Un’analisi (preliminare) su Mario Rui, sul suo modo di stare in campo e di interpretare il ruolo di laterale basso. Ghoulam è lontano, ma il portoghese è un buon terzino.
Il post-Ghoulam
Lo scorso 29 settembre, ci ponevamo una domanda fino a quel momento lecita: che fine ha fatto Mario Rui? Ebbene, dopo quarantuno giorni, vogliamo ripartire da un’altra domanda per capire, senza troppi giri di parole, se Mario Rui sia il terzino “sostituto” o “comprimario” ideale su cui Maurizio Sarri possa fare affidamento. La domanda – in verità ne sono due in una – è: cosa sa fare questo giocatore e come? La risposta a questi quesiti potrebbero e dovrebbero chiarire al popolo dei fedeli tutti – o quasi – i dubbi riguardanti la posizione apparentemente scoperta dopo il grave infortunio di Faouzi Ghoulam.
A pensarci bene, si ha come la sensazione di un cerchio che si sia chiuso, in qualche assurdo modo. Fuori dal campo per oltre un anno per un crociato rotto, si ritrova lanciato nella mischia, con obblighi di efficienza che pesano come macigni, “grazie” a un crociato rotto. Questa volta, non il suo. Mário Rui Silva Duarte è un ragazzo che si è fatto largo molto in fretta nel labirintico mondo del calcio. La sua crescita è stata vertiginosa e costante.
Ha esordito tra i professionisti solo sei anni fa, a settembre 2011, quando era a Gubbio in prestito dal Parma. Aveva appena vent’anni. Nella stessa stagione ha siglato anche il suo primo goal tra i “grandi del pallone”. L’esordio in serie A arriva solo tre anni più tardi, il 31 agosto 2014, con la maglia dell’Empoli, a Udine. In panchina sedeva Mister Sarri che lo fece entrare al minuto 26 della ripresa al posto di Hysaj. Da non crederci, vero? Déjà vu.
Sembra un’immagine di Mário Rui con la maglia del Napoli ma, no, quella è maglia dell’Empoli.
Un upgrade così rapido non può essere attribuito solo alle circostanze, all’ordine naturale delle cose o alla mera fortuna. La stessa fortuna che sembra averlo abbandonato a Boston quando, in tournée con la Roma, il suo crociato cementificò la sua carriera e, inevitabilmente, la sua vita. Da allora, sono state solo otto le apparizioni su un campo da calcio, in partite ufficiali. Il 22 luglio scorso, appena dopo l’ufficialità del suo passaggio al Napoli, Mário disse all’inviato del Mattino che «negli States mi è crollato il mondo addosso. Resto, però, sempre lo stesso, generoso e pronto a correre in aiuto dei miei compagni. A Dimaro ho ritrovato molti compagni ex Empoli, oltre al Mister. Lui non è cambiato, è lo stesso di Empoli. I miei compagni credono nello scudetto e se ci credono loro, devo crederci anch’io».
La meticolosità fisica e tattica pretesa da Sarri e la miglior stagione di Faouzi Ghoulam, però, gli hanno concesso solo una manciata di minuti, nelle battute finali di Napoli-Cagliari (3-0). Tanti bastarono a Mário per inorgoglirlo e dargli la scossa, la stessa che gli era mancata durante tutto l’arco della stagione scorsa. In un’intervista del 5 ottobre, prima di Roma-Napoli (0-1), confessa alla Gazzetta dello Sport che «nella Capitale, l’infortunio ha condizionato la stagione. Le cose stavano andando bene poi, però, non mi sono più ripreso fisicamente e mentalmente. È per questo che ho deciso di cambiare aria. Credo che Napoli sia stata la scelta migliore». Di lì a qualche giorno, il cerchio si sarebbe chiuso, fermando la corsa di Ghoulam, liberando la posizione per cui è stato acquistato.
Immagine premonitrice: Maurizio Sarri che saluta affettuosamente Mário Rui con la maglia della Roma, lo scorso anno
Ed è per questo che siamo praticamente costretti a cambiare la nostra domanda di partenza. Quindi, “cosa sa fare Mário Rui e come”? Per capirlo, considerando le sue ultime due stagioni praticamente da assente, possiamo comparare il suo ultimo campionato da titolare (Empoli, 2014/2015) alla scorsa stagione (2016/2017) di Ghoulam. Partiamo dalla differenza più evidente tra i due giocatori: la fisicità. Ghoulam, soprattutto nel suo ultimo periodo napoletano, ha sviluppato la sua corporatura, irrobustendola, oltre alla muscolatura delle gambe che, paragonate a quelle mostrate negli anni al Saint-Etienne, sembrano quelle di un altro giocatore.
Mário Rui è essenzialmente un brevilineo che basa tutte le sue skills sull’agilità e sull’elasticità datagli dal baricentro basso. Ne deriva una palese e maggior “resistenza alle difese avversarie” da parte dell’algerino che, inoltre, mantiene davvero alto il suo livello di disciplina (solo un giallo e nessun rosso in 29 partite di campionato). E qui nasce un’altra differenza tra Faouzi e Mário Rui che pare compensare la mancanza di centimetri e muscoli con una spiccata aggressività, sia in fase offensiva che difensiva (7 gialli e 1 rosso in 36 partite). Emblematica è la differenza nel numero di falli commessi: 17 per Ghoulam, 37 per Mário Rui.
Tiri e passaggi
Ritornando alla differenza d’altezza, è evidente come il baricentro basso del terzino portoghese gli consenta una maggior efficacia nei tackle (52 per lui, 24 per Ghoulam) oltre a concedergli una sorta di guizzo che gli permette di arrivare al tiro più spesso del suo compagno di reparto (29 tiri totali per lui, 18 quelli di Ghoulam). Maurizio Sarri ha lavorato moltissimo su questo fondamentale, con l’intento di migliorare l’efficacia offensiva della sua squadra. Difatti l’algerino tira con una precisione doppia (46%) rispetto a quella dell’ex Empoli e Roma (23%).
Discorso analogo si può fare per i passaggi effettuati e quelli andati a buon fine. Le stats, appunto, dicono che su una media di 54 passaggi a partita, Ghoulam raggiunge i suoi compagni ben 47 volte. Numeri leggermente diversi ma comunque buoni quelli di Mário Rui: 50 passaggi di media a partita, 40 con esito positivo. Tuttavia, l’incidenza del lavoro tattico di Maurizio Sarri risulta universalmente riconoscibile in un numero, in particolare: la lunghezza media dei passaggi effettuati dai giocatori delle sue squadre. Numeri che sono similari, indipendentemente dai ruoli, portiere compreso. Nel dettaglio, sono uguali i metri percorsi mediamente dai passaggi effettuati da Ghloulam e Mário Rui: 17 metri.
Questa video-raccolta delle migliori giocate di Mário Rui nella sua ultima stagione all’Empoli è in grado di darci una “Overall” view: una visione d’insieme.
Cerchiamo su Youtube immagini di repertorio che possano darci una visione d’insieme. Guardando, ad esempio, quello linkato qui su, avrete come la sensazione di riconoscere qualcosa che risulti piacevolmente familiar. È l’embrione del terzino sinistro del sarrismo, quando il sarrismo non era ancora esattamente nato. Scambi a due tocchi con i compagni più vicini, dribbling sul posto sull’avversario in pressing alto, freddezza nelle situazioni di gioco critiche come la costruzione bassa, triangolazioni continue per occupare rapidamente gli half spaces. Mário Rui era esattamente il terzino sinistro che Sarri cercava per il suo meraviglioso Empoli: tocco di palla preciso, spiccata intelligenza tattica, elevata capacità di gestione dello stress.
Caratteristiche intrinseche anche di Ghoulam che, però, ha alzato l’asticella aggiungendo alle skills una maggior propensione alla manovra d’attacco nelle zone “alte” di campo (57 occasioni create, 33 quelle create da Mário Rui) e una innata predisposizione alla rifinitura di palloni “buoni” (51 key passes/6 assit per lui, 31 key passes/2 assist per Mário Rui).
Un buon terzino
La sensazione, in definiva, è che ci siano buoni margini di miglioramento per quello che, fino ad ora, è stato l’oggetto del mistero (il portoghese è il giocatore di movimento con meno minuti giocati, fino a questo momento della stagione). A Verona per 66 minuti abbiamo visto un buon terzino, presente nella dinamicità della manovra. Il 92% di passaggi riusciti, l’occasione limpida creata, i due take on provati, i cinque duelli aerei provati nonostante la sua altezza modesta e, perché no, il giallo mostratogli dall’arbitro ci dicono che Mário Rui c’è.
Per ora, solo per un’ora. C’è con il suo bagaglio tecnico e tattico che non può svanire nel nulla. C’è e sta riprendendo il suo upgrade da dove si era bruscamente interrotto. L’inviato de il Mattino gli chiese come avrebbe fatto a conquistare i napoletani: «mostrerò loro la mia determinazione e la mia voglia di riscatto». Ecco, è un buon manifesto programmatico.