La necessità di affondare il già affondato Ventura, ha fatto finalmente scoprire le qualità di Lorenzo a chi incredibilmente fin qui aveva finto di non vedere
Il martire della Nazionale
Quando lo scrivevamo eravamo faziosi e oltremodo visionari, ma ora è una nazione intera a parlarne. Lorenzo, il Magnifico, non è più quello che gioca al Napoli, nemmeno quello che si farà, forse, col tempo. Ora per tutti è il martire della catastrofe Venturiana, il sacrificato. Cosa è cambiato? La forza mediatica, la raccomandazione giornalistica, la casacca azzurra, o forse la romantica visione che dal sud i talenti non nascono, eppure ne è pieno il mondo. Il calcio italiano è triste anche a causa di chi lo racconta, che incensa per trend e non per numeri, che esalta per osmosi e non per certezze.
Dybala, fortissimamente Dybala
E cosi, fino ad un paio di mesi fa, Dybala era per tutti, o per tanti, il nuovo Messi, con il pallone d’oro in stanza, il talento puro del calcio mondiale. Ed Insigne, che segnava, faceva assist, portava una città in testa, era semplicemente un buon giocatore di una ottima, ma non eccezionale squadra italiana. È servito il caprio espiatorio, dunque per far di Lorenzo un eroe nazionale, l’uomo del Rinascimento – da cui un Magnifico non può esimersi – in contrapposizione alla medievale dirigenza federale, e alla patetica gestione tecnica.
In Italia, la differenza la fa il potere mediatico, e chi lo gestisce, che tante volte omette la realtà per interessi di bottega. Quando un po’ provocatori, un po’ certi dei numeri e delle statistiche, azzardammo un paragone tra la “Joya” e il “Magnifico” qualcuno gridò alla blasfemia, al ridicolo, al paradosso, perché è bastato dare a Paulo la maglia numero dieci, correlata da strascico mediatico, per avere il credito del fuoriclasse. Eccessivo incenso che ha affogato il povero ragazzo argentino, intrappolato in quel che gli altri vedevano in lui (il nuovo fenomeno) e quel che realmente è: un giocatore forte, giovane.
La necessità di trovare colpevoli
L’esclusione con la Svezia ha riabilitato Insigne, lo ha reso per sempre quello che “poteva portarci al mondiale”, lo ha salvato in pratica dal processo postumo – classico italico – ad un pallone che non rotola, né rimbalza più, nel fango in cui si è ridotto. Insigne ora è italiano, a tutti gli effetti, è portato in auge persino da quella stampa che a denti stretti ancora finge di non vedere la realtà. Come quando tutti i tuoi amici ti dicono che stai sbagliando a valutare una donna, ma tu per principio non ci credi.
C’è, però, un’altra lettura sottile, che può starci in questa captatio benevolentiae pro Lorenzo, ossia la necessità endemica dei media italiani di cercare colpevoli, e di avere soluzioni alternative alle debacle. E così Insigne si è ritrovato ad essere, per loro, l’oggetto da porre sul piatto per avere l’autorizzazione a fucilare Ventura, e Lorenzo è stato abile a rispondere sul campo immediatamente, scevro forse da responsabilità della sconfitta di Milano, illuminando con due goal, il secondo da fenomeno puro, il cielo pallonaro nazionale.
Addirittura Neymar
Addirittura il giornalista Sabatini, a Premium, ha parlato di Insigne «indispensabile all’Italia, quanto Neymar con il Brasile» perché è l’esagerazione a guidare i giochi, è quello che la gente vuol sentirsi dire, è quello che fino ad una settimana fa apparteneva solo a quelle squadre lì, e ora appartiene in parte anche al Napoli perché Insigne è diventato italiano ed il loro simbolo dello scontento, del “se c’era lui magari…”. Lorenzo Insigne è diventato il martire d’Italia, il salvatore della patria al contrario, il superstite del naufragio tavecchiano. Ora ha ricevuto lo status da campione, anche se regnava da un paio di anni indisturbato sul palcoscenico della Serie A.