Lazio-Napoli, l’analisi tattica: la squadra di Sarri mantiene la sua configurazione attiva, non specula e batte una Lazio reattiva, ma non abbastanza.
Numeri che mentono (fino a un certo punto)
La sensazione, dopo aver visto Lazio-Napoli, è quella di una squadra forte, bella e pure matura. Parliamo ovviamente di quella di Sarri, in grado di imporre il suo gioco all’Olimpico e di venir via con tre gol e tre punti dopo una partita gestita dall’inizio alla fine. Eppure, questa sensazione non è proporzionata ai numeri. O meglio: i 17 tiri concessi alla Lazio di Inzaghi, tantissimi, direbbero qualcosa di diverso. Di meno netto. Sono circa 7 in più rispetto alla media del Napoli.
Queste cifre, allo stesso tempo, dicono però la verità. Basta scendere nel dettaglio, e leggere le stats dedicate, per accorgersi che il Napoli ha sofferto esclusivamente nel periodo di gioco successivo al gol del raddoppio. Delle 17 conclusioni verso la porta, 4 sono state ribattute e 8 sono fuori lo specchio della porta. Delle 5 rimaste, 3 sono arrivate tra il 69esimo e il 71esimo minuto. Come dire: pochi tiri semplici concessi, e quasi tutti in un momento fisiologico di sbandamento, dopo lo 0-2 e i (tre) cambi di Inzaghi. Per il resto, la conferma delle percezioni: controllo del pallone, gestione tecnica ed emotiva del gioco e capacità di fare male all’avversario: 12 tiri verso la porta laziale, 7 nello specchio. Sotto, la mappa dei tiri di entrambe le squadre.
A sinistra la Lazio, a destra il Napoli. Legenda colori: in rosso i tiri nello specchio parati o respinti, in giallo le conclusioni ribattute. In arancione i tiri fuori, in nero i gol.
Calcio proattivo Vs Calcio reattivo
È una caratteristica del Napoli: esasperare la configurazione reattiva di avversari già geneticamente predisposti a un calcio d’attesa. L’abbiamo visto contro la Juventus, l’abbiamo visto ancora di più ieri sera. Fin dai primi secondi, l’atteggiamento della Lazio è stato chiaro: linee basse, spazi chiusi e velleità offensive legate esclusivamente a una costruzione diretta, palla lunga a cercare la profondità di Immobile o Anderson e supporto immediato dei due esterni, più Lukaku sulla sinistra che Basta sulla destra.
Tre minuti di gioco, e il Napoli ha già preso in mano il centrocampo. Hamsik in posizione di play bassim tutta la Lazio – meno Immobile – è sotto la linea del pallone.
La differente propensione allo sganciamento offensivo dei due esterni ha portato i biancocelesti a uno schieramento ibrido, asimmetrico: Basta rimaneva bassissimo sulla destra, a proteggere il lato forte della manovra del Napoli. Lukaku, invece, saliva fin sulla linea dei centrocampisti, creando spesso i presupposti per sviluppare l’azione dal suo lato. Alla fine, la percentuale di gioco costruito dalla Lazio dal lato del belga sarà del 44%. Sotto, il campetto posizionale medio della Lazio.
Più che un 3-5-2, un 4-4-2 asimmetrico.
Dall’altra parte, il Napoli ha risposto a modo suo, senza modificare troppo il proprio spartito. Solito baricentro alto (53 metri), passaggi corti (855 contro 470) e sviluppo classico della manovra, con la continua creazione di triangoli di gioco sulle fasce con gioco di sovrapposizione dei terzini sugli esterni offensivi che stringevano al centro per creare superiorità numerica. Il tutto, gestito sul solito asse Jorginho-Insigne. L’italobrasiliano ha giocato 174 palloni, una quota record, con una percentuale di accuratezza del 93%. Insigne è arrivato a toccare la palla per 124 volte, con una percentuale di precisione superiore al 91,5%. Una cifra mostruosa per un attaccante. Tra l’altro, autore anche di una doppietta.
La squadra di Sarri, con il suo atteggiamento e la forza dei suoi migliori calciatori, ha dato una perfetta dimostrazione di calcio esclusivamente proattivo. È bene chiarire questo concetto, soprattutto al termine di una settimana in cui il dibattito sul “bel gioco” ha raggiunto livelli forse mai toccati nel nostro Paese. In questo caso, la definizione di calcio proattivo identifica una squadra che cerca sempre l’autodeterminazione del risultato attraverso l’applicazione dei propri principi di gioco. Non necessariamente questo equivale a “giocare bene” o a “essere belli”. Nel caso del Napoli, la tecnica individuale dei calciatori e una serie di schemi/movimenti mandati a memoria permettono di raggiungere anche dei veri e propri picchi di spettacolo.
D’altra parte, però, c’è il lato oscuro di questa impostazione. Quando – per motivazioni fisiche, tecniche o legate alle contingenze – questo tipo di autodeterminazione non riesce, la squadra proattiva fatica a trovare delle contromisure. Che, invece, rappresentano la risorsa numero uno per chi imposta una squadra reattiva, ovvero che gioca sull’avversario.
Lazio a terra
La Lazio, per sua conformazione, aspetta e riparte. È una squadra reattiva. Che, però, ieri sera non è riuscita a essere compiutamente reattiva in relazione a certe situazioni di gioco. Entrambi i gol nascono da un’intuizione improvvisa a squadre schierate. Lo scompenso sull’azione che porterà Callejon a segnare arriva grazie a un’imbucata di Jorginho per Hamsik; sulla seconda rete, il tocco di Allan a liberare Insigne premia un inserimento del 24 alle spalle della difesa di Inzaghi.
Immobile e Felipe Anderson (rettangolo a destra) alzano troppo il pressing. Murgia e Parolo (rettangolo a sinistra) non accompagnano e lasciano il primo spazio di mezzo libero. Jorginho ha tutto il tempo di controllare e cercare Hamsik tra le linee. Lo slovacco si inserisce nel secondo halfspace. Da notare come Jorginho abbia sei linee di passaggio libere possibili.
I centrali si fanno risucchiare dall’inserimento di Hamsik. Basta è pigro e non segue Insigne. Una palla lenta e “letta” come quella di Allan diventa letale.
In entrambi i casi, una distrazione che ha compromesso un intero dispositivo difensivo. È il dark side di questo tipo di impostazione: se un calciatore o un reparto perdono contatto con la realtà del gioco, il sistema non riesce a sopperire alla mancanza del singolo. Alla Lazio, ieri sera, mancavano soprattutto la lucidità mentale e la capacità fisica di reggere agli attacchi avversari. Probabilmente, l’impegno e il risultato positivo contro la Roma hanno distratto gli uomini di Inzaghi. Contro calciatori come quelli del Napoli, poi, certe disattenzioni diventano fatali. Ancora più fatali, anche se la lingua italiana non accetterebbe proprio di buon grado questo tipo di locuzione.
I cambi di Inzaghi
Il pelo nell’uovo di una partita giocata mostrando un totale controllo del sé e del contesto – da parte del Napoli, ovviamente – è stata la ricezione delle mosse di Simone Inzaghi. Che, a cavallo del gol di Insigne, aveva già ridisegnato la squadra attraverso uno schema meno conservativo. Dal 3-5-2 asimmetrico, con Basta troppo schiacciato, il tecnico della Lazio è passato a un 3-4-3 puro, con Immobile assistito da Felipe Anderson e Keita e due esterni di propulsione veri come Patric e Lukaku.
A questo punto, il Napoli ha subito l’iniziativa dei biancocelesti grazie soprattutto al numero maggiore di calciatori inviati a supporto dell’azione. Il secondo centrocampista accanto a Parolo, Milinkovic-Savic, è diventato un attaccante aggiunto. A quel punto, lo schema vero e proprio interpretato dai padroni di casa era un 3-3-4, con Lukaku e Patric ad agire come esterni o come intermedi di centrocampo e il trequartista serbo sempre più accanto ad Immobile.
In questa occasione, la Lazio riempie l’area aggiungendo anche Parolo a Immobile, Milinkovic-Savic e Keita. Felipe Anderson, in posizione di mezzala, ha scambiato con Patric e va al cross. Lukaku agisce come attaccante esterno sul lato debole.
Una volta prese le misure e organizzate le ripartenze palla al piede, grazie soprattutto agli innesti di Zielinski e Rog, il Napoli ha ricominciato a ricucire il gioco in modo da limitare le sofferenze. A quel punto, la mobilità del nuovo tridente della Lazio è diventata addirittura deleteria per Inzaghi. Sotto, infatti, vediamo la heatmap di Immobile, Felipe Anderson e Keita tra il 65esimo e il 90esimo. Non offrono riferimenti fissi in area. Neanche Immobile, che di mestiere farebbe il centravanti.
Merito del Napoli, ma anche un tentativo di rimettere insieme i cocci della partita, da parte di Simone Inzaghi, più di cuore che di tattica. A volte, però, il primo non può bastare senza la seconda. Può succedere anche il contrario, certo. Ieri non è andata così.