Il faticoso lavoro – favorito dai media – per non rendersi conto di una realtà che (per fare due esempi napoletani) vede De Laurentiis accodarsi ad Agnelli e Insigne corteggiare Raiola.
In fuga dalla realtà
È sempre più dura la vita del tifoso. Un’esistenza fondamentalmente in apnea, con l’obiettivo di estraniarsi dalla realtà che ci circonda e con l’ostinazione di continuare a credere nelle favole. Di avere un senso della realtà pari a quello di Luca Cupiello. Perché, almeno in Italia, il rapporto tra l’universo del calcio, i media (quindi la comunicazione) e i clienti, i fruitori (i tifosi) è quantomeno distorto. O perlomeno non coerente. Il primo e il terzo attore della scena vanno in direzioni completamente diverse e il secondo attore sulla scena (i media) o si affannano a offrire una visione edulcorata della realtà o più semplicemente la rimodellano nella pietanza che i tifosi vogliono gustare. È un duro lavoro, ormai quotidiano. E il bello è che ciascuno fa finta di credere all’altro.
Chissà se durerà e per quanto tempo, verrebbe da chiedersi. Perché le delusioni del tifoso – sempre più paragonabile al protagonista del film Reality di Garrone – sono ormai all’ordine del giorno. Anche se non va sottovalutato un aspetto: il calcio, per il tifoso, è anche un universo parallelo scelto volontariamente. Una realtà virtuale in cui non sono gradite incursioni realistiche, spiegazioni così prossime a una quotidianità da cui fuggire.
Quasi nessun presidente è tifoso o appassionato di calcio
Non si spiega altrimenti l’ostinazione nel voler continuare a osservare il calcio con occhi che non sono più adatti. Senza lanciarsi in operazione nostalgiche che trasformerebbero il passato in un luogo splendido e immacolato, va da sé che il mondo del pallone si è trasformato sotto i nostri occhi. Oggi, per fare un esempio, un adolescente strabuzzerebbe gli occhi di fronte a racconti di presidenti come Costantino Rozzi, Romeo Anconetani. Imprenditori con la passione del calcio. Appassionati di pallone. Proprio come i tifosi. Presidenti che in qualche caso si sono persino rovinati per i tifosi.
Oggi è fantascienza. A scorrere la lista dei presidenti di calcio delle squadre di Serie A, si fa fatica a trovarne uno realmente appassionato di calcio. Probabilmente, per tradizione di famiglia, per educazione diremmo, Andrea Agnelli è il più tifoso di tutti. È difficile sostenere che De Laurentiis, Lotito, il gruppo Suning, i cinesi del Milan, Della Valle, Pallotta, Cairo siano tifosi. Né tantomeno Preziosi o Ferrero. Forse Pozzo? Fino a qualche anno fa avremmo potuto annoverare Cellino che oggi detiene il Brescia. Zamparini è un presidente all’antica che prima era proprietario del Venezia. Qualcuno ancora cita Moratti, la famiglia Sensi, Berlusconi (che ha sì avviato, almeno in Italia, il processo di snaturamento ma è appassionato della materia), da noi Ferlaino.
È come se nella vita di tutti i giorni ci ostinassimo ad avere in tasca le lire. Il mondo è cambiato, eppure i tifosi sono gli ultimi resistenti. E così la reazione può essere di due tipi. O si fa finta di niente. Oppure si nega la realtà.
Agnelli-De Laurentiis
Un esempio del primo caso è la non reazione all’alleanza tra Agnelli e De Laurentiis. Per essere più precisi, all’accodarsi di De Laurentiis ad Andrea Agnelli che ha realizzato un capolavoro politico-diplomatico che lo ha portato alla presidenza dell’Eca con i voti (anche) degli altri club italiani aventi diritto di voto. Agnelli, presidente della Juventus, a processo per bagarinaggio, sfiorato da un processo penale per ‘ndrangheta, ma soprattutto nemico per eccellenza del tifo napoletano stringe un accordo con De Laurentiis e gli fa, tra l’altre cose, ottenere un incarico all’Eca.
Ottima operazione politica, più che ottima. Eccellente. Per una volta l’Italia ha fatto fronte comune e ha vinto una battaglia diplomatica. Come quando l’Italia contava nel governo mondiale dello sport. Ma non è questo il punto. Il punto è quanto la realtà sia distante dai favoleggiamenti dei tifosi, favoleggiamenti alimentati dai media e dagli stessi protagonisti che ogni tanto giocano a tenere viva la realtà virtuale. I fatti dicono che Agnelli è stato l’artefice della conquista delle quattro squadre italiane in Champions e che – in cambio di una leadership platealmente riconosciuta, basta fare il conto dei tweet di congratulazioni dei club di Serie A – tutti i presidenti possono giovarsene. E quindi si accodano. In Europa come in Lega.
Il “mostro” Raiola
Poi c’è anche un altro caso. Il secondo. La negazione della realtà. Prendiamo ad esempio ancora Napoli, ci chiamiamo il Napolista, ma il fenomeno è quantomeno nazionale. Come in ogni favola, c’è il cattivo. L’orco, il lupo, la strega. Chi è stato il cattivo della settimana? Mino Raiola. Improvvisamente, calato dall’alto, senza che nessuno lo abbia sollecitato, Mino Raiola ha cominciato a parlare di Insigne e a fare allusioni su una eventuale futura volontà di lasciare Napoli («Non tutti sono come Hamsik»). In una riedizione di “Non è Francesca” di Battisti-Mogol, il tifoso – trattato sempre come un deficiente dai giornalisti – non fa due più due. Non vuole farlo. Non vogliamo farlo. Finirebbe il gioco virtuale che abbiamo scelto. Il calcio come un un universo parallelo.
Questa settimana Raiola è stato cattivo due volte. Perché ha anche ricordato quel che tutti sanno, e cioè che Sarri a fine stagione potrebbe andar via. Come del resto da lui stesso annunciato in una conferenza stampa di qualche mese fa: ha una clausola rescissoria e qualcuno potrebbe versare otto milioni al Napoli. Sarri disse chiaramente che ambiva – giustamente – a stipendi importanti. Uno dei pochi, pochissimi, protagonisti a parlar chiaro. Eppure anche in questo caso la realtà viene messa da parte, dimenticata. Per poi, al momento opportuno, estrarre a caso un copione prestampato: quello del tradimento o del presidente avido che preferisce il denaro ai sentimenti. È l’ultimo quadro del videogame in cui siamo immersi. Poi si ricomincia daccapo, come se nulla fosse.