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Mario Bologna: «De Laurentiis ha ragione sull’informazione. Che prima mitizzò e poi travolse Bassolino»

L’ex spin doctor: «Bassolino eroe era funzionale a una narrazione. Così come la sua caduta. Non un intellettuale napoletano ha riconosciuto i suoi meriti. Adl ha una comunicazione vecchia e grezza, deve portarla al livello del Napoli».

Mario Bologna: «De Laurentiis ha ragione sull’informazione. Che prima mitizzò e poi travolse Bassolino»
Mario Bologna è il primo da sinistra nella foto dell'incontro tra Bassolino e Clinton

L’uomo comunicazione di Bassolino

Aurelio De Laurentiis come Antonio Bassolino. Il paragone può sembrare ardito. E per certi versi lo è. Ovviamente dipende da chi lo architetta. E se a fare questo accostamento provocatorio – prestandosi al gioco del Napolista – è l’uomo che per quattordici anni ha curato la comunicazione, le strategie comunicative di Bassolino, allora vale la pena soffermarsi sul ragionamento.

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Il Napolista – pur avendo la convinzione che si sia trattata esclusivamente di una uscita populistica per riconquistare il consenso dei tifosi – ha preso sul serio l’ultima esternazione del presidente del Napoli e ha cominciato una serie di interviste sul rapporto tra Napoli e l’informazione, e la narrazione che viene fatta della città. La stampa del Nord davvero ci odia? Quanto c’è di vero nelle parole di De Laurentiis? Dopo Claudio Velardi e Sandro Ruotolo, abbiamo sentito Mario Bologna l’uomo che ha contribuito – ormai quasi venticinque anni fa – a sovvertire l’immagine mediatica di Napoli. Che mai, come nell’era Bassolino, è riuscita a “bucare” video e giornali. Invertendo, appunto, la narrazione della città.

Eppure oggi, dieci anni dopo la fine di quel periodo storico-politico, proprio Mario Bologna ci fornisce una chiave interpretativa diversa di quegli anni, soffermandosi – e non sarebbe possibile fare altrimenti – anche sulla fine, sulla caduta mediatica del sistema Bassolino.

L’uomo solo al comando

Bologna, che oggi da pensionato (non è un brutto termine) continua a seguire con la stessa passione i fenomeni comunicativi non solo politici, parte proprio dalla narrazione. «Termine che è stato introdotto nella politica italiana da Renzi. Allora, nei primi anni Novanta, nella narrazione mediatica di Napoli – esordisce – era bello ed efficace trovare in Bassolino l’uomo che redimeva un’intera società napoletana. Era una immagine funzionale al racconto che in fin dei conti il sistema mediatico nazionale, del Nord, ci ha imposto. Questo uomo solo al comando, questo Davide che risollevava le sorti di una città in ginocchio dopo Tangentopoli. Era uno schema narrativo che piaceva tanto ai giornali. Era il meccanismo che alimentava quest’immagine. Noi non c’entravamo nulla.

Dirò di più. Per chi ricorda quegli anni, spesso ci ritrovavamo esaltate dalla stampa nazionale iniziative che a noi sembravano poca cosa. Chessò, i nonni civici che in fondo facevano attraversare la strada ai ragazzi all’uscita di scuola. Schema narrativo, si badi bene, che poi si ritorse contro Bassolino. Perché, ovviamente, la realtà non è bella. È l’eroe diventò rapidamente l’unico colpevole di tutti i mali del territorio».

De Laurentiis

Il capitalismo di relazione

Ma torniamo a De Laurentiis, alla sua uscita di martedì sera dopo la partita persa al San Paolo contro il Real Madrid. «Non mi sfugge, ovviamente, l’aspetto populistico della sue dichiarazioni. Però non dobbiamo semplificare. L’aspetto che più mi intriga è questo. De Laurentiis lo capisco, anche sul terreno umano. Ha messo su un’impresa come il Napoli, presa dai bassifondi, e lo ha fatto in un contesto sociale ed economico innegabilmente arretrato. L’ha portata ad essere un modello nazionale. E ora, dopo la sfida col Real Madrid, anche internazionale. Perché i media stranieri hanno posato gli occhi sul Napoli e questo equivale a un salto in termini comunicativi, di immagine.

Allo stesso tempo però, non può sfuggirci che abbiamo un sistema mediatico che ha una sua storia. Non è un discorso da vittimisti, fotografo la realtà. Anche se siamo in piena globalizzazione, non è neutro un sistema mediatico innervato in determinate realtà. Si innestano una serie di relazioni sociali, economiche e quindi giocoforza sono tenuti di più a rappresentare questi territori. Il capitalismo di relazione non l’ho certo inventato io. E De Laurentiis è estraneo a questo sistema. Non ha la forza per fronteggiarlo. Sa bene, come accaduto a noi, che appena sbaglia sarà bastonato in modo impietoso. E si rifugia nel vittimismo».

De Laurentiis per ora è fermo alla fase tattica

Per Bologna, la performance di De Lautentiis martedì sera a Mediaset è stata tutt’altro che banale. «I messaggi li ha lanciati. Quella sera è stato bravo. Si è posto come uomo di cinema, che racconta l’Italia da quarant’anni, non solo come presidente del Napoli. Allo stesso tempo si è posto come rappresentante del territorio, ha esaltato le qualità di Napoli. Ma, per ora, è ancora nella fase della tattica. Deve strutturarsi. Deve dimostrare di possedere uno status culturale e un’organizzazione all’altezza del modello Napoli che vuole trasmettere. E al momento bisogna dire che è ancora molto carente».

«È vecchio sul sistema della comunicazione»

Bologna considera De Laurentiis vecchio sul sistema della comunicazione. «Vecchissimo. Non usa Instagram, usa male Twitter. Se ti vuoi porre come il rappresentante della Napoli nuova e diversa, devi stare attento e ti devi organizzare. Devi avere un’idea comunicativa e una struttura. Altrimenti è inutile. Però la realtà mediatica va fotografata. Basta vedere come stanno incensando l’Atalanta. Il Napoli non viene mai dipinto come un caso imprenditoriale, un modello positivo da seguire.

Mi aspetterei però da De Laurentiis una serie iniziative sul territorio che fossero coerenti con l’immagine che lui vuole offrire del Napoli. Chessò l’altro giorno ho visto che i calciatori dell’Udinese si sono scambiati i ruoli con gli operai di una fabbrica. Il Napoli si limita a inviare qualche giocatore a mangiare una pizza o a firmare autografi in un supermercato. Napoli è uno strumento di comunicazione potente, ma bisogna anche saperlo maneggiare. Invece De Laurentiis mi sembra grezzo. Talvolta è persino urticante, sgradevole. Ha colto un punto importante a Mediaset, ora però deve crescere e dimostrare di essere all’altezza della sua intuizione e di saper combattere questa battaglia. Senza mai dimenticare che il Napoli è un’impresa territoriale, rappresenta un territorio».

Gli intellettuali sono subalterni al sistema mediatico

Facciamo notare al nostro interlocutore che anche a Napoli, forse soprattutto a Napoli, De Laurentiis è profondamente osteggiato. Il “miracolo” imprenditoriale, anzi, è compreso più dalla stampa del Nord che da quella napoletana che ovviamente risente dell’influenza del papponismo corrente filosofica ben radicata anche tra i cosiddetti intellettuali. «I giornali del Nord hanno una visione imprenditoriale e capiscono che cos’è l’impresa e il suo valore. Da noi l’imprenditore è uno che si arricchisce, e in questo ha ragione Velardi. Ma De Laurentiis ha ben chiaro che lui è indifeso rispetto a questo sistema mediatico e che al primo errore sarà bastonato. Come peraltro già avviene.

Quanto agli intellettuali, dovrebbero avere gli strumenti di approfondimento e di conoscenza per non essere subalterni né al giornalismo, al sistema mediatico, né a fenomeni popolari. Ma così non fu nemmeno con Bassolino. Anche qui concordo con Velardi quando parla di intellettuali crociani che non sanno che cos’è Internet. Nessun intellettuale ha riconosciuto il lavoro compiuto da Bassolino a Napoli».

Il primo Bassolino

L’analisi di Bologna differisce, e non potrebbe essere altrimenti, da quella di Velardi che ha parlato di culo di Bassolino nello sfruttare il G7, che gli consentì di offrire un’immagine mediatica vincente.

«La realtà, come al solito, è più complessa. Bassolino partì dal recupero dell’identità, puntò a ridare a Napoli coscienza di sé. È il primo punto. Del resto i localismi sono degenerazioni delle identità. L’identità è fondamentale, è quel che siamo. Il Maggio dei Monumenti andava in quella direzione, nel recupero del rapporto con la propria città. Era una strategia, altro che culo. C’è un bel libro del professor Cacciari, “L’arcipelago” in cui, a proposito dell’Europa, si teorizza questo, la comunione di identità diverse ciascuna consapevole di sé e della diversità rispetto agli altri. Cosa ben diversa dal multiculturalismo».

Il recupero dell’identità e le infrastrutture

Identità. Che però veniva declinata in maniera non oleografica. «Questo fu il passaggio più importante, strutturato. Sono consapevole che c’è del provincialismo in quel che dico, ma è innegabile che in quegli anni Napoli ha ospitato i più celebri artisti internazionali. Penso a Damien Hirst, Rebecca Horn, Jeff Koons, Richard Serra, Kounellis che ora è morto, Kapoor. Ma non solo. Anche a livello di strutture museali, tantissimo è stato fatto all’epoca di Bassolino. E non mi riferisco solo al Madre. Il museo del monastero di santa Chiara fu realizzato con i fondi europei fatti arrivare all’epoca. E potrei fare mille altri esempi.

Quel che mi preme qui ricordare è che c’era una strategia politica, una strategia d’assieme. Se non hai nulla da comunicare, non puoi comunicare nulla. Ricordo un editoriale di Giavazzi sul Corriere della Sera a proposito delle privatizzazione dell’aeroporto di Capodichino. Scrisse che Bassolino stava tracciando la linea di come i comuni si devono liberare delle centrali del latte, degli aeroporti, perché non è il loro mestiere. Insomma, dopo il recupero dell’identità, si puntò a creare un sistema infrastrutturale di trasporti, e quindi aeroporto e metropolitana, e un sistema moderno di smaltimento rifiuti. Sono questi i passaggi che devi compiere se vuoi rendere una città internazionale. Ora domando: c’è un intellettuale napoletano, uno, che ha riconosciuto questo? O che abbia detto che dopo Bassolino opere del genere non sono state realizzate o nemmeno accennate? Rispondo io: no».

L’inversione della narrazione mediatica di Bassolino

Però, obiettiamo, fino a un certo punto la narrazione mediatica della Napoli di Bassolino superava persino la realtà. Poi il trend si è invertito. «Perché poi non siamo stati più funzionali a quello schemino. Anzi, ci si è ritorto contro. Pur con gli errori commessi, eh. Chi non li commette. Uno dei primi momenti di rottura fu la voragine di Secondigliano. Una tragedia avvenuta per tubature della Cassa del Mezzogiorno, non del Comune di Napoli. Eppure quello, mediaticamente, divenne il primo inciampo di Bassolino. Tutto quel che avveniva a Napoli, ma non solo, era responsabilità di Bassolino. Anche l’ordine pubblico. Tutto. Ovviamente, e sto dicendo una banalità, la camorra esisteva anche con Bassolino. Ma quando cambia la narrazione, cambia tutto.

Abbiamo letto di tutto in questi anni. Le copertine dell’Espresso in base a cui Napoli era preda della più grande organizzazione criminale del mondo. E poi oggi parliamo di paranze di bambini. Scampia presentata come la piazza di spaccio più grande del mondo. Del mondo! Scampia! Escobar era un dilettante quindi. Ma anche piazze come Londra. Tutto senza il minimo dato scientifico. Poi, anni dopo, lo stesso Saviano ha scritto “Zero zero zero” in cui ha dimostrato che le grandi organizzazioni criminali erano quelle internazionali legate ai cartelli della droga. Si doveva alimentare l’altro canovaccio, quello del declino dell’ex eroe che era finito prigioniero nelle maglie del potere che lui stesso aveva tessuto. Perciò dico che il sistema mediatico è importante. Non è una sciocchezza».

«La favoletta sui rifiuti»

E arriviamo al clou del declino bassoliniano. I rifiuti. «È mai possibile – dice Bologna – che è passata la favoletta che è arrivato l’ennesimo Masaniello, de Magistris, e ha tolto la monnezza a Napoli? La verità è che in quegli anni è stata realizzata l’unica grande infrastruttura che è il termovalorizzatore di Acerra. In quegli anni di aspre battaglie per provare a realizzare il termovalorizzatore, dov’erano quegli intellettuali e quella stampa del Nord che successivamente ha condannato Bassolino? Tutti hanno un termovalorizzatore. Oggi Napoli parte della sua immondizia la spedisce a smaltire a Palma de Mallorca dove c’è un termovalorizzatore. E non voglio assolvere Bassolino.

Lo so che si dirà di me con una felice espressione napoletana “acquaiolo l’acqua è fresca” ma io sostengo che Bassolino è stato il protagonista, insieme a tante forze e professionisti e uomini di cultura, e con tutti i limiti e gli errori del caso, di una strategia riformista sul terreno infrastrutturale, delle politiche sociali (reddito di cittadinanza, nidi di mamme, plessi scolastici) e della cultura. Un riformista non riconosciuto dagli stessi riformisti, per conflitti del passato e, lasciato solo, ha subito in silenzio il processo. Nessuno ha fatto uno straccio di analisi di quella vicenda, e nessuno è andato a leggere le motivazioni di quella sentenza che lo ha assolto e in cui sono indicati i veri responsabili del disastro.

Ormai la narrazione si era invertita. I tempi in cui il Times scriveva che Blair poteva essere il Bassolino inglese, sì proprio così, erano lontani. O, ancora, i tempi in cui Montezemolo, da rappresentante della Confindustria emiliana, arrivò a Napoli per un incontro col Wall Street Journal sotto il braccio e in prima pagina un colonnino era dedicato a Bassolino. Ora l’eroe doveva cadere».

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