Il presidente del Napoli ragione come se fosse in un videogame, come se il mercato determinasse tutto. Ma c’è anche il campo, che è decisivo.
Esperienza
Sono un giocatore di Football Manager. Anzi, lasciatemelo dire. Un grande giocatore di Football Manager. Da piccolo adoravo i manageriali, da grande sono diventato un addicted, come si dice oggi. Ho un solo gioco nella mia bacheca, sempre originale. 50 euro l’anno e sto a posto fino all’anno successivo. L’ultima mia impresa, sempre senza barare in alcun modo, è stata la Champions League vinta al terzo anno con il Rangers Glasgow. Era Football Manager 2016. Quest’anno ho scelto una sfida ancora più difficile: sono alla terza stagione con il Puskas Akademia, club ungherese di prima divisione. Ho già vinto un campionato e una coppa nazionale. L’idea è di provare a diventare una realtà europea. Ci potrebbero volere dieci-quindici anni di gioco.
Ho fatto tutta questa premessa per far capire che ne capisco, e scusatemi la ripetizione. Capisco il gioco, ne conosco a memoria le dinamiche. Non voglio dire che per me, oggi, è facile vincere. Però, di sicuro, gli obiettivi più a portata di mano – vincere un campionato ungherese, ad esempio – non sono troppo complicati.
La sensazione di deja-vù che mi accompagna da mercoledì sera, dalla “sfuriata” di De Laurentiis in eurovisione, riguarda Football Manager. La dinamica descritta dal presidente, in una serie di uscite che non ho condiviso (l’ho scritto molte volte), è esattamente quella di Football Manager.
Come funziona
Quando giochi a FM, la cosa più divertente è il mercato. Perché il database del gioco è talmente profondo, e aggiornato, che in pratica non esistono limiti. Eppoi, ci sono i regens. Ovvero, calciatori “inventati” dal gioco che si creano (rigenerano, da qui il nome) ogni anno in tutte le squadre. Nuovi prodotti giovanili, che stagione dopo stagione arricchiscono in maniera casuale, ma verosimile, il database. Un buon costaricano, dieci ottimi tedeschi, venti brasiliani eccezionali. Il ricambio è coerente con i valori storici, è continuo eppure vario. Per dire: in Ungheria, oggi, ho un portiere sudafricano, un terzino senegalese, uno uruguaiano e il miglior giovane trequartista magiaro.
Ecco, io a Football Manager gioco come De Laurentiis. Vado a prendere il diciottenne della situazione, il miglior giovane trequartista magiaro ad esempio. Lo metto in campo, lo faccio giocare così migliorano le sue caratteristiche e poi decido cosa fare. Lo tengo, oppure lo vendo per una grossa plusvalenza. Quest’anno, la forza economica del mio club mi costringe spesso a cedere i miei giovani più forti. Altrimenti, non cresco. Proprio come nella realtà. Una simulazione perfetta, o quasi. Realistica, ecco. Perché, alla fine, aumentando il valore della rosa la squadra vince. Al terzo anno, con questa politica di trasferimenti (che poi è quella del Borussia Dortmund nella realtà, e da un po’ di anni a questa parte), il mio vantaggio sulle concorrenti interne è quasi imbarazzante.
La legge del (solo) mercato
Ecco, De Laurentiis è vittima di questa idea. L’idea secondo cui la squadra aumenta la sua forza in campo solo attraverso l’upgrade del mercato. È vero fin quando si parla del valore economico. Un club che basa il suo bilancio sul player trading, come il Napoli, non può che agire così. Ecco perché, in un certo senso, comprendo il pezzo di Vincenzo Imperatore e le parole dell’amico di Massimiliano Gallo, che hanno portato a quest’articolo qui. Se il calcio fosse Football Manager, i giocatori acquistati si verificano in campo, si vede se sono forti e poi si decide cosa fare. Nella maggior parte dei casi, si vendono per crescere. Non c’è niente di sbagliato. Se non fosse che questo non è Football Manager. E che, a un certo punto, entra in gioco la tattica. Il campo, il lavoro, l’allenamento. Roba degli uomini. Il cortocircuito che De Laurentiis non ha capito.
I pallini
Quando acquisti un nuovo calciatore, Football Manager lo fa comparire nella schermata dell’organico e in quella dell’allenamento. Nella seconda, ti spiega cosa può e non può, sa e non sa fare. Tu puoi impostare un allenamento che confermi e consolidi queste caratteristiche, oppure crearne un altro per trasformare (ad esempio) un esterno basso in un fluidificante da difesa a cinque. Oppure, aumentare il valore del driblling rispetto a quello del colpo di testa. È possibile, ma schematico. Numerico.
Esattamente come la posizione in campo. Che è pre-determinata, nel senso che il calciatore si inserirà, si potrà inserire, in un certo punto del campo e basta. Tre posizioni possibili (pallini, perché la figura di riferimento è una sfera) per i centrali difensivi, due per gli esterni offensivi e così via. È possibile modificare i compiti da assegnare in base alla tattica, ma un posizionamento davvero libero non è possibile.
Il campo vero
Ecco, De Laurentiis ragiona come se nel calcio vero si giocasse così. Come se bastasse prendere un calciatore, metterlo in campo a fare quello che sa fare (Pavoletti il centravanti, Maksimovic il centrale e così via) perché si integri perfettamente nella squadra.
Non è così, si rassegni. Nella vita vera, nel calcio reale, funziona in un altro modo. L’inserimento di un calciatore è un lavoro complesso, difficile, soprattutto in presenza di sistemi strutturati come quello di Sarri. Soprattutto quando si raggiunge un certo equilibrio, che i risultati in campo sono buoni e quindi è un po’ stupido modificarlo.
Partendo da questo discorso, arrivo addirittura a comprendere la posizione di De Laurentiis. Cioè: 25 milioni per un centrale difensivo (Maksimovic) e questo non può giocare in una linea a quattro? Non ha tutti i torti, fino a quando però il Napoli funziona. E sta funzionando. Perché prima abbiamo parlato di cortocircuito, e De Laurentiis non ha compreso proprio questo passaggio: per aumentare il valore di una squadra, la sua forza, quindi anche il prezzo dei calciatori, serve che la stessa squadra vinca le partite. Per vincerle, si deve raggiungere un equilibrio. Che è un po’ più difficile da trovare rispetto a quando giochi a Football Manager. O al fantacalcio, che però è ancora meno determinato dal giocatore.
Realtà e realismo
Ecco, è questo il punto. La gestione manageriale del Napoli è perfetta per il tipo di società che è il Napoli. Solo che poi c’è il campo. E il campo dice che Sarri ha ragione, anche – se non soprattutto – quando un Napoli perde 3-1 a casa di un Real Madrid. L’inserimento di Pavoletti centravanti si sarebbe potuto sperimentare prima? Certo. Il Napoli avrebbe sacrificato qualche punto su quest’altare del cambiamento tattico? Probabile. A De Laurentiis «non importa perdere punti in campionato» pur di valorizzare i calciatori? Ecco, l’errore è qui. Se il Napoli perde, non valorizzi comunque. E non valorizzi nessuno, non solo alcuni.
Che poi, in ultimo, c’è da aggiungere: da un paio di anni a questa parte, Football Manager ha creato un algoritmo che rivela l’adattamento di un calciatore al modulo tattico della squadra. Cioè, una quantificazione dell’inserimento di un calciatore all’interno degli schemi. Si è avvicinato alla realtà, anche il gioco. A questo punto, dovrebbe farlo – con tutta la riconoscenza del caso – anche il presidente del Napoli. Ne guadagnerebbe.