SCOUTING NAPOLISTA – Una selezione di talenti di un campionato fertile:dal portiere Jackers al centravanti Dimata al triangolo degli anarchici.
La crescita della Pro League
Il guanto di sfida lanciato dall’Anderlecht al collaudato Bruges del plurititolato Michel Preud’homme (nominato tre volte miglior allenatore dell’anno, ad una sola lunghezza dal recordman Hugo Broos – salito a febbraio sul trono d’Africa con il suo Camerun – in questa speciale classifica di merito) sarà uno dei temi più suggestivi dei play-off cominciati venerdì scorso, che si protrarranno sino al 21 maggio e sanciranno i verdetti più attesi a margine della Pro League, un campionato che nell’annata in corso ha corroborato con solidi argomenti una crescita esponenziale.
Non era mai successo che tre compagini belghe raggiungessero contemporaneamente gli ottavi di finale in una singola manifestazione internazionale, un exploit sintomo di un movimento in salute e che ha garantito un’inattesa scalata sino alla nona piazza del ranking europeo.
Anderlecht
Penalizzati da un sorteggio che li opporrà nei quarti alla multimilionaria corazzata del Manchester United, i biancomalva dell’Anderlecht dovranno gestire le risorse nel tentativo di riconquistare quantomeno un alloro in patria che manca dal 2014, rinvigoriti dalle spregiudicate metodologie introdotte dalla guida tecnica di René Weiler bravo a raccogliere la contradditoria eredità di Besnik Hasi e rivitalizzare un ambiente che sembrava aver smarrito le proprie ambizioni nel recente passato.
L’ottima campagna acquisti, che ha rivoluzionato la batteria di trequartisti con l’arrivo dei rumeni Nicolae Stanciu e Alexandru Chipciu ed il geniale franco-algerino Sofiane Hanni, introducendo innanzi ad essi l’indispensabile centravanti di manovra polacco Lukasz Teodorczyk (strappato alla Dynamo Kyiv), ha permesso all’ex stopper ritiratosi dall’attività agonistica nel 2001 di sviluppare una proposta di calcio frizzante ma atleticamente dispendiosa, alla stregua delle esperienze con Aarau e Norimberga, formazioni che riscossero unanimi consensi dalla critica prima di esaurire le scorte di benzina in serbatoio sul più bello.
Valorizzare i giovani, tutti
Ad ogni modo, lo spettacolo ammirato spesso e volentieri al Constant Vanden Stock ha appagato il senso estetico degli spettatori più esigenti, così come quello fornito dalle sorprese Zulte Waregem e Oostende, mentre l’esaltante cavalcata in Europa League del Genk è stata in parte offuscata dai balbettii in campionato che hanno provocato l’avvicendamento in panchina tra Peter Maes e Albert Stuivenberg assistente di Louis van Gaal sino a maggio 2016. Apprezzabile comunque la politica perseguita nell’ultimo decennio dai fiamminghi i quali, tra i frutti più succulenti di un eccellente vivaio e le idee di un team di collaboratori dalla vivida competenza, si confermano essere uno dei serbatoi più floridi e sottovalutati del Vecchio Continente.
Non è un aspetto trascurabile l’intelligenza di sopperire ciclicamente alle partenze eccellenti, con un monitoraggio capillare sia del territorio limitrofo che sui mercati meno battuti del globo; si spiega anche così la capacità di rappresentare un trampolino di lancio speciale per nomi del calibro di Courtois, De Bruyne, Benteke, Koulibaly, Milinkovic-Savic ed i più recenti Wilfred Ndidi e Leon Bailey (accasatisi rispettivamente a Leicester e Leverkusen nella finestra invernale), per tacer di Praet, Ferreira Carrasco ed Origi, i quali bazzicarono le medesime strutture giovanili prima di emergere altrove.
Nell’attesa che qualcuno si accorga in tempo di ghiotte occasioni a basso costo come il difensore ceco Jakub Brabec o il fine dicitore iberico Alejandro Pozuelo, confidando inoltre nella futura maturazione di Timothy Castagne, Ruslan Malinovsky e lo schermo protettivo in mediana Sander Berge (1998, snidato dalla Norvegia), vi proponiamo una Top 11 dei giovani talenti che si sono distinti nella stagione regolare (modulo 4-3-3):
Portiere: Nordin Jackers (Genk) – 1997
Se c’è una peculiarità che di certo non manca all’ancora acerbo guardiano dei pali originario di Veldwezelt, strappato nel 2014 dal giardino del Sint-Truiden, è la personalità: la calma olimpica con cui ha reagito al battesimo di fuoco in prima squadra dello scorso 9 dicembre, debuttando nell’ultimo impegno di Europa League al Mapei Stadium, gli ha permesso di contribuire alla vittoria che ha sancito il sorpasso sull’Athletic Bilbao nel Gruppo F (2-0 ai danni del Sassuolo). Di lì a poco, la distorsione alla caviglia rimediata dall’olandese Marco Bizot per effettuare un banale rinvio durante la ventitreesima giornata di campionato (24 gennaio, 3-0 sul Kortrijk) lo ha costretto a subentrare nel corso della prima frazione, palesando un buon colpo d’occhio nei riflessi e l’attitudine a temporeggiare con saggezza prima di andare giù negli interventi ravvicinati.
La società nel frattempo è corsa ai ripari, richiamando in prestito il più esperto Mathew Ryan per non rischiare di bruciare anzitempo le tappe, in modo che Nordin possa limare i propri difetti (posizionamento, in primis quando c’è da predisporre la barriera su situazioni di palla inattiva, e presa poco salda) sotto l’egida di Guy Martens il preparatore che ha curato lo sviluppo di Bailly, Bolat, Casteels e Courtois.
Terzino destro: Thomas Foket (KAA Gent) – 1994
Al netto di qualche comprensibile patema nelle diagonali, prosegue a ritmo sostenuto la marcia verso la progressiva metamorfosi di questa ex-ala guizzante dalla smaccata vocazione offensiva e dall’inesauribile propulsione in terzino di spinta a tutto tondo grazie alla mirabile intuizione di Hein Vanhaezebrouck, pittoresco personaggio misconosciuto alle nostre latitudini eppure specialista in miracoli nel natio contesto fiammingo. La costanza nell’arrivare sulla linea di fondo e pennellare traversoni discretamente calibrati non è ancora sufficiente a mascherarne in toto le sbavature nel contenimento dell’oppositore di turno, a giudicare dai patemi negli uno contro uno, ma vi sono significativi progressi nel muoversi in sintonia con i colleghi del pacchetto arretrato.
Inoltre, alla sua abituale interpretazione da full back intento ad arare la banda di competenza partendo più alto in un sistema imperniato sulla linea difensiva a cinque, una delle chiavi di volta nello storico trionfo in ambito nazionale dei Bufali targato 2015, Thomas recentemente si sta dimostrando a suo agio anche da terzino puro, senza rinunciare alle amate sovrapposizioni sulla catena destra formata con il nuovo acquisto Samuel Kalu (1997), pescato in Slovacchia nel mercato invernale.
Difensore centrale: Björn Engels (Club Brugge) – 1994
Un gigante dai piedi d’argilla. Si potrebbe chiosare con tale reminiscenza biblica un ipotetico scouting report vertente la parabola agonistica sin qui vissuta dal ragazzone di Kaprijke, la cui ascesa nell’ultimo lustro è stata sistematicamente frenata da una serie di infortuni che gli hanno impedito di garantire una continuità di rendimento adeguata alle sue potenzialità, tuttora inespresse. Persino la gioia dell’esordio in Champions League in quel di Leicester è durata lo spazio di cinquantatré giri di lancette, allorquando una rovinosa caduta (successiva ad una spinta gratuita di Slimani) ha prodotto la dolorosa frattura alla spalla che l’ha tenuto fermo ai box per ulteriori tre mesi.
L’accanimento della sfortuna, però, non deve condurre a sottovalutarne la ridotta tenuta fisica, giacché una muscolatura longilinea ma esile è all’origine di una preoccupante fragilità articolare. Un vero peccato per questa sorta di libero vecchio stampo, pulito negli interventi e dall’ottima padronanza nell’impostazione, determinante nel gioco aereo finanche nell’area di rigore avversaria; talvolta si lascia ingolosire troppo dalla frenesia di riconquistare il pallone in anticipo, ma senz’altro meriterebbe di rinnovare con la sua presenza l’attempata retroguardia della Nazionale Maggiore.
Difensore centrale: Mathias Bossaerts (Oostende) – 1996
Nonostante l’istrionico mister Vanderhaeghe non voglia rinunciare al mestiere del ceco David Rozehnal (avviato a spegnere trentasette candeline la prossima estate) nella sua formazione-tipo, l’ex promessa di Beerschot e Anderlecht ha dimostrato nondimeno una lodevole lungimiranza nel compiere un passo indietro sul proprio cammino di crescita per rimettersi in discussione, tornando in Belgio a parametro zero e cercando di dimenticare in fretta la parziale bocciatura al Manchester City i cui dirigenti hanno ritenuto opportuno non rinnovare il contratto quadriennale firmato nel 2012.
Al di là di qualche distrazione legata alle vicende fuori dal campo e l’inopinato esperimento di riconvertirlo in fluidificante (al limite, potrebbe disimpegnarsi da centrale destro in una difesa a tre), la parentesi britannica è stata oggettivamente povera di spunti vivisezionandone gli input didattici, giacché la primigenia legnosità negli spostamenti continua a renderlo vulnerabile quando è costretto a fronteggiare avversari brevilinei che lo puntano in campo aperto, e gli ondivaghi cali di concentrazione restano un nervo tuttora scoperto (vedasi le prestazioni in trasferta a Charleroi e Sint-Truiden), inficiandone un bagaglio complessivo dignitoso nella marcatura corpo a corpo e per quanto concerne la scelta di tempo sugli intercetti.
Terzino sinistro: Jere Juhani Uronen (Genk) – 1994
Il terzo esordiente più precoce nell’epopea ultracentenaria della Finlandia, sbarcato in Limburgo nel gennaio 2016 tra l’indifferenza generale, si sta umilmente rivelando un ingranaggio essenziale per gli equilibri di un sistema a trazione anteriore, laddove giocoforza è costretto ad interpretare con timidezza (eccessiva?) il proprio ruolo in chiave propositiva, nell’intento di coprire alle spalle le scorribande dapprima di Bailey e successivamente di Leandro Trossard (1994).
Sono lontani i tempi in cui poteva permettersi di scorrazzare con la tipica incoscienza di un imberbe diciassettenne, lanciato per irrorare la manovra dello sbarazzino TPS Turu di Marko Rajamäki, e stupire gli osservatori assiepati sugli spalti del Veritas Stadion, incaricati di scovare affari low cost in Veikkausliiga. Normolineo compatto (177×70), praticamente ambidestro, fatta la tara di una scarsa velocità di base nei rientri, che talora lo condanna a soffrire anche in allungo, con le sue doti nella coordinazione al tiro ed un’insospettabile confidenza sui dribbling nello stretto si era guadagnato le attenzioni dei campioni di Svezia in carica dell’Helsingborgs agli albori del 2012, facendo di frequente capolino nelle statistiche degli assist in Allsvenskan in un quadriennio senz’altro positivo a livello individuale.
Centromediano: Soualiho Meïté (Zulte Waregem) – 1994
La produzione in serie di figure ascrivibili al prototipo di interdittore frangiflutti dall’atlettsmo debordante ma dal tocco un po’ ruvido è ormai divenuto una sorta di marchio di fabbrica all’interno della scuola calcistica transalpina moderna, e non a caso la nutrita concorrenza ha costretto il franco-ivoriano ad accontentarsi di un utilizzo marginale nelle selezioni giovanili nazionali. Per giunta, questo prodotto del centre de formation dell’Auxerre (club in cui approdò nel 2007, dopo aver bazzicato Gobelins e Vincennes nella natia Parigi), malgrado l’esordio in Ligue 1 da minorenne con la maglia blanc et bleu, non è riuscito ad imporsi poi nella successiva avventura al Lille, optando così per un graduale rilancio in prestito all’Essevee.
Rubapalloni piuttosto avveduto nei tackle (pochi i cartellini gialli, in rapporto alle funzioni espletate in campo), bravo nel proteggere i possessi frapponendosi tra la sfera ed il contendente con statuaria presenza, vieppiù ovviando ad un primo controllo non ottimale, ogni tanto va sollecitato a velocizzare il rilascio del pallone nella costruzione dalle retrovie; a nostro modesto avviso, rappresenterebbe sin da oggi un sostituto ideale nello scacchiere monegasco per la probabile partenza del coetaneo Tiémoué Bakayoko.
Mezzala destra: Youri Tielemans (Anderlecht) – 1997
Si sta concludendo l’annata della definitiva consacrazione per il calciatore più pronto del Regno a spiccare il volo verso palcoscenici maggiormente competitivi, in coincidenza con la risoluzione di un equivoco tattico intravisto meritoriamente dal succitato Weiler. Il coach elvetico, infatti, ha predisposto l’avanzamento del raggio di azione per il gioiellino di Sint-Pieters-Leeuw, irretito sino a quest’estate dal fissaggio nella casella a lui non congeniale di playmaker bloccato nel doble pivote col macchinoso Leander Dendoncker (1995) innanzi alla terza linea (la gestione rivedibile dei tempi di gioco ed una visione periferica non assecondata da letture di prim’ordine, per tacer di un’eccessiva confidenza nei propri mezzi che lo portava ad azzardare pleonastici ghirigori, pregiudicavano il necessario contributo alla causa), vellicandone così le doti in percussione e le capacità balistiche nelle bordate dalla lunga distanza.
La fragorosa esplosione sul mero piano realizzativo (numeri in parte favoriti dai rigori trasformati, essendo l’incaricato principale di quasi tutti i calci piazzati mauve et blanc) costituisce la miglior cartina di tornasole per sottolineare la bontà della scelta, per quanto tali mansioni da box-to-box di rara efficacia abbiano progressivamente sancito un dualismo con Radja Nainggolan nelle gerarchie del CT Roberto Martinez.
Mezzala sinistra: Pieter Gerkens (Sint-Truiden) – 1995
Il pupillo di Thierry Courtois, che lo segnalò ancor bambino ai Mijnjongens Genkies per un provino quando si allenava sotto età con il figlio nel Bilzerse Waltwilder VV, sin da quel lontano pomeriggio autunnale del 2001 ha imparato a convivere con lo scetticismo che ne valuta con scarsa indulgenza l’incedere felpato ed un po’ sornione, certo non arricchito dalla cattiveria agonistica richiesta per occupare la delicata casella di interno addetto alla costruzione nel settore nevralgico del rettangolo verde.
Se al quadro si aggiunge una certa fiacchezza nei contrasti, forse non sorprende del tutto il modo in cui Maes abbia convinto la società a cederlo frettolosamente, consentendo ai Canarini di fiutare l’affare e rimpiazzare degnamente la partenza del leader tecnico Rob Schoofs (1994), accasatosi al Gent. E l’ironia della sorte ha sancito che fosse proprio una doppietta (nobilitata da una splendida girata al volo) alle spese dei Kwekkers nella sfida del 17 dicembre scorso (3-1 il risultato) a promuoverlo definitivamente tra i titolari per scalzare il trequartista Roman Bezus negli schemi del trainer croato Ivan Leko, alfine persuaso a sfruttarne l’istinto innato negli inserimenti senza palla e la capacità di avviare le transizioni offensive con tocchi semplici ma illuminanti.
Ala destra: Siebe Schrijvers (Waasland-Beveren / Genk) – 1996
Ai giorni nostri c’è un destino che accomuna la maggior parte delle seconde punte dallo stile un po’ retrò, suggerendo tacitamente a ciascuna di ritagliarsi una diversa dimensione tattica, alla ricerca di una collocazione in schieramenti che sembrano averne sancito la progressiva scomparsa. La parentesi temporanea in forza ai Wase Wolven è stata così colta con furbizia dal talentino di Lommel per proporsi come jolly d’attacco prezioso, in grado di fornire ai compagni svariate opzioni di passaggio con l’incessante movimento lungo l’intero fronte offensivo, usufruendo della naturale abilità di coordinarsi in un fazzoletto per predisporsi al tiro, spesso tagliato e velenoso, nonché caratterizzato da una traiettoria che tende ad abbassarsi repentinamente, diventando un’arma insidiosa anche sui corner e le punizioni dal limite.
Quella che poteva essere considerata una tappa di ridimensionamento, è diventata invece un’opportunità per rivendicare la propria candidatura nelle strategie del Genk, che lo ha richiamato prontamente alla base in concomitanza con l’inizio dell’anno solare, scommettendo sulla sfrontatezza di colui che quasi da solo era riuscito a mettere in ginocchio l’Anderlecht, facendo impazzire i malcapitati Frank Acheampong e Sowah Adjei e trascinando i propri sodali ad un’impresa casalinga (30 ottobre, 2-1 al Freethiel Stadion), maturata malgrado l’inferiorità numerica dopo appena ventidue secondi (!) dal fischio d’inizio.
Ala sinistra: Henry Chukwuemeka Onyekuru (Eupen) – 1997
A prescindere dalle elucubrazioni di matrice morale, che indurrebbero a stigmatizzare un core business non focalizzato in prima istanza verso una “pedagogia sportiva” disinteressata a ben più prosaiche motivazioni economiche, è fuor di dubbio che il progetto qatariota inaugurato nella comunità germanofona possa diventare una vetrina per la merce (usiamo tale termine non a caso…) più pregiata dell’Aspire Academy.
In quest’ottica, nel piccolo centro della Vallonia Orientale, teatro nel 2010 di una toccata e fuga del vulcanico Eziolino Capuano, possono godersi le promettenti evoluzioni di una pletora di schegge invero un po’ anarchiche ma con l’argento vivo addosso, nella fattispecie l’immaginifico triangolo che parte dallo scricciolo ivoriano Jean Thierry Lazare Amani (1998, virtuoso incursore completamente da scolarizzare) e si esalta nelle sgroppate sulle fasce dei classe 1997 Eric Ocansey (ghanese che era stato proposto anche al Bellaria due anni orsono) e questo nigeriano incontenibile nelle giornate di vena, specializzato nel partire defilato e stordire il dirimpettaio di turno con un prontuario variegato di finte, per poi accentrarsi sul piede forte (il destro) e ricercare ardite conclusioni, talvolta difettose per potenza e precisione.
Resta da implementare un repertorio tecnico carente in taluni fondamentali, ma le speranze dei neopromossi Pandas di mantenere la categoria e sopperire ad una fase difensiva colabrodo si celano innanzitutto nella verve dell’estrosa saetta di Onitsha, prevedibile oggetto del desiderio nelle prossime sessioni di mercato.
Centravanti: Landry Nany Dimata (Oostende) – 1997
Gli appassionati del panorama giovanile strabuzzeranno gli occhi nel vedere lo spot di punta avanzata occupato dal poderoso carrarmatino dai natali congolesi, allevato in passato tra i jeugdopleiding di FC Brussels, Mons e Standard Liège ed adoperato nel Belgio Under 19 prevalentemente sull’out mancino, laddove nel 2016 era riuscito a laurearsi vice-capocannoniere delle qualificazioni agli Europei di categoria. In realtà, questo utilizzo francamente discutibile era finalizzato a stimolare un’ardua convivenza con l’omologo (e coetaneo) Ryan Mmaee, tanto nel vecchio club quanto nei Jonge Duivels, giacché sin da allora sembrava evidente che i tagli già piuttosto smaliziati ad aggredire il secondo palo, il lavoro sporco spalle alla porta per far salire la squadra, e l’opportunismo sui palloni vaganti nell’area piccola, costituissero i presupposti su cui costruire un riferimento centrale dalle prospettive inesplorate.
Eccettuata un’ingenuità posizionale che sovente lo induce ad ingabbiarsi nella trappola del fuorigioco, una volta armonizzatosi con il tranquillo contesto delle Fiandre Occidentali si è riscoperto come terminale più idoneo a valorizzare gli strappi di Knowledge Musona e le invenzioni di Franck Berrier; l’unico rammarico nella memoria collettiva è il beffardo esito della lotteria dei rigori nella finalissima di coppa, un’altalena di emozioni che ha premiato lo Zulte Waregem, benché una sua doppia zampata d’autore (da applausi il colpo di tacco in controtempo ad eludere la morsa di Marvin Baudry nella ripresa) avesse illusoriamente alimentato il sogno di alzare il primo trofeo nella storia dei Kustboys (18 marzo, 3-3 il risultato dei tempi regolamentari al Roi Baudouin Stadion).