L’incomprensibile atteggiamento di un movimento che non si cala nella realtà. Il grido è “questo non è calcio”, in realtà è solo (?) questione di abitudine.
“Questo non è calcio”
C’è un movimento d’opinione, in Italia, che non ha radici logiche. No, non parliamo di quello anti-vaccinista né di quello contro l’alta velocità, piuttosto quello del No-Var. È una situazione strana, non intellegibile, perché se qualcuno (non solo Buffon) ha detto «Questo non è calcio», ci sono poi le cose da sottolineare e valorizzare. Ed è impossibile non farlo perché è impossibile non accorgersene. È come se qualcuno avesse inventato una macchinetta per il caffè che funziona senza che l’uomo la tocchi neanche, che fa un buon caffè, che si autopulisce e che funziona solo con comando vocale. E poi tutti noi ci lamentassimo del fatto che si utilizzi così, perché “questo non è fare il caffè”.
Come ha spiegato un rugbista di un certo livello, Andrea De Rossi (ex capitano della Nazionale italiana), intervistato da La Stampa, «è solo questione di abitudine. È un bene: è la conseguenza dell’evoluzione di tutto lo sport. Va impiegata con intelligenza, senza abusarne. Io lo avrei introdotto solo per i falli da rigore: con il fuorigioco si rischiano troppi stop. E forse servirebbe il tempo effettivo». Ecco, su un’opinione del genere possiamo essere discutere. Possiamo anche essere d’accordo. Perché, intendiamoci, il Var non è perfetto. Ci sono delle situazioni che sfuggono al suo protocollo, si pensi a certi fuorigioco. Si pensi al fatto, fondamentale, che gli errori di valutazione non spariranno, diversa invece è l’idea di rilevazione (spiegata ieri dall’ex arbitro Luca Marelli, qui). Però passa di mezzo un mare tra questo tipo di atteggiamento, le parole di Buffon e i titoli di alcuni giornali.
Gazzetta
La Gazzetta dello Sport, ad esempio, scrive: “Var imperfetta e sotto accusa, ma il bilancio resta positivo. Dal pollice verso di Zidane a Buffon: ‘Così non è calcio’. In A dopo 20 gare ci sono però buoni segnali: diversi errori evitati, proteste azzerate e trattenute in area in estinzione”. In pratica, quello che volevamo è diventato realtà. Lo scrive e lo spiega, in un box accanto all’articolo principale, lo stesso giornale rosa: cinque partite, sei errori gravi e condizionanti evitati grazie all’ausilio della tecnologia.
Nel frattempo, però, Buffon dice «liberiamo gli arbitri dal mostro». Dichiarazioni da cui l’intero salottino di Sky Sport ha preso le distanze. Giustamente, perché ritorniamo alla macchinetta del caffè: se ci fossero anche 55 rigori come quelli dati alla Juventus o contro la Juventus, ben venga. Giusto così. Non vi sembra calcio? Sì, forse sarà meno duro, ci saranno meno contrasti. Ma intanto si saranno evitate dieci milioni di polemiche, esattamente come sta avvenendo. A cominciare dai calciatori in campo. Perché qualsiasi strumento che legittimi le decisioni dell’arbitro, che dia più forza alla sua valutazione, aiuta l’arbitro stesso. E quindi è positivo.
Repubblica
È sorprendente l’atteggiamento di Repubblica praticamente capofila nella resistenza all’innovazione. “C’è qualcosa che non Var”, titola in apertura dello sport. Perché? Perché «in due giornate raddoppiano gli errori in campo. Poi però ci pensa la tv». Quindi, il Var funziona. Gli arbitri sbagliano (come sbagliavano prima) e ora vengono aiutati a correggersi. Buono, no? No.
«Il problema, ora, è definire i limiti della “moviola”. Al delegato romanista, Orsato ha spiegato di aver visto quel rigore su Perotti, ma di aver tutelato la discrezionalità dell’arbitro sull’episodio. Insomma, per il video assistente non era un “chiaro errore”, quindi niente moviola in campo. Ma quel dubbio del fischietto, “che faccio?”, impietosamente diffuso sugli schermi di tutta Italia, costringe a riflettere sulle conseguenze della tecnologia».
Ma non è tutto: «Il Var fino ad ora ha prodotto arbitri meno sicuri delle proprie scelte: lo scorso anno soltanto 6 errori arbitrali dopo 2 turni, in episodi “rilevabili” al video. In queste prime due giornate, invece, il Var è già dovuto intervenire in 12 circostanze: esattamente il doppio. Il segno che i fischietti tendono a non scegliere e a affidarsi alla tecnologia. E poi ci sono i maxi-recuperi». Tendono a non scegliere, per affidarsi alla tecnologia e passare dai sei errori dello scorso anno agli zero (con Var) di quest’anno. E quindi, dov’è il problema?
La Stampa
È che le argomentazioni dei No-Var ci paiono davvero campate in aria. Prendi ad esempio l’intervista doppia de La Stampa, da una parte Marchegiani e dall’altra Tacchinardi. Il primo approva e dice: «Il pubblico allo stadio e i giocatori in campo stanno avendo il giusto atteggiamento: ieri, ero a Torino e la Var ha modificato due decisioni dell’arbitro senza che nessuno protestasse». Il secondo boccia il Var e dice: «È stato duro con quelle parole, ma va ascoltato: c’è una zavorra clamorosa sulla schiena di chi deve decidere e non si vede più il valore dell’arbitro. La Var deve essere utilizzata per i casi eclatanti, ma in particolare dovrebbero esserci regole chiare. Per esempio: intervenire solo se un gol segnato in fuorigioco è evidente o se il fallo da rigore è dentro o fuori l’area. Così vale davvero tutto e non è più calcio. La Serie A doveva proprio fare da cavia? Con un punto in più o in meno si possono vincere e perdere campionati o retrocedere». Ecco, quale delle due argomentazioni sembra più ragionevole, più calata nella realtà? Ovviamente, la nostra è una domanda retorica.