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Gonzalo Higuain, storia di un capriccioso che ha rifiutato il mito

Considerazioni sparse e circostanziate su Gonzalo Higuain, grande calciatore dall’atteggiamento rivedibile.

Gonzalo Higuain, storia di un capriccioso che ha rifiutato il mito

Tutti hanno giocato a pallone almeno una volta per strada, in cortile o a scuola, da bimbi. E quindi tutti conoscono i tipi umani che queste occasioni ludiche ma assai competitive (i bambini lo sono per natura, per poi scontrarsi con i propri limiti e modificare e modellare il proprio sé a seconda della portata e consapevolezza di questi limiti) determinano.

Esempi? Il tipo umano di chi si sente subito vittima e comincia a frignare, quello che invece corre, si sbatte, suda, e perciò viene seguito dagli altri. Poi c’è quello che si isola, quello che fa gli sgambetti, quello che prende la palla con le mani e viene sbeffeggiato, quello bravo, quello scarso, quello imbroglioncello e così via.

Il capriccioso

Ecco, io oggi vorrei parlare di uno di questi: il capriccioso. Che è quello più difficilmente sopportabile. Non ne parliamo quando il capriccioso è anche tra i più forti o magari proprio il più forte. Sbraita, pretende che gli venga passato il pallone SEMPRE, si lamenta pesantemente quando questo non accade e, di conseguenza, a volte ferma il gioco, prende il pallone, che magari è anche suo, e fa per andarsene.

Ma è solo una sceneggiata, lui vuole che gli altri siano al suo servizio, che facciano quello che lui dice e indica e solo così la partitella può andare avanti. “Sono cose da bambini, cambieranno crescendo”. Quante volte da piccoli e quante volte da grandi abbiamo sentito (spero non detto) queste cose. Certo, sono cose da bambini ma… ai bambini non la si deve dare sempre e comunque vinta, non si fa un buon servizio a loro e alla società se non si educa alla sconfitta, se non si educa alla dialogica, se non si educa alla contrapposizione non contrappositiva.

Se non si educa a tutto questo il bambino crescerà forte con i deboli e sarà portato ad esercitare un diritto di insulto e di pretesa. Ma… come si comporterà invece, un bambino del genere, di fronte a chi si mostra più forte, prevaricante e urlante di lui?

Higuain

Ebbene, tutto questo mi è venuto in mente con estrema lucidità analizzando il linguaggio del corpo di un calciatore che è stato, come spesso avviene nel calcio e nella vita in genere, croce e delizia di una tifoseria assai passionale, ovvero il buon Higuain. Reti di destro, di sinistro, in agilità, di giustezza, al volo, in acrobazia, di testa (poco), assist, record: tre anni magnifici a Napoli, anche il secondo, abulico, beniteziano.

Insomma, uno che ha praticato quella poesia in movimento che qualche volta uno sport di squadra riesce ad essere. Ma, a fronte di tutte queste belle cose, il buon Higuain ha avuto sempre e comunque, in ciascuna delle partite giocate, un insopportabile atteggiamento da bimbetto capriccioso.

Le ramanzine ai compagni rei di non avergli passato palla, gli sguardi in tralice, la non esultanza per un gol altrui quando anche lui era ben piazzato, le mandate a quel paese palesi ed evidenti non si sono contate. Come può crescere in personalità una squadra se il suo giocatore di maggior talento non fa altro che soffocare i suoi compagni con atteggiamenti al limite della scostumatezza, dell’insopportabile antipatia ed arroganza per non dire peggio?

Attenzione, anche il buon Cavani aveva atteggiamenti di questo tipo ma poi un attimo dopo lo vedevi nella propria area di rigore a svettare di testa oppure recuperare una palla a centrocampo dopo una rincorsa da centometrista, mentre il buon Higuain 9 volte su 10 rientra a centrocampo trotterellando.

Compagni come te

Ebbene, la più grande sorpresa (ma non fino in fondo, posso anticipare) è stata veder sparire in un attimo tutta questa arroganza non appena il buon Higuain ha messo piede nel club più forte di tutti, quello che vince sempre, quello con la maglia bicolore, o meglio con un colore che è assenza di colori, il nero, e un altro detto anche acromatico, il bianco.

Insomma, il buon Higuain sbarca a Torino, mi vince scudetto e Coppa Italia, mi arriva in finale di Champions e non si lamenta mai, nemmeno per sbaglio, con un suo compagno di squadra, non lo riprende mai, non fa mai il bambino capriccioso. Giusto. Trasformazione, maturazione o cosa?

Semplicemente, il buon Higuain è finalmente approdato in un club di suoi pari, di bimbetti capricciosi come lui che se non vincono strepitano, insultano, si lamentano con gli arbitri, a volte gli si appiccicano con la fronte alla fronte, insomma il buon Higuain ha trovato approdo tra simili e tra simili non ci si comporta come degli zulù qualsiasi.

Con compagni del genere, forti come lui con i deboli, il buon Higuain non si potrebbe permettere di alzare la voce, di usare il ditino ammonitore, di lanciare sguardi trucidi. Ma approdando in un club del genere, il buon Higuain ha ufficializzato ciò che pensava di esorcizzare, ciò che tutti i bimbetti capricciosi non sanno di sapere, ovvero la propria totale ed inestinguibile impotenza.

Il valore della vittoria

Ebbene sì, se vinci in una squadra che ha già vinto tanto senza di te e che con te non fa altro che vincere ciò che è stato già vinto senza di te, dichiari la tua impotenza. Ma ancor di più ammetti di non aver riconosciuto l’unica grande, eccezionale, fortuna che da cosiddetto top-player ti era capitata. Approdare al Napoli, una squadra in ascesa affamata di vittorie ancora incatenata all’epopea del più grande di sempre, Maradona, significava poter costruire un avvicinamento alla gloria assoluta che, checché se ne dica dei lauti guadagni di questi signorini in mutandoni e tatuaggi, è ancora un movente fondamentale, è il movente di una carriera intera.

Vincendo a Napoli, Higuain avrebbe inscritto il suo nome nella storia di questo sport ma non a livello italiano, a livello internazionale. Vincere qui da leader sarebbe stato indimenticabile e avrebbe resi dimenticabili i suoi errori, gli smarrimenti, le amnesie nelle varie e finali perse anche per suoi errori. Il rigore sbagliato in Copa America, gli errori clamorosi nelle finali di Coppa del Mondo contro la Germania e in Copa America ultima edizione, l’errore dal dischetto contro la Lazio nel secondo anno beniteziano sono lì a dimostrare una difficoltà a reggere un certo tipo di pressione.

Gonz…o

Ebbene, dopo tutto questo il buon Higuain ha la fortuna di incontrare un signore in tuta che lo rimette in piedi, lo mette in condizione di battere un record strepitoso, gli fa segnare caterve di gol, lo trasforma in un leader capace di sedare la sua capricciosità, creando le premesse per vittorie clamorose là da venire; il rigore sbagliato con la Lazio sepolto e dimenticato, la consacrazione a interprete del proprio tempo oramai conclamata. E lui che fa?

Pur conscio del traguardo ormai a un passo, pur conscio che anche lo sfiorare solo il traguardo sarebbe stato osannato e non condannato, a queste condizioni, lui che fa? Capisce di avere un nome differente da quello che tutti credono. Sì, lui capisce che non Gonzalo ma Gonz…o è davvero il suo nome. Perché solo un gonzo rinuncia ad essere colui che guida i suoi verso la leggenda sportiva per diventare invece uno dei tanti nella squadra dei vincitori a prescindere.

Solo un gonzo passa dall’essere il bimbo capriccioso e scostumatello coi compagni che è stato per tre anni a Napoli (sopportato ma vincente), all’agnellino (e di… Agnelli alla Juve ce ne sono già troppi) che sorride soddisfatto per uno scudettino e una coppetta.

Mito

Nello storytelling sulle cose del calcio, che ormai sono la perfetta personificazione delle contraddizioni di una società troppo vanesia e superficiale, leggere queste dinamiche significa riuscire a riconoscere fenomeni sociali e comportamentali di ben altro spessore (leggasi le dinamiche interne dei partiti politici o, a volte, anche dei clan malavitosi). Analizzare questi fenomeni non è perdita di tempo purché si sappia riconoscerne misura e reale portata.

La calcistizzazione della società e dei media ha quasi distrutto questa capacità ma a me continua a divertire (e forse a rilassare) cercare di leggere il linguaggio non verbale, il non detto, quello che soprattutto nello sforzo fisico si mette in mostra non potendolo completamente dominare e determinare. Andando via dal Napoli, il buon Higuain ha fatto un clamoroso autogol.

Potrà vincere, guadagnare tanto (ma pare che DeLa gli avesse offerto altrettanto), credere di essere un fattore importante, ancor più del gioco collettivo. Ma gli mancherà per sempre la possibilità di diventare un mito vivente, colui che riscatta dalle sconfitte, colui che per una volta (fosse anche una sola volta) sconfigge tutti gli altri bambini capricciosi che vogliono, pretendono, reclamano la vittoria in nome di un’arroganza bambina mai educata diversamente.

L’altro bambino

Ecco, uno con un fratello come quello che si ritrova lui, il suo buon procuratore Nicolas Higuain, che scrive e dice altrettante cose da bambino dispettoso e frevoso, non poteva che uscire così, capriccioso, dispettoso e frevoso. Purtroppo per lui che voleva diventare un vincente, avendone pure le qualità. Ma a vincere, in un modo o nell’altro, son bravi tutti salendo sul carro giusto. Vincere salendo su un carro un po’ meno giusto è invece assai più sfizioso e romantico.

Ma mi sa che essere gonzi impedisce di comprendere fino in fondo il concetto reale e straniante di sfizioso. Caro Gonzo, lo sfizio di vincere ce lo si toglierà di sicuro, prima o poi, senza di te e di te tutti si ricorderanno solo e soltanto perché eri, sei e purtroppo rimarrai un bimbetto frevoso e capriccioso.
Vincerai e tanto ma resterai sempre un ossimoro, ovvero un perdente di successo. Il mito, invece, è tutt’altra cosa. E lo si impara solo se c’è qualcuno che ti educa a comprenderlo. Fin da bambini.

Giovanni Meola è autore, drammaturgo, sceneggiatore e regista teatrale e cinematografico
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