La deposizione di Andrea Agnelli all’ANtimafia: «Ci hanno lasciati soli, e noi abbiamo commesso degli errori».
Le accuse allo Stato
Furibondo, Andrea Agnelli si è difeso a palazzo san Macuto scaricando le responsabilità sullo Stato. Accusando la Digos di Torino (o la questura-Prefettura), di non aver mai accennato alle condanne per mafia del padre e del fratello di Rocco Dominello. E, dunque, come poteva saper che Rocco Dominello, il paciere, il mediatore, l’uomo che aveva ristabilito l’ordine nel curve, fosse un esponente della ‘Ndrangheta? O meglio, appartenesse a una famiglia mafiosa? «Se lo avessi saputo, se lo avessero saputo i miei collaboratori, mai avremmo avuto rapporti con lui. Questo è pacifico».
Ripete quanto detto lunedì all’udienza preliminare al processo “Alto Piemonte” che si sta svolgendo a Torino: «Non ho mai incontrato Rocco Dominello da solo. A memoria ho ricordato 3-4 incontri. Una volta ad una cena ad Asti, presenti centinaia di tifosi, un’altra volta è venuto con Fabio Germani (sotto processo per concorso esterno alla Ndrangheta,ndr) in sede per gli auguri natalizi. Una volta presso i miei uffici in Lamse con Alessandro D’Angelo in una delle occasioni in cui ho incontrato tutti i tifosi».
«Dominello è una scelta degli ultras»
Tiene a prendere le distanze, il Presidente della Juventus: «Ragazzo garbato? Non l’ho detto io ma i miei collaboratori. E comunque Dominello non l’abbiamo scelto noi ma loro», gli ultras. La requisitoria del rampollo degli Agnelli ha affrontato anche un altro nervo scoperto. Quello dell’ordine pubblico. Se le curve sono un problema è colpa dello Stato. Premessa: «Da un lato una società di calcio deve dialogare con tutti i tifosi, ultras compresi, dall’altro deve cooperare con le forze dell’ordine perché essi non costituiscano un probl§ma di ordine pubblico. I poli di questo rapporto sono quindi tre e non due. Gli ultras parlano con il club e le forze dell’ordine, il club parla con gli ultras e le forze dell’ordine, queste ultime con i club e gli ultras».
Fatta la premessa, il cuore del problema è che il Gos, il Gruppo operativa sicurezza, ha deciso che gli steward non presidino le curve. Insomma, le curve sono diventate terra di nessuno, anzi degli ultras e dei criminali. Da qui la proposta di riconquistarle. «Nelle curve, andiamoci come Stato». All’uscita dall’audizione alla commissione Antimafia che indaga sulle infiltrazioni della mafia nelle curve, Agnelli ha ribadito che la Juve non ha nessun peccato da farsi scontare, non ha commesso nessuna leggerezza, avendo agito sempre in sintonia con le istituzioni, con la a Digos. Altro che le responsabilità di governo delle classi dirigenti. Teso, nervoso, preso in più occasioni in contropiede, alla fine uno dei rampolli della dinasty Agnelli – anche se del ramo che contava di meno – è sbottato, riconoscendo le proprie colpe: «Siamo qui per evitare di commettere gli stessi errori per il futuro».
Due ore. Un confronto
Dunque, l’audizione all’Antimafia. Due ore di domande e risposte. Incalzato dalla presidente Rosy Bindi e dai parlamentari Marco Di Lello e Claudio Fava, Agnelli ha nei fatti ammesso il bagarinaggio, confermando le tesi della Procura federale alla vigilia del processo che si aprirà venerdì prossimo davanti ai giudici sportivi. Lo ha ammesso quando Di Lello ha letto un brano del verbale di Alessandro D’Angelo, Security Manager della società, che ammetteva che la Juve dava dai 70 ai 100 biglietti a partita a Rocco Dominello.
A quel punto Agnelli è stato colto di sorpresa. Aveva sostenuto che i suoi collaboratori avevano sempre rispettato le sue direttive («e la mia direttiva era quella di agevolare la vendita dei biglietti. Semmai il problema nasce dopo la vendita dei biglietti»). Ma ora, con le dichiarazioni di D’Angelo, cambia tono il Presidente: «Appena saputo delle indagini in corso, abbiamo deciso di eliminare la dotazione dei biglietti ai gruppi organizzati».
Era stato caustico poco prima quando, rispondendo sempre a Di Lello che citava le testimonianze di ultras e di mogli di ultras sul business del bagarinaggio, aveva sminuito la genuinità e l’autorevolezza delle fonti. Dimenticando, Agnelli, che erano dichiarazioni agli atti delle indagini della Procura di Torino. Per quasi due ore, ha evitato di rispondere alle domande della presidente Bindi: «Perché è successo? Di chi sono le responsabilità? Quali i possibili rimedi?». Glissava, Agnelli. Che chiede che gli steward riconquistino le curve. Agita anche il pugno duro contro i violenti: «Vogliamo un giudizio abbreviato subito, allo stadio, modello inglese, e siamo pronti come Juve a fornire anche zone adibite (a svolgere i processi contro i tifosi che commettono reati, ndr) all’interno dell’impianto».
Venerdì l’inizio del processo sportivo
Colpisce nel segno la requisitoria di uno degli esponenti della famiglia di imprenditori più importanti del Paese, Andrea Agnelli, che su mafia e ordine pubblico ha accusato lo Stato di averli lasciati soli, costringendoli a commettere degli errori. Doveva essere una audizione addirittura “noiosa” quella di Agnelli all’Antimafia di Rosy Bindi, essendo stato sentito, il numero uno della Juve, come teste, appena lunedì, in un’aula del Tribunale di Torino. Andrea Agnelli ha superato senza problemi le Forche Caudine del processo “Alto Piemonte” dove si discute anche il capitolo della infiltrazione della ‘Ndrangheta nella curva della Juve. Per l’accusa, la Juve non sapeva che Rocco Dominello e Fabio Germani fossero mafioso il primo e accusato di favoreggiamento della Ndrangheta il secondo. E a Torino ha ammesso di aver incontrato (cosa che aveva escluso categoricamente in un Twitter quando esplose il caso nei mesi scorsi) Dominello.
Aver riconosciuto gli “errori” del passato potrebbe rappresentare uno scoglio per una sua assoluzione al processo sportivo che si aprirà venerdì prossimo. In quella sede non interesserà discutere se la Juve sapeva di essersi rivolta o di avere tra i piedi la ‘Ndrangheta. Al processo sportivo conta di più la responsabilità nell’aver favorito il bagarinaggio.