Considero rigore l’entrata di Mandzukic su Icardi ma uno come Paolo Casarin, decisamente e storicamente al di sopra delle parti, la pensa diversamente. L’Inter di Pioli ha giocato un buon primo tempo, poi però si è quasi dissolta e non ha messo paura ai bianconeri. Che, per esser chiari, prima del missile di Cuadrado avevano colpito due traverse con Pjanic e Dybala che aveva deliziato il pubblico anche con una girata al volo.
Dodici vittorie su dodici, eppure non sembra un rullo compressore
La Juventus ha battuto l’Inter senza poi tanto scandalo. Ha vinto la dodicesima partita su dodici quest’anno allo Juventus Stadium in serie A. Trenta gol fatti, sei subiti. Non male. Deve recuperare la gara di Crotone (mercoledì) e ha sei punti sul Napoli e sette sulla Roma (che domani recupera contro la Fiorentina all’Olimpico dove ne ha vinte dieci su dieci). Eppure la Juventus continua a non sembrare un rullo compressore. E non è solo una questione di gioco. Diciamolo, aggrapparsi al bel gioco sembra un po’ il comportamento della volpe e dell’uva. È sempre un mezzo, non può essere il fine. Il fine dev’essere il continuo miglioramento. Altrimenti di diventa vanesi, poi magari narcisi e finisce male. Sarri lo ha capito e ne abbiamo già parlato.
Il Napoli della Magica
La Juventus di quest’anno ricorda terribilmente il Napoli 1987-88, quello considerato più bello. Ma quello che non strinse nulla a fine stagione, nemmeno la Coppa Italia. Era un Napoli apparentemente solido. Sicuro di sé. Quando accelerava, era devastante. Il Napoli della Magica: Maradona, Giordano, Careca. Con le dovute cautele, e un discreto pelo sullo stomaco, si può pensare a questa Juventus a trazione anteriore: Higuain, Dybala (fortissimo), Mandzukic, Cuadrado, Pjanic. Marchisio in panchina e, di fatto, nulla più. Per dirla alla Jannacci.
La panchina corta juventina
Mandzukic ieri sera ha finito con i crampi. Higuain s’è visto poco (ma quest’anno, in campionato, s’è fatto sempre sentire al momento opportuno). Pjanic pure. A un certo punto è entrato Marchisio e poi Rugani al posto di Dybala. Ha consapevolezza di sé la Juventus. Questo le ha consentito di reggere il primo tempo dell’Inter che Pioli ha ridisegnato con maestria, ne ha fatto una squadra davvero forte. Gli avversari della Juve, però, ancora non sanno che possono farle male. Ivan Drago, per banalizzare, non è stato ancora ferito allo zigomo. Lo spartiacque è lì. Per ora, basta l’ombra.
Il Milan di Sacchi non mollò mai
Ma siamo ancora lontani dal cuore del campionato. Anche quel Napoli sembrava imbattibile. In fin dei conti, in quella stagione soltanto una volta sanguinammo: a Milano, quando Gullit e compagnia ci travolsero sotto la guida del direttore d’orchestra Arrigo Sacchi. Quattro a uno. Il sangue dallo zigomo. Quel Milan, che era una grandissima squadra, ebbe il merito di crederci. Di non mollare mai. Per poi approfittare del suicidio finale: un punto nelle ultime cinque partite, è bene non dimenticarlo.
In panchina, avanti, Pjaca e Mandragora
Questa Juventus non sembra affatto imbattibile. Anzi, sembra reggersi su un equilibrio precario (proprio come noi nel 1988). Ha grande carattere, ovvio (proprio come noi, nel 1988). E una panchina non all’altezza (proprio come noi nel 1988, questo non lo ricorda mai nessuno). In panchina, ieri, avevano come giocatori offensivi Mandragora e Pjaca che in due hanno 127 minuti in Serie A (quelli di Pjaca). Poi c’erano Rincon, Asamoah, Sturaro, Benatia. Dani Alves è entrato. Barzagli è infortunato. Non una rosa trascendentale. E manca ancora tanto alla fine della stagione. Tantissimo.
Roma e Napoli ci credono?
Il punto sono gli inseguitori. Roma e Napoli. Ci credono? Sentono di avere le risorse fisiche e soprattutto mentali per tenere il passo e poi magari recuperare? La differenza con il 1988 è tutta lì. La Juventus in Italia vince da cinque anni. Sembra un paradosso per una squadra da sempre abituata a lottare, ma in Italia è da tempo che non gioca sotto pressione. Quando vedi nello specchietto gli inseguitori uscire di pista, le energie tornano, ti rilassi. Se senti il fiato, è un’altra storia. Ti innervosisci, guardi la panchina non proprio lunga, senti il peso delle tre competizioni. Ma dipende dagli altri.
L’obiettivo devi averlo nella testa
Questa è la Juventus meno scintillante, a dispetto del presunto calciomercato da vetrina. Quando ha dato spettacolo, lo ha pagato. Però ha sempre resistito. Anche con partite bellissime, come a Siviglia. Perché, al momento, la Juventus è nettamente più forte di tutti nella testa. In Italia. Ed è lì, nella testa, che il Napoli dovrà dimostrare di essere cresciuto, di volersi misurare. È bello segnare sette gol al Bologna, ovvio. Due triplette. Un gioco da urlo. Ma non può bastare. L’aspetto più interessante di Bologna è stata la rabbia post-Palermo. Segno che Sarri si è fatto sentire. Che, al di là delle dichiarazioni di rito, regalare la partita o il campionato agli avversari non gli piace. La partita l’avversario deve vincerla. Deve sudarsela.
Questo deve fare il Napoli. Deve far sudare il campionato alla Juventus. Deve allungarlo. Perché dall’altra parte, stavolta, non sembrano così granitici. E perché noi abbiamo più varianti di loro. Poi, ovviamente, si può perdere. Per noi, vincere non è l’unica cosa che conta. Provarci, però, sì. Perché non provarci quest’anno sarebbe un delitto.